La gatteria di Piazza delle Erbe

di Beatrice Nefertiti

 

Conoscete l’Iper–Mega–Super Centro Commerciale “Al Lusso Sfrenato”? Narra la leggenda che un tempo, al suo posto, ci fosse una piazza circondata da alberi di tiglio, e che su un lato di questa si trovasse un mercatino di  frutta e verdura: per questo motivo, veniva chiamata “Piazza delle Erbe”. Su un altro lato, vicino al tetro e grigio palazzo di pietra della Prefettura, c’era un giardino chiuso agli umani, e popolato da una numerosa colonia di gatti randagi, che vi trovavano un rifugio sicuro. La piazza era abitata anche da un gruppo di gatti con una famiglia di riferimento, ma felici di ritrovarsi all’ombra dei tigli, oppure, la notte, tra i banchi vuoti del mercato deserto.

 

Questi sono i personaggi e gli interpreti della nostra storia:

 

KAMINSKI

Gatto nero, maschio, magro, nervoso, giovane, sui due anni. Irrequieto, chiacchierone, intorta tutti per fare una partita a carte, ma perde regolarmente. Se si tratta di fare a botte, scappa, e se raggiunto, le prende.

 

LEBOWSKI

Grosso gatto rosso, maschio. Vive di espedienti. È pigro, ama il bowling, e gli piace molto pisciare sui tappeti. Sembra pacioccone e indifeso, ma è un combattente temibile. Non cerca la rissa, ma se viene seriamente provocato si trasforma in una belva. Poi beve un latte con crema al whisky.

 

POLONIO

Placido gattone bianco e nero, maschio, di età avanzata. Ama leggere gli scrittori russi dell’Ottocento. È decisamente sovrappeso, fa poco movimento, di solito non si sposta dal suo davanzale. Discreto e riservato, non si intromette negli affari altrui, ma regala volentieri un consiglio e un suggerimento, se richiesti.

 

GREGORIO (detto Grisha)

Gatto russo, enorme, temibile, nero, con ciuffi di pelo rosso. Grosso il doppio di un gatto normale, aggredisce anche i cani. Vorrebbe diventare un capo mafia, ma gli altri non lo prendono sul serio perché soffre di eccessiva debolezza nei confronti dell’albana dolce. Se ci si aggiunge una fetta di ciambella, Gregorio sa citare versi di Majakovskij e interi brani del Dottor Zivago (canta anche “Il tema di Lara”).

 

LAGARDERE

Il Cavaliere di Lagardère è un giovane gatto bianco e nero, di umili origini. Ama dire di sé che non è stato un gattino abbandonato, ma TROVATO: da Lebowski e Polonio, che hanno cercato di insegnare a lui e a Kaminski i fondamenti dell’onore felino e le arti del combattimento. Il Cavaliere è sempre stato il più promettente tra i due, ed è diventato un formidabile spadaccino, pronto a difendere i più deboli dalle prepotenze dei cani e degli umani.

 

BEAUREGARD

Il principe di Beauregard è uno splendido siamese strabico, che i padroni hanno fatto castrare perché non schizzasse in giro per la casa. Così ha preso l’abitudine di schizzare nelle case dei vicini, e piscia sui tappeti ancora meglio di Lebowski. Grande artista del vivere a scrocco, riesce a far innamorare di sé tutte le femmine, umane e feline. Ha una ciotola in ogni casa e un cuore spezzato che lo attende ad ogni angolo del quartiere.

