Una vita passata insieme ma ormai “alle spalle”, inadatta nel presente idilliaco di Salvo a traghettare ancora lui e Livia verso un futuro condiviso.
Un silenzio pesante, greve, colpevole nell’implicita ammissione di qualcosa che ha sparigliato le carte, nonostante i tentativi di sottrarsi, di obbligare a una spiegazione.
Un silenzio che è solo apparentemente immobile, che ci lascia dapprima sospesi, come in apnea. Un silenzio visivamente animato dallo sgomento di lei, dal suo muto grido di dolore e stupore, dal suo alterarsi nella voce, trovandosi scaraventata di colpo in una sorta di estraniante irrealtà. Un silenzio che in pochi attimi ci ritrova schiacciati dalla consapevolezza di Salvo che è andata così, e non poteva essere altrimenti: una rottura che, pur dilaniando, attende egoisticamente di essere, se non compresa, comunque accettata.
“Adesso non è il momento. Sto lavorando. Non posso perdere tempo”. E a seguire: “Ora come ora non te lo so dire”.
È il sottrarsi di Salvo a qualsiasi parola-contatto, prima che a una qualsiasi spiegazione, a determinare la reazione di Livia. A lei resta il compito di intuire, provare a capire, cosa succede dall’altra parte, quale stato d’animo blocca le parole dell’altro, e arrivare rapidamente alla logica conclusione. La fine di una storia che ha legato, e segnato, due vite quasi per intero.
Quel “sì”, in risposta al vuoto e al silenzio, non serve tanto a confermare la presenza di lui, quanto a dichiararne a tutti gli effetti l’assenza, da lì in poi, il decisivo allontanamento, di fatto già avvenuto emotivamente e fisicamente. Insieme alla negazione del voler esserci ancora, con lei. Pur continuando a esistere “per” lei.
A Livia non resta che prenderne atto nel modo più crudele, ma forse più salvifico. Perché la distanza geografica è già da tempo fra loro assenza reciproca. Un rapporto, il loro, che non alimentato, non ravvivato, è giunto al suo capolinea. Spento o esaurito come una candela arrivata al fondo.
Sembra proprio non volere altro, Salvo, che stare con lei. La sua giovane collega. Rivoluzione totale e nuova benzina al suo cuore. Un’esplosione di sensi davvero difficile da tenere a bada, o dissimulare.
Non è un caso che la parabola emotivo-sentimentale che lo spinge all’apice del desiderio – costringendolo al tempo stesso a un crudele e doloroso alternarsi di sottrazioni con la donna che è stata la compagna di una vita – si intrecci a un’indagine legata alla recitazione, alla finzione e simulazione del teatro, al gioco a volte spietato delle maschere, delle apparenze, pulsioni e fantasie più estreme: quelle che scardinano le conoscenze, maltrattano le certezze, spingono a cercare la propria via, identità o felicità, senza lasciarsi bloccare da ciò che rimane indietro, perso o congelato entro un limbo.
Un episodio cruciale per chi si era ormai abituato a riconoscere in quella coppia, in apparenza inossidabile, un valore aggiunto, e nel personaggio maschile, un uomo votato a una tranquilla coabitazione con sé stesso. Leale, nonostante le sbandate e intemperanze, ma mai meschino. Fino a quella telefonata, quell’inciampo. Che se da un lato spiazza e lascia in parte increduli, dall’altro induce a credere, o sperare, che in fondo la natura umana rimanga prevedibile e imprevedibile al tempo stesso, imperfetta, anche laddove le apparenze appaghino con tranquilli sipari e le migliori intenzioni. Mai dare le cose per scontate.
E in fondo è plausibile che Camilleri stesso, costruendo questo inconsueto epilogo, abbia riavvicinato il personaggio televisivo a quello pensato in origine dalla sua penna. Imbattibile nel suo ruolo di Commissario, ma non esente da vizi e pecche di ogni comune mortale.
Che piega prenderà la storia d’amore fra Salvo e Antonia? Che ne sarà di Livia?
Non ci resta che il dubbio, per ora. Magari per sempre. E forse non è un male.
Camilleri, almeno lui di sicuro, avrà sempre un posto speciale nei nostri cuori.
NB
Anch’io, come molti, sono rimasta colpita e turbata dalla telefonata fra Livia e Salvo, e umanamente avrei sperato o confidato che un simile addio si realizzasse in altro modo. Anche se, perfino di persona, non poteva non essere penoso.
Tuttavia, sotto il profilo filmico e letterario, la scena costruita in questo modo – e ottimamente interpretata dai due attori – ha senz’altro maggiormente centrato l’obiettivo e lasciato il segno, aumentando il pathos e dando adito a molte riflessioni da parte degli spettatori, oltre a determinare la chiara presa di distanza dei fan di Livia, la parte della coppia così malamente scaricata, o sacrificata, sull’altare di una nuova relazione.
A ben guardare, inoltre, con un Montalbano cinico e forse anche un po’ vigliacco in questa delicata situazione, Camilleri ha impedito che il personaggio salisse sul piedistallo che ormai lo rendeva quasi un santo.
Perché, da che mondo è mondo, dei buoni e bravi si perde memoria facilmente. Di chi si distingue in qualche modo, forse meno.
Il metodo Catalanotti, 37° episodio de Il commissario Montalbano, Regia di Alberto Sironi e Luca Zingaretti, Palomar (con la partecipazione di RaiFiction), 2021
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