Immaginate d’incontrare un amico e vederlo pallidissimo. In base a quello che è il vostro livello di amicizia, di confidenza, secondo quella che è la circostanza in cui lo incontrate e il vostro stato d’animo, potreste esordire con una delle seguenti frasi:
- Ehi, cosa ti è successo?
- Mi preoccupa il tuo aspetto.
- Com’è che sei così pallido?
- Accidenti, ti vedo in perfetta forma! (antifrasi)
- Non dirmi che non stai bene!
- Amico, pochi istanti e mi tiri le cuoia! (iperbole)
- Sei bianco come un cadavere. (similitudine)
- Sei uno straccio! (metafora)
Ciò che abbiamo trattato fino a ora, ha sempre riguardato le figure di parola ovvero la sostituzione di una o più parole all’interno di una frase. Quello che invece vedremo in quest’articolo e nei successivi, riguarda le figure di pensiero, che è qualcosa di più complesso. In altre parole si tratta di sostituire un determinato modo di pensare una frase con un altro che possa avere un effetto diverso.
Per esaminare le forme di pensiero partiremo dalla descrizione di un episodio neutro e lo ricostruiremo in modo diverso adattandolo alle diverse figure di pensiero.
Episodio: Era cattivo tempo. Per la fretta sono uscito senza ombrello. Si è messo a piovere. Diluviava. Ho chiesto in un negozio se avessero ombrelli, ma li avevano venduti tutti. Sono uscito inzuppandomi completamente.
Aforisma
Sicuramente conoscete Oscar Wilde, egli è un maestro negli aforismi e se non avete mai letto “Aforismi di Oscar Wilde”, ve ne consiglio vivamente la lettura. Giovanni Papini nel Dizionario dell’Olmo Selvatico, scrive che un aforisma è una verità detta in poche parole, è però detta in modo da stupire più di una menzogna. Infatti un aforisma deve avere una “sonorità” a effetto, tanto è vero che Friederich Nietzsche dice: chi scrive aforismi non vuole essere letto ma imparato a memoria. Ecco un esempio di aforisma scritto da Oscar Wilde: viviamo in un’epoca in cui il superfluo è la nostra unica necessità; considerato che è un uomo che ha vissuto tra il 1854 ed il 1900, direi che è di una modernità straordinaria.
Rivediamo nuovamente il nostro episodio e cerchiamo di tirarne fuori un aforisma: Era cattivo tempo. Per la fretta sono uscito senza ombrello. Si è messo a piovere. Diluviava. Ho chiesto in un negozio se avessero ombrelli, ma li avevano venduti tutti. Sono uscito inzuppandomi completamente.
Un aforisma potrebbe essere questo: se piove, vai piano. Oppure: Se piove e non hai l’ombrello, inutile cercare di comprarlo.
Allusione
Un’altra figura di pensiero è l’allusione e come si può intuire, si ha quando si descrive qualcosa senza però nominarla mai direttamente, omettendo importanti nessi logici. Di solito è poco comprensibile, ma mantiene una sua logicità, attenendosi al vero. Vediamo come potrebbe essere scritto il nostro episodio di prova in chiave allusiva: Ieri un cattivo commerciante, un vero sprovveduto, mi ha costretto a prendermi un bell’acquazzone!
Notate che non c’è scritto che il protagonista dell’episodio aveva dimenticato l’ombrello per la fretta, ma si legge una velata allusione che non deve necessariamente essere chiara, nella sua logica, al lettore.
Apostrofe
Si ha quando un personaggio, di solito la voce narrante, si rivolge direttamente al lettore oppure a un uditore ideale diverso da quello reale. Spesso la si usa per esprimere, in un discorso, sentimenti d’indignazione o di dolore. Vediamo come potrebbe essere riscritto il nostro episodio: Se ti fossi trovato senza ombrello, nel pieno di un acquazzone, non avresti tentato di ripararti? Di entrare nel primo negozio e comprare un ombrello? È quello che ho tentato di fare prima di trovarmi completamente zuppo!