 

BEATRICE (detta Bea)

Deliziosa gattina bianca e grigia, profuga dalle coste albanesi: uno scafista l’ha portata in Italia su un salvagente insieme con altri venticinque micini. A lei era toccata la parte col buco. Partita da Durazzo, Albania, e sbarcata in via Bianco da Durazzo, Villa Selva, Forlì, capita in un centro profughi dove è la più piccola tra cinque gatti, e le danno da mangiare solo maccheroni sconditi. Un giorno viene adottata da una coppia di umani che si innamorano follemente di lei e la trattano da autentica principessa di sangue reale. E fanno bene, perché Bea in realtà è la principessa Beatrice di Ungheria, con un albero genealogico lungo da qui alla Patagonia: è stata rapita dai pirati albanesi per chiedere un riscatto che gli avari parenti non hanno voluto pagare, quindi è stata venduta agli scafisti per la vivisezione. Per fortuna è riuscita a fuggire, pur con fortunose vicende, tra cui un femore rotto, che si è poi saldato da solo lasciandole un’andatura un po’ ancheggiante e molto, ma molto sexy. Ha splendidi occhi verdi e il petto e i piedini candidi e morbidissimi, e diventa famosa nel vicinato con lo pseudonimo di “Quattro Calzini”. Bravissima a fare il caso umano, riesce a convincere tutti di essere un gattino abbandonato in cerca di una casa. Intreccia un’affettuosa relazione con Beauregard, che le insegna i trucchi e le astuzie della vita di strada.

 

BETSABEA

Gattina a pelo lungo, profuga dal Kurdistan. Ha viaggiato fino all’Italia dentro a una cassa di mitragliatrici difettose, da restituire alla fabbrica produttrice. I primi tempi indossava il chador, ma la cosa suscitava troppo clamore nella colonia felina di Piazza delle Erbe, così adesso passeggia con la sola pelliccetta grigia, di rara morbidezza. È stata adottata da un’anziana signora che gestisce un negozio d’abbigliamento ormai in via di estinzione, di quelli che l’Oviesse ha destinato allo sterminio senza pietà. La signora ha adottato, oltre a Betsabea, una vasta colonia di felini di varia indole e lignaggio.

LUCREZIA

Nera come il demonio, sinuosa, inquietante, occhi verdi. È una pantera, si aggira solo di notte, e col suo rauco miagolio fa impazzire tutti i gatti maschi della piazza. Gatta fatale, civetta con tutti e se li rigira sulla punta dell’artiglio. Viene spesso omaggiata con lucertole, ragni, topi e uccellini ancora vivi, che finge di rifiutare sdegnosamente, però quando nessuno vede se li mangia: è troppo pigra per cacciare.

 

AGATA

Gattona tigrata, dal folto pelo compatto e dai grandi occhi ambrati. Non è più giovane, si è tolta le sue voglie quando era il momento, e adesso si prende cura delle giovani leve. Sempre pronta a dare consigli, insegnamenti e aiuto materiale, è facile vederla con le covate che le giovani madri le affidano quando vanno a caccia. È bravissima coi cuccioli, e impartisce loro un’ottima educazione.

 

TOPAZIA

Micina di pochi mesi, abbandonata e subito adottata dalla colonia felina di Piazza delle Erbe. È tutta dorata, pelo e occhi: tanto oro che fa luce! La dura e frivola Lucrezia è rimasta colpita dalla sua bellezza aliena, e si prende cura di lei con una sollecitudine inaspettata.

 

CASSANDRA

La gatta indovina. Col suo mazzo di tarocchi, predice l’avvenire ai gatti della colonia felina e a quelli di passaggio. Purtroppo nelle sue carte legge solo brutte notizie, e gli altri si rifiutano di crederle. Poi le disgrazie predette puntualmente si avverano, e tutti dicono che è colpa sua. Per questo è sempre di cattivo umore, ed è bene non avvicinarsi, specialmente quando Kaminski le ha appena chiesto di fare una mano di poker.

 

 

SCIPIONE

Ex professore di greco e latino, ora in pensione, anzi, in congedo, come dice lui. Si lamenta sempre dei suoi scarsi redditi, e la sua frase preferita è “Qui non c’è trippa per gatti!”.  Per arrotondare le magre entrate, fa da interprete a Gregorio, convinto che il greco e il russo siano la stessa cosa. È diventato miope a forza di traduzioni, e trova molta difficoltà a riconoscere i rifiuti commestibili. Per fortuna il Cavaliere di Lagardère gli da una mano (anzi, una zampa) a distinguere fra le teste di pesce e gli ortaggi andati a male. Il professor Scipione aiuta Agata nell’educazione dei piccoli, quando è ora di metterli a letto recita Virgilio e i gattini si addormentano in un attimo.

