L’arte di comunicare (3)

retorica

Sicuramente vi sarà capitato, più di una volta, di parlare con qualcuno, essere sicuri che il vostro linguaggio sia chiaro e comprensibile, ma continuate a precipitare in disguidi, malintesi ed equivoci. Eppure voi e il vostro interlocutore state parlando la stessa lingua, allora che cos’è che non sta funzionando?

 

Una volta, un amico iniziò a sfogarsi raccontandomi i suoi problemi con la ragazza. Mi disse quello che andava, ciò che non funzionava, mi spiegò episodi, situazioni, discussioni tra loro. Parlava e parlava senza chiedermi nulla. Sembrava non volere ascoltare il mio parere, come se non gli interessasse la mia opinione. A un certo punto ho cominciato a chiedermi: «Che cosa vuole da me? Perché mi sta dicendo tutto questo?»

 

Sostanzialmente una comunicazione si basa su due modalità:

  • chiedere per sapere
  • chiedere per ottenere

 

Tizio: «Sai cosa è successo a Luca?»

Caio: «Ti riferisci al fatto che lo hanno scoperto con…?»

Tizio: «Certo, dico io, tu hai  famiglia,  figli…»

Caio: «È una vergogna! Intanto chi l’avrebbe immaginato»

Tizio: «A dire il vero, una mezza idea me l’ero fatta»

 

In quale delle due modalità si colloca questa breve conversazione? Sicuramente nella prima, infatti Tizio vuole sapere quale sia l’opinione di Caio riguardo a Luca.

 

Un esempio banale della seconda modalità, si ha quando qualcuno vi chiede qualcosa per ottenere qualcos’altro: «Mi passi il sale?», «Basta, smetti di fare pasticci!», «Al mio segnale, scatenate l’inferno!».

 

Una conversazione si basa sulla continua elaborazione delle frasi e dei concetti per dar loro significato di vero o falso. Nella conversazione di prima, Caio valuta vera l’affermazione di Tizio (Luca ha una relazione) e infatti aggiunge che è una vergogna e così via. Non ce ne accorgiamo, ma tutti i nostri dialoghi sono un continuo valutare vero o falso ciò che l’altro sta dicendo. Anche quando ascoltiamo un talk show alla TV, stiamo lì ad annuire (vero) o dissentire (falso).

 

La retorica gioca proprio sul vero/falso per poter portare la conversazione verso i fini che ci si è prefissati. Come strumento di controllo, fa molto uso della logica.

Vi racconto un aneddoto.

 

Un pomeriggio mio nipote, avrà avuto quattro anni, mi dice: «Zio, tu che sai tutto, ma Napoli è la capitale d’Italia o del mondo?». Lo guardo sorridendo e gli rispondo: «Napoli è solo un capoluogo di provincia». E lui di rimando: «Però non hai risposto alla mia domanda!»

 

A rigor di logica, mio nipote aveva ragione: non ho risposto alla sua domanda. Avrei dovuto dirgli che non è possibile rispondere a una domanda simile. Tuttavia, noi siamo essere umani, una situazione di stallo come questa, riguarda più la logica rigorosa di un computer, noi, invece, in tutti i casi proviamo sempre a dare una risposta, rielaborando nel modo corretto, la domanda. Il corsivo è d’obbligo, poiché spesso le domande sono capziose proprio allo scopo di costringerci a formulare una risposta pilotata. Troppo spesso sfugge il fatto di come sia facile, per chi chiede, manipolare chi risponde. Scegliere di fare una domanda in un determinato momento, ad esempio in un momento particolarmente emotivo, può cambiare di molto le cose ovvero le risposte.

 

Subito dopo il disastro di Chernobyl, in Italia fu somministrato il sondaggio: “Volete le centrali nucleari sul territorio italiano?”, ovviamente la risposta fu influenzata da ciò che era accaduto in Russia. Immaginiamo di cambiare il passato supponendo che non ci sia stata alcuna tragedia nucleare. Se agli italiani avessero chiesto: «Desiderate continuare a pagare bollette molto alte o preferite che si costruiscano centrali nucleari per risparmiare sulle tariffe energetiche?» quale pensate sarebbe stata la risposta della maggior parte delle persone?

 

L’arte della retorica pone le sue basi sulla dialettica, sulla logica e sull’emotività, aspetto troppo spesso sfruttato dalla propaganda politica.

