Tre cose mi sono subito balzate alla mente leggendo il presente volumetto: un passaggio della poesia di Pablo Neruda Muore lentamente; il film di Claude Sautet Un cuore in inverno; la straordinaria parabola, umana e poetica, di Arthur Rimbaud.
Molte le analogie e le suggestioni che derivano da una lettura comparata fra questo testo letterario e quello filmico: il sottile cinismo dei protagonisti maschili (Alessandro e Stéphane), il sapore dolce-amaro della comune solitudine, la prepotente affermazione della corporeità espressa dall’uso del violino, reale nel film, metaforico nel racconto di Hunt.
Singolare, e a tratti sconcertante, appare invece il comune modo di intendere la vita e l’esperienza poetico-letteraria di questo giovane scrittore e dell’illustre caposcuola francese.
Alessandro e la sua amata in Gli occhi sono sempre gli stessi rompono l’incanto che li ha tenuti insieme, lei per quell’incontenibile fame di appropriazione e di trasformazione che costringerebbero l’amato bene a rinnegare se stesso, la propria identità e costituzione; lui per l’incapacità di stare dietro o tenere testa ai suoi umori, ai suoi bisogni, alla sua fragilità.
P., colei che vive nel racconto e nel segreto del suo cuore, è una donna unica, ma in qualche modo le rappresenta tutte. Racchiude grandi qualità, bellezza e capacità di seduzione. Ma tutto ciò non basta, non funge da possibile collante, né riesce a sanare le fratture.
Si ama e nel contempo si cambia, si cresce al punto, a volte, da diventare estranei e prima ancora nemici, incapaci di rivolgersi sguardi d’amore. Quegli stessi che hanno fatto innamorare.
Amare si impara nel Tempo e a proprie spese. Non per sentito dire.
L’adolescente sogna l’amore immaginandolo e vivendolo in astratto, idealizzando e creando miti, lasciandosi sfiorare da desideri ancora inconfessabili, sospesi.
Come l’onda di Leggero come uno scoglio.
Crede, e lo fa in perfetta buona fede, che è possibile morir d’Amore.
Poi viene l’amore reale, che a volte non soddisfa come il sogno, e la realtà risulta più brutale e spoetizzante.
Due diversi racconti, due esperienze; potremmo dire un po’ schematizzando il prima e il dopo, la sorgente e la foce, il passaggio da una fase di vaghe attese e di speranze, non meno che dolori, alla crudeltà del quotidiano, dove le maschere adottate o i trucchi risultano svelati e non puoi trovare il modo di nasconderti.
Piccolo viaggio nel pianeta Amore.
Il luogo degli eventi irripetibili, irreversibili. Tutta la vita in realtà è una sequenza di atti(mi) irreversibili, ma solo alcuni restano indelebili nella memoria, quelli che in qualche modo fanno traballare il cuore, per infinita emozione, per estasi o per dolore e disincanto.
Per fortuna c’è la memoria.
Serbatoio segreto e irrinunciabile, eden o inferno, madre della nostalgia e del desiderio.
Quando vogliamo possiamo serrarci a quelle immagini che ci hanno fatto star bene, sbiadendo i contorni del dolore ed esaltando le tonalità del godimento. E se qualcosa ci manca inventarlo di sana pianta, barando se la Verità mette in campo uno scenario di tutt’altra specie.
Il Tempo ci asseconda o ci diventa nemico, possiamo noi decidere.
In Amore non sempre è un valido alleato, pur con le migliori intenzioni di partenza.
Si può divenire preda della consuetudine, oppure illudersi di evitare la noia operando una continua fuga. Ma è una presa in giro con se stessi. Non si può amare un Altro relegandolo in un angolo o abbandonandolo sulla scia del proprio essere. Per amare devi uscire da te stesso, dall’angusto limite della tua sopravvivenza. Implica rischio, come ogni salto nel vuoto o operazione a perdere.
Farsi allora distruggere, divenire preda di un Amore assoluto o regolarne i battiti in un regime di controllo?
Illusioni, dove si è in due non è possibile applicare la legge del più forte: non è più Amore ma un rapporto malato, condannato alla dissoluzione.
Lo sa bene Alessandro, che ha tentato di padroneggiare gli eventi, tenendo a galla una barca in un mare di lusinghe e di insidie. Troppe falle perché il capitano non si veda costretto alla fine ad abbandonare la nave. Una nave su cui ha conosciuto la felicità, anche se quel tragitto non è mai stato tranquillo. Ma si sa, gli amori felici non fanno Storia.
Attese estenuanti, incomprensioni e distanze – non solo geografiche – morsi del tradimento e inevitabili accuse reciproche portano alla chiusura di una storia d’amore che sembrava destinata a durare.
E forte è ovviamente il disincanto che ne deriva, la momentanea eppur salda convinzione che nessuna creatura potrà mai approdare e restare saldamente ancorata all’attracco del suo cuore; che la sola perfetta compagna di quel giovane vecchio si chiamerà solitudine, la vibrazione di se stesso nell’aria, nel vento.
La contraddizione è in tutto, e nello stesso momento in cui mostra una nuova coscienza e sicurezza di sé percepiamo e speriamo che Alessandro incappi di nuovo in un evento inaspettato quanto irripetibile, che lo porti ancora a sbagliare e (far) soffrire, ma anche a gioire per averci creduto di nuovo. In un Amore possibile.
Nonostante le attese, le distanze, le lacrime, le bufere del vento e del cuore.
Sento il rimbombo della coscienza critica, che mi ripete convinta:
“Non è meglio lasciar perdere e accontentarsi di una pacata felicità?”
Poi la medesima risposta in forma di sentenza e di domanda.
…Tanto vale sradicarsi il cuore.
No. Mai vivere senza.
Facciamolo pure a pezzi. Prima o poi, forse, ricrescerà.
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