 

IL CONTE VRONSKJI

Assolutamente temibile: gatto abissino, guercio da un occhio, perso in battaglia contro un branco di dobermann. È il capo indiscusso della colonia randagia che alberga nei Giardini della Prefettura. Nessun gatto di Piazza delle Erbe può avvicinarsi al suo territorio, escluso il Cavaliere di Lagardère, di cui apprezza le qualità di spadaccino e l’alto senso dell’onore. E, come tutti, è perdutamente innamorato di Lucrezia.

 

Era una notte buia e tempestosa… Cominciano così tutti i racconti di paura, o no?

La colonia felina di Piazza delle Erbe era intenta alle solite occupazioni. Sopra una cassetta di frutta rovesciata, Kaminski giocava a carte con Lebowski, Polonio e il Professor Scipione. Tra un “busso” e un “volo”, i quattro filosofeggiavano sulla vita e sul mondo, osservando Gregorio che cercava di vendere mazzi di erba gatta ad una comitiva di turisti giapponesi. Il Cavaliere di Lagardère si aggirava sotto il balcone di Lucrezia, e le offriva una gustosa lucertola ancora quasi viva: la bellissima faceva la sdegnosa, ma si leccava i baffi pregustando la succulenta preda. Beauregard e la principessa Beatrice, Bea per gli amici, erano impegnati in un’accanita battuta di caccia al piccione, mentre Betsabea si faceva leggere i tarocchi da Cassandra e perdeva le speranze di rivedere il suo fidanzato, rimasto nel Kurdistan a combattere contro i gatti afgani.

 

In questo pacifico scenario, irruppe Agata, preoccupatissima. Messi a letto i gattini, si era accorta che Topazia era sparita. Immediatamente, la colonia felina si mise in allarme: i quattro giocatori interruppero la partita a carte, con grande gioia di Kaminski che stava perdendo, Bea e Beauregard lasciarono andare il piccione e Lagardère, sia pure a malincuore, abbandonò il balcone di Lucrezia. Anche Gregorio rinunciò alla comitiva di turisti giapponesi, e tutti insieme frugarono ogni angolo della piazza alla ricerca della piccola Topazia. Niente venne tralasciato: i banconi vuoti del mercato, i cassonetti della spazzatura, le grate di ferro che portavano alle cantine. L’audace Lagardère fece anche un giro per i tetti, e si spinse fino ai vicini cortili della Prefettura, dove viveva una colonia di gatti randagi pericolosissimi. Parlamentò a lungo con il loro capo, il Conte Vronskji, feroce gatto abissino guercio, ma ricevette da lui le più ampie rassicurazioni: tutti volevano bene a Topazia, la gattina d’oro, e nemmeno quei randagi, rifugiati e ricercati dalla polizia felina, le avrebbero fatto del male.

 

Lucrezia era disperata. Amava teneramente Topazia, era il suo cucciolo prediletto, e non poteva rassegnarsi alla sua scomparsa. La chiamò con accorati miagolii, cercò di attirarla con un topolino freschissimo appena ricevuto in regalo da un ammiratore, ma della micina nessuna traccia. Il gruppo, con le orecchie basse, decise di rivolgersi a Cassandra.

 

La gatta indovina li accolse con uno sguardo bieco. Aveva appena finito di profetizzare la morte in combattimento del fidanzato di Betsabea, ucciso quella notte stessa in combattimento dai ferocissimi gatti afgani, e sapeva che, come sempre, non sarebbe stata creduta. Così, solo a malincuore mischiò il suo mazzo di tarocchi per scrutare nel destino di Topazia.

