di Francesco Grano
Daniel (Timothée Chalamet) è un adolescente chiuso in se stesso, in particolar modo dopo la morte del padre. Non contenta del suo isolamento la madre, in occasione delle vacanze estive, lo manda a vivere dalla zia a Cape Code. Arrivato a destinazione Daniel continua a essere riluttante verso il prossimo, finché non fa la conoscenza di Hunter Strawberry (Alex Roe), un ribelle del luogo dedito allo spaccio di droga ai villeggianti e di McKayla (Maika Monroe), sorella di Hunter. Motivato dalle nuove conoscenze, Daniel chiede a Hunter di diventare soci in affari. Quest’ultimo accetta ma a una condizione: Daniel deve lasciar perdere McKayla per via della complicata situazione familiare. Nonostante la richiesta, Daniel inizia a frequentare la ragazza e, contemporaneamente, inizia a concludere grossi affari di droga con l’amico. Ma ciò, ben presto, li porta a un rischioso confronto con altri spacciatori molto più pericolosi.
Portare sul grande schermo storie formative incentrate sull’infanzia, o più spesso sull’adolescenza, non è mai stato facile: vuoi per il diretto e crudo realismo con cui tale periodo dell’esistenza viene ritratto (Larry Clark docet), vuoi proprio per la mancanza di coraggio nell’osare a ritrarre la realtà di tale fase della crescita (eccezion fatta per alcune opere), a volte si assiste a un vuoto di idee e contenuti. Ciò nonostante, se tale materiale viene affidato nelle giuste mani, è possibile ottenere risultati più che buoni, come nel caso dell’esordio alla regia di Elijah Bynum che con Hot Summer Nights è riuscito nell’arduo compito di rappresentare quell’adolescenza problematica fatta di paure, insicurezze, eccessi e colpi di testa. Hot Summer Nights, infatti, si incastra nel mezzo di un doppio binario che si incrocia: da una parte quello che fa perno sulla nostalgia visiva e spettatoriale di un ben precisato periodo temporale (l’inizio degli anni Novanta, ultima decade del XX secolo e traghettatrice verso le incognite del Terzo Millennio), dall’altra invece, concentrandosi decisamente sull’aspetto socio-antropologico e psicologico dei protagonisti in scena.
Hot Summer Nights non è solo il resoconto di una calda estate vissuta tra hit musicali, droga, alcol, sballo e rischio bensì qualcosa di più: dopo un incipit in medias res, l’opera prima di Bynum (ri)costruisce – pezzo dopo pezzo – il modo in cui si arriva al distruttivo punto di non ritorno della propria esistenza. Sono calde notti di autodistruzione quelle poste al centro delle vicende di Hot Summer Nights, notti insonni trascorse tra l’attrazione fisica e il sesso di amori difficili e vietati che si stagliano contro quella voglia di crescere più velocemente del previsto, mettendo a repentaglio la propria esistenza in situazioni molto più rischiose e impegnative. Hot Summer Nights è l’impietoso ritratto di adolescenti già “adulti” non per scelta ma piuttosto per via delle circostanze esistenziali: è il caso del protagonista, il Daniel interpretato da Chalamet, che decide di dire addio alla sua chiusura nei confronti del mondo assurgendo, così, al ruolo di giovane adulto (ir)responsabile nei confronti di se stesso. Però, per ogni mutazione, è necessario che ci sia un tramite che permetta tale processo di cambiamento. E il tramite, in questo caso, è rintracciabile nella figura di Hunter, ragazzo pieno di volontà e idee che, tuttavia, ha scelto di percorrere la strada più facile per soprav(vivere) in un mondo che non fa sconti a nessuno, specialmente alle figure dei losers senza speranza alcuna. L’incontro tra i due diventa un rapporto non solo di amicizia e affari, bensì si trasmuta in un legame putativo “padre-figlio”, necessario affinché entrambe le parti assimilino l’importante e reciproca lezione educativa del riuscire a contare non solo sulle proprie forze ma anche su quelle dell’altro da sé.
Tra momenti suggestivi e altri decisamente più introspettivi, Hot Summer Nights corre veloce – al pari dello stile Nineties, rapido e frenetico, che permea l’intero lungometraggio – verso l’ineluttabile compimento del destino che, come una violenta tempesta di fine estate, si abbatte sui suoi protagonisti, in un inevitabile processo di delitto e castigo di dostoevskijana memoria. Visivamente e contenutisticamente nostalgico, Hot Summer Nights si rivela un piacevole e sorprendente esordio cinematografico che – senza aver fatto ricorso a eccessi o inutili retoriche ruffiane – è riuscito ad aggiungere un altro, interessante tassello al mosaico della variegata e difficile fase adolescenziale rappresentata sui grandi schermi delle sale cinematografiche.
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