Dialogismo
Per rendere più vivace la narrazione, si può usare il dialogismo ovvero usare il dialogo, anche un semplice parlare con se stesso. Ecco il nostro episodio in chiave di dialogismo: Uscendo di casa mi sono chiesto: dovrei prendere l’ombrello? Non piove, ma potrebbe? Dopo un poco mi sono trovato sotto un acquazzone, vediamo se riusciamo a rimediare comprendo un ombrello, macché ho trovato l’unico negoziante inetto che non aveva ombrelli, ed eccomi qua. Una variante del dialogismo è il monologo: Non piove, bene, meglio che mi muova, ho poco tempo. Accidenti, piove! Ora entro in questo negozio e…
Digressione
Secondo il De Mauro, la digressione è una “deviazione dall’argomento principale di un discorso o di una narrazione”. È molto spesso, quasi sempre, utilizzata nei racconti e, maggiormente, nei romanzi. Viene usata per creare un’attesa o per… allungare il brodo. La digressione può essere anche gradevole, ma bisogna stare attenti a non esagerare, per non distogliere completamente dal discorso principale.
Ecco la variante con digressione: Andavo di fretta, sono sceso senza ombrello, mia madre mi ha sempre detto di guardare se piove prima di scendere. Mia madre è sempre stata una donna apprensiva, fin da quando ero piccolo, mi è sempre stata vicina, spesso fin troppo. Ma sulla faccenda del tempo aveva ragione, infatti dopo qualche minuto mi sono trovato sotto un acquazzone tremendo, inutile provare a comprare un ombrello, mi sono ritrovato zuppo da capo a piede.
Domanda retorica
Una domanda retorica non può che avere una risposta ed è proprio quella che chi la propone ha in mente. Spesso usata per creare subito un certo feeling con l’interlocutore, per indurlo a dargli la sensazione di essere sullo stesso piano, di vederla dallo stesso punto di vista. Ecco come potrebbe essere riscritto il nostro episodio: È normale che ogni mattina, con tutti i pensieri che già abbiamo, dobbiamo anche preoccuparci del meteo? È giusto che un negozio non abbia da vendere la merce che espone? E dopo tutto questo, uno deve anche trovarsi indifeso sotto un acquazzone terribile?
Esclamazione
L’esclamazione ha molto a che fare con l’intonazione che si dà a un’espressione o a una narrazione conferendo enfasi al discorso. Di solito fa molto uso del punto esclamativo e parole come Ehi! Ahi!
Ecco il nostro episodio: Voi non mi crederete! Questa mattina andavo di fretta, così sono sceso senza ombrello. Non solo! Un minuto dopo pioveva a diritto! Non è finita: non un solo negoziante aveva un ombrello! Insomma, mi sono preso un tremendo raffreddore.
Voglio chiudere con una figura di pensiero dal nome esotico, di quelle che se ne parlate con gli amici vi guarderanno con ammirazione e fascino, sto parlando dell’hysteron proteron. Eh? Che ne pensate?
Hysteron proteron
L’etimologia dei termini ha origine nella lingua greca, infatti la locuzione è composta da hýsteron, (ultimo), e da próteron, ([come] primo). In altre parole s’inverte l’ordine cronologico di una successione di eventi, di solito dicendo prima ciò che è accaduto per ultimo e poi si arriva all’episodio iniziale. È una tecnica usata sia nella cinematografia che nella narrativa dove s’inizia con l’episodio finale e, man mano, si ricostruisce tutta la faccenda. Un bell’esempio ce lo propone l’Eneide nella frase Moriamo e buttiamoci nella mischia (II,V.353), la logica ci direbbe di scrivere Buttiamoci nella mischia e moriamo, ma c’è da dire che quel “moriamo” all’inizio della frase è meravigliosamente incisivo.
Ecco il nostro episodio: Mi sono bagnato tutto. Il fatto è che nessun negozio aveva ombrelli ed io, per la fretta, ne ero uscito di casa sprovvisto.
Scrivendo questi esempi, mi è venuto in mente un libro che ho letto un po’ di tempo fa, ma che conservo nella mia libreria nel settore “scrittura creativa”. È un libro che non potete non avere, se v’interessa la materia. Sto parlando di “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, in cui una stessa trama viene raccontata in novantanove modi diversi, ognuno con un diverso stile di narrazione. Pensate che è stato tradotto in una trentina di lingue diverse, compreso il serbo, il ceco, il danese, il turco, l’estone, il basco e il pashtu. Per l’Italia se ne è occupato Umberto Eco.
Si ringrazia per l’editing Maryann Mazzella
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