 

La prima carta la fece già rabbrividire, e le seguenti rizzare la pelliccia sulla schiena. Gabbie, umani, prigioni… In preda a grande agitazione, Cassandra andò a cercare la sua arma segreta: una gigantesca lampada che lei sapeva usare come una sfera di cristallo. Gli amici della colonia l’aiutarono a disseppellirla dal suo nascondiglio, un vecchio mobile che il falegname della piazza aveva dimenticato di restaurare, e tutti insieme la trascinarono fino ad una presa elettrica all’interno del mercato. Nonostante la buona volontà di Kaminski, che col suo entusiasmo rischiò di rompere la lampada almeno tre volte, un robusto sforzo di Gregorio e una potentissima testata del professor Scipione permisero al gruppo di accendere la lanterna magica di Cassandra.

 

La gatta indovina incominciò a fissare intensamente la luce. Nessun occhio umano avrebbe potuto tanto, ma Cassandra era un gatto, per giunta dotato di poteri occulti: dopo alcuni minuti di intensa concentrazione, i suoi grandi occhi cominciarono a distinguere ombre e figure tra i bagliori elettrici. Intravide qualcosa di metallico, il sinistro riflesso di oggetti che somigliavano a… sbarre! La visione si fece più nitida: uno stanzone, enorme, col pavimento coperto da scatole scintillanti, in mezzo alle quali si aggiravano figure alte, a due zampe. Non c’erano dubbi, si trattava di umani, e le cose sul pavimento erano gabbie. Cassandra mise a fuoco un particolare della visione: in mezzo al freddo colore del metallo, aveva scorto un bagliore dorato. Era Topazia! Una delle figure a due zampe la teneva per la collottola, e la mostrava ad un altro individuo con un camice bianco.

 

Cassandra chiuse gli occhi. Aveva capito che gli umani stavano preparando un’altra di quelle operazioni che suscitavano il massimo allarme nella colonia di Piazza delle Erbe. Con un deciso colpo di coda, chiamò a raccolta Gregorio, Beauregard e Lagardère.

“Controllo della popolazione felina” – sussurrò con voce sepolcrale.

“Cooosaaaa???” – esclamarono tutti gli altri.  “Ma di’, Cassi, stai dando i numeri come al solito?”

“Per favore, amici, credetemi per una volta. In fondo ci ho sempre azzeccato sulle disgrazie, no? Vi dico che ho visto i bipedi preparare un altro attacco. Ricordate la primavera scorsa, quando erano venuti a portare via tutte le mamme con i cuccioli, e riuscimmo a salvare solo Topazia? Sta per succedere la stessa cosa, e bisogna avvisare subito il Conte Vronskji: loro saranno i primi, e dopo toccherà a noi”.

Fu il professor Scipione a decidere per tutti:

“Banda di lavativi, se foste stati più attenti a scuola, dalle mie lezioni vi ricordereste della profetessa Cassandra, che aveva avvisato i Troiani dell’inganno preparato da Ulisse, e della città distrutta perché nessuno le credette! Almeno fate uno sforzo, cercate di pensare all’ultima azione di “Controllo della popolazione felina” e a quanti di noi sono tristemente e prematuramente scomparsi… Avanti, rimboccatevi la pelliccia sulle zampe, code in spalla, e corriamo ad avvisare il Conte Vronskji”.

 

La colonia felina era ancora un po’ esitante, ma Agata ricordò a tutti che Topazia era sparita, ed era necessario mettere in pratica ogni tentativo per ritrovarla. Non era facile parlamentare con la colonia dei randagi, ma Lagardère e il Conte Vronskji erano gatti d’onore e nutrivano reciproca stima, così una piccola delegazione si avvicinò ai cancelli della prefettura e chiese un incontro con lo Stato Maggiore dei Randagi.

 

Cassandra raccontò la visione avuta davanti alla lampada, e il Conte Vronskji non dubitò: era scappato da troppe gabbie per non riconoscerle negli oggetti di metallo scintillante che erano apparsi alla gatta indovina. Vronskji chiamò a raccolta le sue truppe e preparò l’esodo. Per esperienza sapeva che la battuta di caccia messa in atto dagli umani non sarebbe durata più di quindici giorni, durante i quali la loro colonia si sarebbe rifugiata nelle cantine intorno alla piazza.

