di Flavia Chiarolanza
Proviamo ad immaginare un attore che non solo diventa altro da sé, come esige il suo mestiere, ma addirittura altro rispetto ad un essere umano. Un burattino, per esempio, costretto ad immobilizzarsi in qualunque posizione si decida di abbandonarlo.
Disordinati come un quadro astratto, ma senza la mediazione della tela e dunque alla mercé del più piccolo fremito, i corpi in scena si disarticolano e danno al pubblico l’illusione di osservare realmente pupazzi in legno mossi da fili invisibili, anziché attori fatti di carne e ossa.
Per questo è impossibile non innamorarsi all’istante dello spettacolo portato in scena da Marcella Vitiello al Nuovo Teatro Sanità di Napoli, con l’ausilio di una compagnia il cui stesso nome invita a cullarsi in dolci illusioni: Imprenditori di sogni. Per realizzare un sogno occorre afferrarlo e trattenerlo tra le dita senza attendere manne dal cielo, e dargli quel minimo di consistenza che ne permetta la condivisione.
“Bisogna saper essere imprenditori di se stessi”, spiega con orgoglio Emma Di Lorenzo, addetto stampa della compagnia e giovane aspirante giornalista, decisa a far professione delle parole.
Il Teatro che ospita la piece sorge nel Rione Sanità, quartiere di Napoli identificato più con i luoghi della criminalità e del bullismo da strada che non con il caratteristico sobborgo in cui nacque Totò.
Teatro Sanità, semplicemente: così hanno voluto battezzarlo i membri del Collettivo diretto da Mario Gelardi, per rimarcare l’appartenenza ad un territorio che cerca riscatto. E la bellezza dell’arte è sempre purificatrice.
Il testo rappresentato è una farsa per burattini di Garcia Lorca, rimaneggiata dalla stessa Vitiello che ne firma anche la sognante regia. “Il teatrino di Don Cristobal”: un piccolo teatro che si apre sulla scena e narra al pubblico in sala una storia semplice e buffa, di quelle che solo i burattini sanno raccontare con la loro spensierata leggerezza.
Avevo già ammirato Marcella nelle vesti sensuali di Maria D’Avalos e in quelle austere di Mariangela Ardinghelli ai tempi di Millarcum. In questa piece incarna il ruolo di un Poeta che assiste alla vicenda teatrale e ne accompagna la trama con versi grondanti malinconia e tenerezza. Indimenticabile la scena in cui questo delicato Poeta, vestito come uno spaventapasseri e sdraiato in terra, gioca con la piccola marionetta infilata nella mano; e dietro di lui l’attrice Sara Missaglia ne riproduce aspetto e movimenti alla perfezione, quasi fosse un’emanazione di quel sogno. Bambola e attrice si muovono dunque all’unisono: l’una guidata dalla mano del Poeta, l’altra dal puro istinto, perché può solo intuire e non certo vedere i gesti della sua omologa in miniatura.
Bravissimi tutti gli interpreti, che dimenticano le articolazioni di cui sono naturalmente dotati per trasformarsi in autentici burattini: braccia piegate e immobili, visi che non riescono a volgere lo sguardo intorno se non portandosi dietro l’intero busto, corpi che si accasciano allorquando la mano dall’alto ne abbandona i fili; e restano muti in assenza di suoni e narrazioni esterne.
Il Don Cristobal del titolo – Francesco Saverio Esposito – è un anziano signore benestante che cerca una moglie giovane; Sara Missaglia interpreta Rosita, venduta come sposa dalla propria madre – Patrizia Di Martino – che decide sia giunto il tempo per la figlia di placare le legittime voglie di donna in piena fioritura; Fabio Balsamo è di volta in volta il sacerdote che celebra il matrimonio, il focoso torero e il simpatico pittore: questi ultimi più che mai lesti nell’intercettare le brame della sposina, lasciate insoddisfatte dal maturo consorte. Niko Mucci è lo splendido, cinico, misterioso Direttore della compagnia, in perenne conflitto con la romantica visione che il Poeta ha della vita e delle sue meraviglie, a partire dalla luna in cui ama identificarsi per i colori pallidi, ben lontani dalla luminosa appariscenza del Sole.
Deliziosi i brani cantati dai protagonisti sulle musiche originali di Luca Toller e dello stesso Mucci: le loro note ricordano a tratti le melodie di un carillon, di quelli che le mani di protagonisti infantili solitamente aprono nei libri di fiabe; e disegnano nella mente la perfetta immagine di un carrozzone che trascina sogni ovunque vada, lanciando fiori e coriandoli ai margini delle strade.
I costumi di Federica Amato sono colorati e chiassosi come le illustrazioni di un libro. Il Teatrino delle Marionette, costruito nel Teatro degli uomini, è una splendida creazione di Anna Seno.
Svariati pensieri mi attraversano la mente durante la rappresentazione e dunque chiedo subito a Marcella:
Quanto c’è di tuo in questo riadattamento dal testo primigenio di Lorca?
Vorrei che ci fosse Lorca attraverso i miei occhi. Nell’elaborare un testo, mi chiedo sempre se all’autore piace ciò che sto facendo, se si sente ritratto come vorrebbe. Nasce così un dialogo muto alla ricerca di un segreto che loro posseggono, e che io vorrei carpire. A volte invece sento che devo uscire fuori e destrutturare tutto, ma guardando sempre a loro.
