Il cinema morirà?

«Il cinema è nato ibrido. Ibrido di tecniche, tecnologie e forme di espressione artistica […] ha inaugurato il ventunesimo secolo facendo nascere da una mescolanza di linguaggi una nuova, potentissima, fucina d’immagini ed emozioni. Ha ingurgitato le esperienze e le arti della pittura, della fotografia, del teatro, della musica per rigurgitare un medium nuovo […]. All’alba del nuovo millennio la contaminazione viene elevata all’ennesima potenza grazie all’avvento dell’informatica e delle tecnologie digitali, della rete e degli ipertesti. Del virtuale. Tutto ciò stimola un rinnovamento del linguaggio e delle sue forme, ma determina soprattutto una forte amplificazione del potere di sollecitazione visiva del cinema. Tutto sommato il cinema – com’è oggi – non è mai stato così infinito».

Così definisce il cinema, la giovane autrice Michela Greco, nel suo libro Il digitale nel cinema italiano. Estetica, produzione e linguaggi (2002). In effetti, si può tranquillamente affermare che attraverso le tecnologie digitali, per certi versi, vi sia stata un’amplificazione del potere del cinema.

Pertanto il cinema – come invece molti esperti del settore paventano – non morirà ancora a causa di internet o della digitalizzazione, bensì grazie a esse potrà godere di un grande rinnovamento, auspicare una nuova vita, risorgere. Lo scrittore Massimo Nardin ha detto – riferendosi alle realtà virtuali – «No, il cyberspazio non distruggerà La Gioconda né il piacere di far visita al Louvre insieme con tanti stranieri: ci penseranno, semmai, il potere del tempo e dell’uomo».

Ma ci sarà sicuramente chi ancora teme e rifiuta fermamente le innovazioni in ambito cinematografico; forse gli si potrebbe ricordare che fin da tempi remoti l’uomo ha avuto l’esigenza di comunicare pensieri, paure e gioie, in svariate forme che con il tempo si sono evolute. L’uomo preistorico disegnava graffiti sulle pareti delle caverne, poi le tribù hanno iniziato a riunirsi intorno al fuoco per raccontare storie, in seguito è nata l’esigenza di esprimersi attraverso forme figurative più complesse come la pittura, il teatro (in tutte le sue accezioni) e non ultima la scrittura; alla fine del 1800, dall’incontro tra Daguerre e Niépce, nasce l’invenzione della fotografia che negli anni seguenti porterà allo sviluppo di un’ennesima via d’espressione dell’uomo: il cinematografo.

È indubitabile, dunque, che da sempre il bisogno di espressione creativa dell’uomo è stato accompagnato dall’adozione di quelle tecnologie che egli ideava, allo scopo di comunicare in maniera di volta in volta diversa, più incisiva, più libera. È, altresì, innegabile che allo stesso tempo le innovazioni abbiano regolarmente spaventato l’uomo. Forse per paura dell’ignoto o forse della troppa libertà.

Quando i primi produttori indipendenti americani cominciarono a produrre film a basso costo, furono fortemente criticati dal mondo del cinema, ufficialmente perché i prodotti realizzati non rispecchiavano i canoni imposti dalle major del settore, in realtà le stesse grandi case di produzione erano spaventate dall’eccessiva libertà di questi nuovi autori. Personaggi come Roger Corman, tra gli anni 60’–70’ del secolo scorso, hanno dato impulso, attraverso film definiti di serie “B”, alle produzioni indipendenti e a quel fenomeno che va sotto il nome di “nuovo cinema americano” in antitesi con il cinema classico. Quella ventata d’innovazione nel cinema provocò la crisi delle major; nondimeno portò alla nascita di artisti – e relativi film cult – celebri, per citarne solo alcuni, Spielberg, Scorsese, Coppola, De Niro, Nicholson, Fonda e la lista potrebbe continuare.

Facendo qualche passo indietro scopriamo che la prima volta in cui i fratelli Lumière organizzarono una proiezione (all’interno di una piccola sala parigina) il pubblico fuggì spaventato. L’ingenuo pubblico dell’epoca immaginò con orrore, vedendo una semplice sequenza in cui un treno arrivava in stazione, che il mezzo potesse realmente piombargli addosso. Con il tempo le persone impararono a dare il giusto valore a quelle immagini.

Un’immagine è rappresentazione della realtà, si tratta di finzione e ovviamente non può far del male fisicamente, piuttosto può suscitare piacere, paura o disgusto. Quello che conta pertanto è ciò che esprime l’immagine, fissa o in movimento che sia, poco importa poi se realizzata in HD, pellicola o dipinta, se veicolata attraverso la rete o proiettata su un grande schermo di tela. L’importante è potersi esprimere. Tutto il resto è naturale evoluzione delle cose. Un’evoluzione che permetterà, in un futuro non lontano, l’apertura a nuovi e imprevedibili orizzonti.

Ben venga dunque l’evoluzione.

 

Lumière: L’Arrivée d’un train à La Ciotat (1895)

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