 

I gatti di Piazza delle Erbe, per la prima volta, furono autorizzati ad entrare nei misteriosi giardini, per aiutare i randagi ad evacuare anziani e micini. Come sempre, Agata si occupò dei piccoli, questa volta aiutata anche da Beatrice, Betsabea e Lucrezia. Era necessario portare in bocca quelli che non sapevano ancora camminare, così furono chiamati al lavoro anche Kaminski e Beauregard, sempre recalcitranti quando c’era da faticare; intanto Scipione, Polonio e Lebowski si occupavano di convincere i gatti anziani a lasciare per un po’ di tempo gli amati nascondigli. Dai giardini partì una strana processione: Lagardère e il Conte Vronskji, insieme allo stato maggiore dei randagi, aprivano la strada, diretti alle cantine che conoscevano bene. Poi seguivano le gatte coi micini, alcuni in bocca, e i più grandicelli zampettanti in mezzo a loro. Insieme alla popolazione felina adulta, il professor Scipione e gli amici aiutavano gli anziani a trasportare i mazzi di carte e i comodi cuscini a cui non avrebbero rinunciato per tutta l’erba gatta del mondo. Gregorio chiudeva la processione, occupandosi delle riserve vinicole.

 

Le cantine del quartiere offrivano comodi e sicuri rifugi: gli umani ormai non le frequentavano più, perché erano umide e inabitabili, inadatte ad ospitare le loro delicate masserizie, così vulnerabili alla muffa. Purtroppo la mania delle ristrutturazioni restringeva sempre di più lo spazio che poteva accogliere una colonia felina numerosa e prolifica: da un momento all’altro, una vecchia casa veniva sventrata, le cantine distrutte, i cortili ricoperti di cemento, e addio erba, topi, lucertole, e tranquilli rifugi per cacciare ed amoreggiare…

 

Una volta che la colonia dei randagi ebbe trovato alloggio nelle cantine disponibili, fu il momento di organizzare il presidio nei giardini rimasti deserti. Il Conte Vronskji sapeva che gli umani con le gabbie sarebbero arrivati, e voleva tenerli sotto controllo. Con il suo stato maggiore, si appostò nelle tane di osservazione, per seguire le fasi del cosiddetto “Controllo della popolazione felina”. Era così chiamata un’operazione che periodicamente veniva messa in atto dall’amministrazione comunale, a cui si rivolgevano i cittadini che odiavano gli animali, specialmente i gatti, sempre malvisti da chi si sente offeso dalla bellezza e dall’indipendenza. Molti umani potevano tollerare il cagnolino al guinzaglio,  pronto a scodinzolare per avere il suo osso, ma perdevano il lume della ragione alla vista delle flessuose creature che non avevano bisogno di loro. Così invocavano azioni di “pulizia etnica” in nome dell’igiene: come se ci fosse creatura più pulita di un gatto…

 

L’attesa fu lunga, ma il felino, si sa, è paziente: dopo tre giorni, videro arrivare gli umani e li osservarono mentre disponevano le gabbie nel loro giardino. Il piano era ben noto, e sperimentato: non dare alcun segno di vita, e attendere che gli umani, stanchi di aspettare, smontassero i loro attrezzi di tortura e se ne andassero. Di solito, per incoraggiarli, facevano trovare nelle loro gabbie qualche grosso topo di fogna inferocito, e se la ridevano nascosti sui tetti. Il felino, si sa, è anche spiritoso.