Perché la tua scelta è caduta proprio su questo autore e su questo lavoro?
El Retablillo de Don Cristobal è un testo che adoro fin dai tempi della scuola. L’ho portato dentro di me e più di una volta ho cercato l’opportunità di farlo nascere come avrei voluto.
Quest’anno la Compagnia Imprenditori di Sogni, nella persona in particolare di Fabio Balsamo, mi ha permesso di realizzarlo secondo i miei desideri e le mie intenzioni. Il primo, sentito ringraziamento va ovviamente a loro.
È stato difficile manipolare i dialoghi originali, ed armonizzarli con la tua personale visione del testo e dei personaggi?
Per me il teatro non è un’arte solitaria. I fogli del mio copione sono legati con uno spaghetto, pronti per essere sciolti e ricuciti. Ho il mio punto di vista, questo certamente. Ma le prove sono sempre una condivisione, ed io prendo al volo quello che i miei compagni mi suggeriscono mentre si lavora. È così che nasce un’idea, e una scena nuova da introdurre nel testo originale. Questo però avviene solo quando l’intero gruppo ha piena cognizione di ciò che si sta facendo, e dunque si va tutti nella stessa direzione.
Mi dicevi che alcuni brani, in particolare lo scambio di battute tra il Poeta – da te interpretato – e il Direttore Niko Mucci, sono tratti da opere diverse di Lorca. Puoi elencarcele, per dare a tutti noi la possibilità di acquisirne conoscenza, e spiegarci poi i motivi di tale commistione?
Quando ho sentito il bisogno di rafforzare il rapporto Poeta/Direttore di scena, ho trovato ne Il Pubblico ciò che cercavo. È un testo scritto da Lorca nel 1930, poco conosciuto e poco rappresentato ma così onirico e bello! Così come alcuni brani tratti da Le marionette hanno arricchito il testo all’interno del teatrino.
Se mi giro indietro, vedo che è stato un lavoro indubbiamente complesso ma al tempo stesso facile. Perché ogni volta che ci siamo trovati di fronte ad un intoppo, la risposta è arrivata da Lorca. Semplicemente. Sai che è già tutto lì, in quello che ha scritto.
Immagino sia stato difficile mostrare ad un attore, mentre lo si dirige, come immedesimarsi in una marionetta: puoi svelarci il trucco? Hai seguito ed applicato un metodo preciso, oppure hai lasciato che ogni attore trovasse da sé la propria ispirazione?
Bisognerebbe chiedere ai miei compagni di lavoro quanto sia stato faticoso il processo interpretativo. Alle prove ho portato con me un burattino donatomi da Bruno Leone: Rosita. È stata viva per tutti noi. Penso che sia stata lei a dare le direttive sui movimenti agli attori…
A parte gli scherzi, non è semplice comunicare attraverso una gestualità corporea diversa. Ogni attore sa l’importanza e la potenza del gesto. Ma quello che per il nostro corpo di essere umani è ovvio, non lo è per il corpo di un burattino. Il risultato ha però un impatto immediato sul pubblico e il gesto sacrificato nel termine di fatica corporea diventa potentemente comunicativo.
Parlaci della compagnia “Imprenditori di sogni”.
Sono stata orgogliosa di lavorare con Patrizia Di Martino, Niko Mucci, Fabio Balsamo, Francesco S. Esposito e Sara Missaglia. Non sono ringraziamenti di rito, ma certezza di aver avuto alle spalle solide braccia: la splendida scenografia di Anna Seno così funzionale e bella, i costumi di Federica Amato deliziosi ma soprattutto comodi, la grande professionalità di Emma Di Lorenzo e Marco Serra, il mio assistente alla regia. E poi questo spettacolo non poteva aver vita senza le musiche di Niko Mucci e Luca Toller: sono la scintilla di tutto.
Dalla tua interpretazione è emerso tutto l’amore per il personaggio del Poeta. Come sei riuscita a costruirlo in modo da renderlo così struggente e vero?
Il Poeta è una parte di me, la parte più nascosta. È un personaggio a cui senti di dover donare sempre di più.
Cosa ti è sembrato più difficile, nel corso dell’allestimento?
Dividersi tra regia e lavoro sul personaggio.
Hai in progetto altri lavori di riadattamento, o c’è spazio in futuro per un testo originale scritto da te?
Il futuro? È come viaggiare su un binario affrontando uno scambio ferroviario. Questo è il periodo più strano di tutta la mia vita. Ho subito una grande perdita che mi ha lacerato nel profondo. Sono rimasta attonita per tanti mesi ed ora finalmente respiro. Si può vivere senza l’arte, la poesia e l’immaginazione? Nel fare lo spettacolo, ci siamo posti questa domanda. La risposta è in ognuno di noi.
Lorca ha il dono di descrivere la realtà, con tutte le sue amarezze, attraverso le sfumature di mille colori e parole. È sempre un piacere vederlo rappresentato nei teatri campani: auguriamoci che il sodalizio tra la poesia agrodolce delle sue farse e quella dei colorati rioni napoletani possa rinnovarsi nel tempo.
Ciao, e auguri a tutti di simpatiche scampagnate sul carrozzone dei sogni.
(Foto di Mariarosaria Piscopo e Carmine Luino)
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