di Francesco Grano
Sarah Winchester (Helen Mirren) è la vedova di William, l’inventore del famoso fucile a ripetizione. Oltre il marito ha anche perduto in giovane età l’unica figlia. Segnata da questi due lutti, Sarah è convinta che una maledizione da parte di tutte le vittime dell’arma gravi sulla sua famiglia. Dietro consiglio di una medium la donna fa costruire Winchester House – una enorme magione situata a San Jose in California – nella quale le anime dei defunti dovrebbero trovare accoglienza e pace. A distanza di anni, nel 1906, i soci dell’azienda iniziano a dubitare della salute mentale della vedova e, così, ingaggiano il dott. Eric Price (Jason Clarke) per esaminare la Winchester e stilare un bollettino psicofisico. Giunto alla magione che, da decadi ormai, è un enorme cantiere in continua evoluzione, Price, inizialmente scettico sulla presunta maledizione, dopo qualche giorno comincia a ricredersi, specialmente quando degli eventi inspiegabili, alcuni dei quali collegati a un doloroso episodio del suo passato, iniziano a verificarsi.
Non di certo nuovi alle incursioni nell’universo dell’horror (ne sono prova il buon Daybreakers – L’ultimo vampiro e il più recente Saw Legacy) Michael e Peter Spierig, classe ’76, per il loro quinto lungometraggio hanno deciso di non allontanarsi dal genere, scrivendo e dirigendo La vedova Winchester (Winchester, 2018). Storia sul paranormale che si incrocia con il film biografico, La vedova Winchester è la riproposizione di tutti gli elementi che, in passato, hanno fatto la fortuna di opere attinenti al genere. I fratelli Spierig, infatti, nel raccontare il mythos leggendario di un edificio realmente esistente e dell’annessa figura di Sarah Winchester, attingono a piene mani dal campionario filmico e letterario su fantasmi e dintorni, mettendo in scena una carrellata di situazioni già (fin troppo) note e alle quali – di pari passo – vanno ad affiancarsi elementi scenotecnici che spaziano dai più svariati rumori (scricchiolii, assi che crepitano, infissi e porte che sbattono) per arrivare alle immancabili percezioni di qualcosa che c’è ma non si vede.
Se da una parte ai gemelli Spierig va riconosciuto il merito di aver messo in piedi un film epurato da qualsivoglia sprazzo grandguignolesco e splatter (niente smembramenti, sbudellamenti o altri tipi di macellerie gratuite), dall’altra ciò che non permette a La vedova Winchester di elevarsi al di sopra della media sta proprio nel fatto di aver gestito malamente i tòpoi e gli espedienti narrativi. Debitore di un romanzo che va sotto il titolo di L’incubo di Hill House e nonostante sia evidente quell’influenza di un certo tipo di orrore più suggerito che mostrato, escamotage che è stato capace di fare grandi le opere di Poe e Lovecraft, il nuovo lavoro degli autori di Predestination è una ghost story priva di originalità e mordente: non basta l’accumulo di svariati jump scare (sui quali è quasi totalmente basata l’economia narrativa) che, piuttosto che sorprendere, lasciano indifferenti rivelandosi alquanto prevedibili e banali; così come la sfilata di improvvise apparizioni spettrali, la materializzazione dal nulla di volti deformi e inquietanti e, infine, le archetipiche possessioni spiritiche negano a La vedova Winchester di carburare e – inesorabilmente – condannano il tutto ad avvitarsi su se stesso senza avere la possibilità di uscire dall’impasse visiva ed emotiva.
Perché, senza dover per forza cercare in lungo e in largo, il più grave difetto della storia di fantasmi di Michael e Peter Spierig risiede nel fatto di mancare in toto di suspense e coinvolgimento: non c’è tensione, non si verifica nessuna catarsi o legame empatico con i protagonisti, non ci sono veri momenti di paura né da brivido; e, nonostante la componente mystery si mescoli con temi delicati quali il dolore personale, i disturbi mentali e lo scetticismo, l’amalgama teoretica non riesce a far leva specialmente quando, in un climax finale che guarda all’assedio carpenteriano senza riuscire a replicarlo neanche alla lontana, lascia spazio allo stereotipato e in(evitabile) colpo di scena finale. Opera mediocre riuscita – purtroppo – solo a metà, La vedova Winchester è un’occasione sprecata per i fratelli Spierig che non aggiungono nulla di nuovo al genere di appartenenza. Potrebbe piacere ai neofiti ma di sicuro non a uno spettatore più avvezzo che, dopo averlo guardato, di sicuro lo archivierebbe velocemente nell’oblio dei film dimenticabili.
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