 

Quella volta fu diverso: gli umani erano accompagnati dall’individuo col camice bianco che era apparso nella visione di Cassandra, e un sinistro camioncino era appostato fuori dal cancello dei giardini. La disposizione strategica delle gabbie fu particolarmente accurata, studiata da qualcuno che conosceva a fondo la psicologia felina, e il Conte Vronskji aveva capito che di mezzo c’era sicuramente un veterinario. Ogni tanto arrivava qualcuno della loro specie, capitava che un umano di buon cuore desiderasse curare le malattie dei randagi, ma i nostri fuorilegge non si fidavano, e non si facevano avvicinare mai da alcun bipede, anche se armato di buone intenzioni: più spesso, erano armati di bastoni e oggetti contundenti… In questo caso, però, qualcosa di sinistro faceva presentire futuri, tragici sviluppi, e l’esperta in materia, naturalmente, era Cassandra.

 

Il Conte Vronskji propose il contatto. La gatta indovina, come sempre, non si fidava, ma il Cavaliere di Lagardère la convinse che il Conte era gatto d’onore, e che era in gioco la salvezza di entrambe le colonie, e di Topazia. La sparizione della micina era sempre avvolta nel mistero, ma sembrava evidente il legame coi bipedi, l’uomo dal camice bianco e il  camioncino.

 

Era necessario procurarsi una lampada: i tarocchi non erano sufficienti a scrutare una situazione tanto delicata. Ma non era possibile usare la solita lanterna di Cassandra: il mercato era presidiato dai bipedi, che cercavano di spingere i gatti nella zona delle gabbie. L’idea venne a Beatrice: i suoi umani erano in possesso di una torcia da campeggio. Era necessario andare a prenderla, e si sarebbe servita dell’aiuto di Beauregard.

 

L’umana di Beatrice amava svisceratamente i gatti, ed era sempre disponibile a fornire gigantesche razioni di cibo a tutti gli amici di Bea che passavano in visita. Beauregard era il suo preferito, non sapeva resistere ai suoi occhioni strabici e alle sue fusa travolgenti. Così i due amici mici si occuparono di intrattenere la signora, con tutte le malizie del fascino felino, mentre il resto della colonia tentava di impadronirsi della torcia da campeggio.

Non era facile, perché l’avevano incastrata in una presa elettrica del muro: l’iniziativa era lodevole, in quanto permetteva di tenerla sempre carica, ma complicava di molto l’impresa del gruppo. Fu decisiva l’abilità di Gregorio: le sue unghie abituate a scassinare serrature e ad aprire scatolette non ebbero difficoltà a svellere la presa dal muro, mentre Lebowski lo sorreggeva sulla schiena. Kaminski avrebbe dovuto afferrare la torcia al volo, ma come c’era da aspettarsi, la mancò, e l’oggetto cadde rumorosamente al suolo. Per fortuna, l’umana era troppo occupata con Beatrice e Beauregard che la coccolavano: il professor Scipione riuscì ad afferrare la torcia e passarla al Conte Vronskji prima che il gruppo fosse scoperto.

 

Nelle cantine, Cassandra scrutò a lungo la luce proveniente dalla pila, finché un’immagine le si presentò davanti. Topazia! Era ancora rinchiusa in una gabbia, con uno strano essere affusolato, dai lunghi denti. Accanto c’erano vetri e scaffali. Un negozio di animali, ecco dove l’avevano portata! I bipedi delle gabbie avevano venduto la micina tutta d’oro a un commerciante di animali: per questo la guardavano con tanto interesse.

 

Ma come fare a scoprire dove si trovava il negozio? La città era grande, e molti Pet Shop erano in periferia, senza contare che qualcuno poteva aver portato Topazia in un luogo lontano. Bisognava scrutare ancora nella lampada. Gli occhi di Cassandra erano stanchi, ma il professor Scipione la incoraggiava: era necessario salvare la gattina, prediletta da tutti loro. Cassandra chiamò a raccolta tutte le sue forze, e continuò a scrutare la luce della torcia alla ricerca di indizi utili. Cercò di ampliare la sua visione, e dopo numerosi tentativi riuscì a vedere cosa c’era davanti alla vetrina: il sinistro camioncino. E dentro al negozio, il bipede con il camice bianco.

