di Elisa Scaringi
La parola “viaggio” può assumere molte sembianze: i più la fanno corrispondere alla “villeggiatura”, rappresentandone così il senso comune; ma alcuni guardano al suo volto meno superficiale e sicuramente difficile da incontrare. Il “viaggio”, infatti, può essere qualcosa di assolutamente differente da una semplice “vacanza”, eppure avere la capacità di farci scoprire quello che di inaspettato può nascondersi dietro una persona, e non in un luogo ben definito. Questo è ciò che accade in due film italiani usciti in queste settimane nelle sale cinematografiche: Easy, opera prima di Andrea Magnani, e L’ordine delle cose, per la regia di Andrea Segre. Le storie, pur essendo diametralmente opposte, hanno qualcosa in comune: fare del “viaggio” un’avventura alla scoperta della propria interiorità; quella vera che anima ciascuno di noi e che spesso nascondiamo sotto il peso delle apparenze più vane.
Easy, il protagonista dell’omonimo film, è un bambinone cresciuto troppo, isolato nella sua stretta camera da letto e costretto a uscire dal fratello, più per affari personali che per una reale preoccupazione. Il suo viaggio in macchina verso l’Ucraina, per riportare a casa la salma di un operaio, si trasforma in un percorso verso la “denudazione”: perde i soldi, il cibo, l’automobile, il navigatore, il cellulare, ma non la bara; quell’oggetto così ingombrante e senza voce che sarà, in realtà, la sua salvezza. La meta da raggiungere, inizialmente così distante e quasi aliena, nel corso del lungo cammino si trasforma in un obiettivo irrinunciabile: Easy scopre, infatti, la sua grande potenzialità interiore, nonostante un recente passato fatto di chiusura e depressione.
Nel film di Andrea Segre, invece, il “viaggio” è quello di un funzionario statale, Corrado, il cui lavoro è la mediazione in situazioni internazionali di particolare crisi umanitaria. Facendo la spola tra la provincia di Padova e la Libia, cerca di trovare un compromesso: con lo Stato, che gli chiede risultati veloci, e con la Guardia Costiera libica che cerca di non avere nulla a che fare con l’esercito corrotto. Ma anche con quella giovane donna, che tenta l’ultima carta per il futuro della sua vita: un azzardo che sembra scalfire il cuore di un uomo ligio al proprio dovere, e comunque capace di avere uno sguardo compassionevole verso l’altro, che tenta in qualsiasi modo di agganciarsi al proprio “futuro”. Eppure questo suo viaggio alla ri-scoperta del proprio “cuore” viene rinnegato proprio alla fine, quando sarebbe il momento di far seguire alla preoccupazione le azioni di bontà. Un volta faccia inquietante; quello di un uomo che, di fronte al compromesso con la propria vita fatta di benessere e agiatezza, decide di non rischiare nulla. E si ferma.
Due modi, dunque, di affrontare il cambiamento cui i viaggi “veri” ci conducono: Easy si lascia afferrare dalla speranza che il domani porta con sé; Corrado rimane un semplice funzionario statale, coerente col proprio mestiere, ma meno nei confronti di una coscienza che avrebbe optato sicuramente per la scelta opposta. Andrea Magnani, attraverso un road movie all’italiana molto ben riuscito, narra, quindi, di una coscienza capace di liberarsi dagli orpelli di una vita faticosa e spesso segnata dai giudizi altrui. L’ordine delle cose, che colpisce per la lungimiranza di fatti poi realmente accaduti, denuncia, invece, lo scandalo di cittadini che decidono di girarsi dall’altra parte, e dimenticare tutto ciò che di brutto continua ad accadere. Proprio sotto il nostro naso.
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