«La parola evasione che dà tanto fastidio ai materialisti storici, significa scappare da qualche cosa;
l’avventura è cercare qualche cosa, che può essere bella o pericolosa, ma che vale la pena di vivere…»
(Hugo Pratt)
Sabato 23 giugno, un’incursione autunnale sul principio dell’estate. Massima in picchiata e minima da plaid, uno sballo per una come me che l’estate “altro che bella stagione…”. Peccato non esista il letargo estivo per gli umani. Quelli pigri come me.
L’indolenza del fine settimana era però sormontata dalla “voglia di qualcosa di buono”. E se è difficile stupirsi con emozioni (cinefile) ancora inedite, la speranza era almeno quella di crogiolarsi con sensazioni piacevoli – e immagini, colori e suoni che non sbiadissero oltre l’arco del tramonto.
Caso ha voluto che cercassi proprio in quei giorni di riacciuffare alcuni film andati persi, o meglio scivolati via da sotto il naso per mia incuria – seguo pochissimo, per non dire quasi mai, ciò che trasmettono le reti Rai. E qualche volta son stata lì a dolermene e a flagellarmi. Ma poiché Mamma Rai in fondo è una strega buona, ha creato proprio pensando a me (pia illusione) quell’utile servizio di replay che a volte tacita perfino lo scontento di pagare un canone.
In realtà la dritta o incitazione era venuta dal mio socio, assai più attento di me alla programmazione delle reti.
“Ieri ho visto un film notevole in TV, Carol con Cate Blanchett. Bellissimo. Insolitamente morbido, con atmosfere dolcissime e con la sfacciata presunzione di mostrarci che l’amore vero esiste.”
Allora no, a costo di rincorrerlo (il film, mica il socio) non mi sarebbe sfuggito…
Ed ecco che come per incanto mi programmai una giornata tutta al femminile, targata Cate, con due dei suoi recenti film siglati con bei suoni: Blue Jasmine (2013) e Carol (2015). Punto in comune la sfolgorante bellezza di un’eleganza fuori dal tempo – ben oltre lo sfavillare delle griffes – incarnata da quell’icona di stile che è appunto la Blanchett.
Ricco anche il corollario di contenuti e sentimenti veicolati dai due film, diversissimi per ambientazione, ritmo e stile di regia; in ogni caso due perle.
E di perle, diamanti e quanto piacerebbe alla bionda per antonomasia, coniugati a ritmo di champagne e/o vodka o martini ne troviamo in abbondanza in Blue Jasmine, quel “gelsomino blu” che appare a tutti come una serpe con sonaglio, senza rispetto per altri e spazio che per se stessa. Donna frivola e leggera priva di empatia, il cui unico destino si configura in solitudine, esistenziale come fisica. Chi ha la sfortuna d’incrociarla ne deriva guai o è costretto a subire i suoi sfoghi imbarazzanti.
Concitazione dialogica, alternanze senza risparmio di colpi, come è nella migliore tradizione alleniana, rapide e sferzanti virate fra presente e passato consegnano alla storia il ritratto di una donna vittima della sua stessa cecità, ovvero incapace di modificare il proprio modus vivendi/essendi anche quando questo stesso ne determina il tracollo.
Non possono lasciare indifferenti la vacuità e il cinismo di questo personaggio femminile, l’amica che nessuno vorrebbe mai avere; colpisce la sua meschinità, l’abitudine a mentire agli altri come a se stessa; e infine la sua stupidità davanti all’evidenza di un marito che ormai non l’ama più o forse non l’ha mai amata, reclamando infine la propria libertà – e da noi, il distacco. Il grande regista di Match Point sembra portare a nuove conseguenze la sua visione di Fortuna-Caso-Sorte, con Jasmine che paga a caro prezzo le sue colpe.
Intensa e convincente la Blanchett, che entra in questa interpretazione con tutte le sue forze.
Senza fatica, e quasi auspicandolo, si entra al contrario in subitanea empatia con Carol e l’universo dei suoi sentimenti ed emozioni, ingabbiati entro una cornice claustrofobica che lei cerca in ogni modo di attenuare rubando al grigiore dei suoi giorni ciò che può farla sentire viva, compresa e amata. E non importa se la distanza anagrafica e le convenzioni le impongono di non lasciarsi andare, di dare un calcio ai propri desideri e alle pulsioni. L’incontro-scontro è con un sentimento così forte e intenso da far esplodere i suoi sensi arrugginiti.
Todd Haynes ha lavorato di fino sulla sottile trasmissione di senso che deriva dagli sguardi e dalle stesse istantanee bloccate in quell’eterno fermo immagine che solo la fotografia ancora riesce a rendere mirabilmente, a dispetto dell’evoluzione del fotogramma. Cate Blanchett è perfetta per quei ruoli di donna in apparenza algida e invece appassionata come poche: la sua sensualità e misurata eleganza rendono la sua presenza e interpretazione superbe come poche. Insomma un film che declina in modo delicato ma assai intenso l’argomento Amore, spogliandolo dei pregiudizi e dall’ottuso perbenismo e moralismo che ancora purtroppo animano i nostri tempi.
In copertina:
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