 

La colonia felina capì che era necessario seguirli. Non era facile, i gatti non sanno guidare una macchina, né una bicicletta, e non era neppure possibile dirottare un aereo, ma il saggio professor Scipione ebbe un’idea luminosa: il giorno successivo, uno di loro si sarebbe nascosto nel camioncino e avrebbe liberato Topazia.

 

Occorreva un coraggio mostruoso per cimentarsi in una simile impresa: solo il Conte Vronskji sembrava all’altezza. Il gatto abissino guercio aveva sfidato tutti i pericoli in cui può incorrere la vita avventurosa di un felino randagio, ma quando, il giorno dopo, cercò di infilarsi nel nascondiglio scelto, scoprì di essere troppo grosso. Uno dopo l’altro, tutti i gatti della colonia felina ci provarono, ma qualcosa rimaneva sempre fuori: la coda, una zampa, un pezzo di orecchio. L’unico portatore della corporatura adeguata risultò Kaminski, snello e affusolato, ma noto per i risultati disastrosi delle sue imprese.

 

Quella volta però non furono necessarie le prediche del professore o della saggia Cassandra. Il nervoso e ipersensibile Kaminski capiva benissimo che la vita di Topazia era nelle sue zampe, e decise di impegnarsi come mai aveva fatto nei suoi due anni di vita. Nascosto dentro a uno spazio piccolissimo nel portabagagli, in una vecchia ruota di scorta, si concentrò con una serie di esercizi Yoga, e stava già per addormentarsi, quando il camioncino frenò. Il distratto micio fu quasi sbalzato fuori, e solo la sua velocità nella fuga evitò di farlo scoprire quando i bipedi aprirono il portellone. Come un fulmine, sgattaiolò tra i loro piedi e si nascose nel retro del negozio, da dove cominciò a studiare la situazione.

 

Vedeva bene Topazia: era in vetrina, chiusa in gabbia insieme con un furetto. La feroce bestiola la mordeva e la tormentava, e Topazia ormai non aveva neanche la forza di piangere: arruffata e spelacchiata, stava nascosta in un angolo, col musino tra le zampe e gli occhietti chiusi.

 

Kaminski aspettò la chiusura del negozio: non era difficile per lui aprire la gabbia, il problema era non fare uscire il furetto! Qui gli vennero in aiuto gli insegnamenti del professor Scipione: il saggio cultore di lettere classiche aveva sempre invitato gli allievi a parlamentare, prima di dare battaglia. All’epoca loro erano solo micini irruenti, che avrebbero pagato per una rissa come si deve, ma in quella situazione di emergenza Kaminski valutò l’importanza dell’educazione ricevuta. In fondo il furetto cosa ci guadagnava a inseguire lui e Topazia? Meglio un bel sacco di mangime fresco, e poi la libertà…

 

Così Kaminski si avvicinò alla gabbia, e trattò a lungo con la bestiola, un animaletto dispettoso che si fece pregare un bel po’, ma alla fine giunse a miti consigli. Accettò la proposta del nostro amico, che in un baleno aprì la gabbia, e raccolse la piccola Topazia, tutta tremante.

 

“Oh Kaminski, che paura ho avuto! Quei bipedi mi hanno preso perché ero salita su un albero: inseguivo una lucertola, ma loro sono stati più svelti di me. E che fame! Non mi rimane niente da mangiare, quel mostro si porta via tutto…”

 

Il gatto cercò di convincerla che non c’era tempo per mangiare, ma capì che la gattina, così debole, non sarebbe riuscita a tornare nella loro piazza. Veramente, non era neanche sicuro di sapere dove si trovava… Così la rifocillò con un pugno di croccantini trovati in negozio, e si accinse all’impresa di aprire la porta. Si rese conto che non era possibile forzare quel tipo di serratura: era necessario arrampicarsi fino in cima agli scaffali e cercare di raggiungere la finestra che i negozianti avevano lasciato aperta.