 

Fabio Bordignon, direttore di Demos e Pi, un’agenzia d’indagini statistiche, parlando della percezione della criminalità in Italia, ha spiegato come ciclicamente aumenti e, di solito, questo aumento coincide con il periodo elettorale. Il motivo è semplice: i nostri politici, coinvolgendoci emotivamente, provano a manipolare “le nostre risposte” ovvero la nostra opinione.

 

L’emotività è uno strumento molto usato, pensate alle pubblicità: ci sono sempre bambini sorridenti, belle donne appariscenti, famiglie perfette, rose, cuori e musiche stimolanti.

 

Comprendere i meccanismi della retorica, oltre a darci gli strumenti per farci capire in modo più efficace, ci permette di smascherare coloro che ne stanno facendo uso per imporre le proprie idee e far passare per vero ciò che vero non è.

 

Veniamo ora ad una di quelle parole “esotiche” che fanno parte del mondo della retorica ovvero delle figure retoriche. Non lasciatevi spaventare, anzi scoprire di cosa si tratta potrebbe essere perfino divertente.

 

Tautologia – Si ha quando all’interno di un discorso si procede con un concetto già presente nella parte precedente e che non aggiunge altri significati. Di solito si usa per dare enfasi al discorso. Ecco subito un esempio: “Il cavallo bianco di Garibaldi era chiaro”. L’aggiunta di “era chiaro”, considerato che abbiamo già detto “Il cavallo bianco” è tautologico.

Tautologia viene dal greco e, nella sua etimologia, significa “dire lo stesso”.

 

Altri esempi molto semplici:

  • i volatili volano
  • i corvi neri sono scuri
  • tutte le arance sono arancioni eppure non c’è alcuna arancia che non lo sia

 

In definitiva, una tautologia è un enunciato sempre vero.

In una commedia di Johan Nestroy c’è un domestico che viene continuamente interpellato dal suo padrone per avere consiglio. Il domestico risponde sempre alla stessa maniera: «Signore, tutto si chiarirà nel corso degli eventi».

È chiaro che ci troviamo davanti a una tautologia, nel senso che è chiaro che qualsiasi cosa, col tempo, si chiarirà. Questo tipo di tautologia è alla base di molti motti di spirito o di popolare saggezza.

 

A questo punto, se vi va, provate a cercare delle tautologie presenti nella vostra vita quotidiana.

 

Nel prossimo incontro, parleremo dell’assurdo e del paradosso. Vi anticipo l’argomento con un quesito, un classico sul paradosso inventato da Bertrand Russell nel 1901. Rifletteteci e, se avete tempo, lasciate pure la vostra risposta. Vi consiglio di non usare Internet alla ricerca della soluzione, ma provate a ragionarci sopra per qualche minuto, magari con i vostri amici.

 

Il paradosso del barbiere – In un villaggio c’è un uomo che fa il barbiere: costui rade tutti e soltanto gli uomini del villaggio che non si radono da soli. La domanda è: chi rade il barbiere?

 

Se pensate che sia una domanda banale, vi sbagliate di grosso. Sappiate che Russell arrivò alla definizione di questo paradosso mentre si dedicava allo studio della teoria degli insiemi e al loro risvolto matematico e logico. Questo paradosso minò completamente la logica matematica del tempo, addirittura il matematico Frege, che aveva appena pubblicato un’opera dal titolo Principî di aritmetica, dovette aggiungere un’appendice in cui confessava il suo fallimento. In pratica, tutta la sua opera non era in grado di spiegare e risolvere il paradosso del barbiere. Bisognerà attendere Ernst Zermelo e Adolf Fraenkel con la loro Teoria assiomatica degli insiemi. Questa però è un’altra (interessante) storia.

Massimo Petrucci
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One Reply to “L’arte di comunicare (3)”

  1. Il paradosso si basa sui seguenti elementi:

    a) il villaggio

    b) gli uomini del villaggio che si radono da soli

    c) gli uomini del villda soli aggio che non si radono da soli

    d) il barbiere che può fare la barba solo agli uomini del villaggio che non si radono

    La risposta è semplice …

    e sono due

    il barbiere non è del villaggio non entra nelle definizioni e quindi si può radere

    il barbiere è una donna…anche le donne si radono

    Se il

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