L’arrampicata fu facile anche per la piccola Topazia: il felino è agile, anche a pochi mesi. Quello che preoccupava Kaminski era la discesa al suolo, e soprattutto il ritorno a casa. In quale parte della città si trovavano, rispetto alla Piazza delle Erbe? Non era stato molto attento durante il viaggio di andata, si era anche addormentato… Per fortuna, arrivati all’aperto, si accorse che una macchina era parcheggiata proprio sotto alla finestra del negozio. Con un balzo, i due furono sul tetto, e in quel momento le portiere si spalancarono.

 

Kaminski si aspettava di tutto: bipedi in camice bianco, veterinari, furetti armati fino ai denti. Invece, dalla macchina saltò fuori l’intera colonia felina di Piazza delle Erbe. Come era possibile?

 

Beatrice si era fatta dare un passaggio dalla sua umana: durante la consueta passeggiata serale, l’aveva condotta fino alla macchina, e a forza di disperati miagolii, l’aveva convinta ad aprire la portiera. L’umana, sbalordita, aveva visto la Gatteria al completo balzare dentro la sua vecchia e scassata macchinina, prendere posto sul sedile posteriore, e farle capire chiaramente che bisognava andare da qualche parte. Dove, non lo sapevano nemmeno loro, ma era necessario andare.

Per l’umana ogni desiderio di Beatrice era un ordine: inforcò gli occhiali, riuscì a mettere in moto il macinino, e partì. Cassandra scrutava nella torcia da campeggio, dava le coordinate, e il professor Scipione suggeriva la direzione con la coda. Fu necessario battere la città palmo a palmo, ma il negozio fu trovato, e i gatti messi in salvo. Verso mezzanotte, lo strano equipaggio sbarcò nella piazza, dove erano attesi dal Conte Vronskji e dal suo Stato Maggiore dei Randagi. L’eroismo e l’astuzia di Kaminski furono oggetto di lodi e di leggenda per molti anni a venire: durante innumerevoli partite a carte  fu invitato a rievocare i particolari dell’avventura, e in quelle occasioni gli amici cercavano anche di farlo vincere, impresa assai più difficile che la liberazione di Topazia.

 

Dopo pochi giorni, i bipedi delle gabbie abbandonarono il tentativo di controllo della popolazione felina: come si sa, il felino è incontrollabile, affascinante e imprevedibile. L’umana di Beatrice non capì mai cosa fosse successo, perché era un po’ tonta, ma fu contenta lo stesso della sua gita: si affezionò a Topazia, la gattina tutta d’oro, e la accolse come ospite fissa alla sua tavola.

 

Tutto ritornò come prima: si cacciava, si amoreggiava, si giocava a carte e si intortavano i turisti giapponesi. Solo Cassandra, per un po’, si rifiutò di guardare ogni tipo di luce artificiale: i suoi delicati occhioni verdi erano molto, molto stanchi. Però gli amici, riconoscenti, cominciarono a prendere sul serio le sue profezie, e per merito suo, e dei saggi consigli del professor Scipione, la colonia felina visse, proliferò e si moltiplicò ancora a lungo nella Piazza delle Erbe. Per molti anni, si raccontarono ai micini le leggendarie imprese del Conte Vronskji, delle gabbie e dei furetti, finché un micio istruito decise di scrivere tutta la storia, così come è arrivata a voi, e il professor Scipione la tradusse in latino, in greco, e anche in russo, che tanto, secondo lui, è uguale.

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8 Replies to “La gatteria di Piazza delle Erbe”

  1. I gatti sono carini ma fanno strage di uccellini, in pratica sono in cima alla catena alimentare. Se non vi interessa degli animali ma solo dei gattini siete specisti, in Inghilterra il fenomeno dei gatti domestici che predano le specie autoctone è già un problema.. Si calcola che vengano uccisi circa 10 milioni di uccellini nel nido all’anno.. Il passero è estinto nelle grosse città mentre in campagna da fatica.. Lo stesso succede in Italia dove il passero e altre specie a causa di inquinamento e predatori sta scomparendo. Ma l’importante è avere tanti gatti…

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