L’ultima volta ci siamo lasciati col paradosso del barbiere, un quesito di Russell che riporto qui di seguito:
“In un villaggio c’è un unico barbiere.
Il barbiere rade tutti e soli gli uomini che non si radono da soli.
Il barbiere rade se stesso?”
La risposta non è semplice perché ha a che fare con la logica pura.
Prima supposizione: il barbiere si rade. (S1)
Quest’affermazione, secondo il paradosso, ci porta a concludere che il barbiere non rade se stesso. Siete perplessi? State pensando che abbia alzato un po’ il gomito? Allora fate un bel respiro e analizziamo secondo la pura logica l’enunciato.
(1) Il barbiere rade tutti e SOLI gli uomini che NON si radono da soli.
Il barbiere è uomo? Bertrand Russell non lo dice e infatti ci sono una serie di supposizioni che possa essere donna con tutte le conseguenze. Errato. Il suo enunciato si basa sulla teoria degli insiemi ed è qualcosa di veramente complesso. Nelle sue intenzioni, potete esserne ben certi, egli alludeva a un barbiere che per definizione è uomo.
Torniamo alla domanda: è uomo? Sì. Allora se normalmente si rade da solo, in base alla definizione (1) non rade se stesso, perché la definizione (1) dice che rade solo chi NON si rade.
Allora affermiamo che il barbiere non si rade. (S2)
In base all’affermazione S2 e alla logica dell’enunciato (1) il barbiere si rade poiché egli rade tutti gli uomini del villaggio che non si radono.
Se avete il cervello in fumo e non c’avete capito nulla, non preoccupatevi vi siete appena imbattuti in un paradosso e in quanto tale, senza una soluzione. Pensate che mise in crisi il matematico Kurt Gödel rendendo incompleta la sua opera sugli insiemi che aveva – che paradosso – appena pubblicato!
Cosa insegna tutto ciò? Che l’uso sagace della logica può ritenersi un valido e tagliente strumento per portare consensi al nostro ragionamento.
Prima di addentrarci nello studio della retorica, vi porto un altro esempio di paradosso che uso spesso per confondere i fondamentalisti della fede. Premetto che credere in Dio è un proprio diritto e non c’è niente di più libero della fede.
Con queste persone cerco di dimostrare l’inesistenza di Dio in quanto essere onnipotente; utilizzando la retorica e gli strumenti della logica e del paradosso, è possibile dimostrare che Dio non è onnipotente e infinito. Ecco come:
“Se Dio è davvero onnipotente,
Egli può creare un masso così pesante
che nemmeno Lui può alzare?”
Vediamo quali sono le possibili risposte e conseguenze.
1) Sì, può farlo. Allora esisterà un masso con un peso X che è troppo pesante anche per Dio; quindi la potenza di Dio non è infinita (altrimenti riuscirebbe ad alzarlo) e di conseguenza Dio non è un essere infinitamente potente.
2) No, non può farlo. La sua potenza creativa, quindi, non è poi infinita (altrimenti ce l’avrebbe fatta). Ancora una volta si dimostra che Dio non è un essere infinitamente potente.
Come vedete quale che sia la risposta, il nostro interlocutore dovrà piegarsi alla nostra logica, a meno che, pieno di rabbia, non decida di saltarci alla gola!
Abbiamo appena visto come l’uso del paradosso possa tornare a nostro favore in una discussione anche piuttosto impegnativa come questa.
Bene, torniamo più nella didattica sulla retorica e scopriamo che fin dall’antichità essa si suddivide in tre fasi principali che sono:
- L’inventio
- La dispositio
- L’elocutio
Per essere precisi, Aristotele ci metteva anche l’actio e qualcun altro aggiungeva anche la memoria. In ogni caso, queste fasi ci servono quando dobbiamo, ad esempio, preparare un discorso, ma possono tornarci utili anche per altre situazioni creative. Vediamole nel dettaglio.
L’inventio
Questa parola latina (leggi invenzio) può trarre in inganno e farci pensare all’inventare, invece letteralmente significa “ricerca”, Roland Barthes addirittura parla di “scoperta”. In altre parole, in questa fase si cercano tutti quegli elementi che possano tornarci utili per la costruzione del nostro discorso, ma anche dell’articolo che stiamo scrivendo e, qualche volta, del racconto che abbiamo deciso di mettere su carta. In questa fase non ci si preoccupa del come esporre gli argomenti, ma si vuole individuare il nocciolo della questione e tutti gli elementi che lo costituiscono: situazioni, ricordi, accadimenti, deduzioni, riflessioni, fatti.
In questa fase si gettano le basi anche per elementi come il sillogismo e l’entimema. Troppe parole difficili? Vi state perdendo? Rilassatevi, non dovete mica impararle a memoria e nemmeno sostenere un esame. Vedrete, tra poco, che in realtà sono tutte cose semplici, molte delle quali già in vostro possesso.
Il sillogismo è uno strumento della dialettica che attraverso delle premesse – solitamente vere – trae una conclusione. Esempio: se alle ore 11.30 eri a un bar del centro di Roma, e lo scontrino fiscale ne accerta la veridicità, allora di sicuro alle 11.40 non potevi trovarti sotto i portici a Bologna a sforacchiare il povero Peppino.
L’entimema invece è il mio preferito! Ah, lo ascolto ovunque, specialmente in TV quando ci sono i nostri amici politici. Mentre il sillogismo vuole dimostrare attraverso la verità, l’entimema è uno strumento retorico che ha come scopo principale la persuasione dell’auditorio, ottiene il massimo quando chi ascolta non ha il bagaglio culturale per comprendere e seguire ragionamenti troppo complessi. L’entimema si basa principalmente sulle premesse, di solito probabili e verosimili, due cose che non sono sinonimo di verità o certezza. Un esempio molto semplice: “È italiano, dunque ha buon gusto!”, ma anche “Vinceremo perché siamo i più forti!”. Semplice no?
Ricapitolando, nell’inventio cerchiamo e organizziamo tutti gli elementi che ci serviranno per il discorso o altra situazione creativa di cui abbiamo bisogno.
La dispositio
Una volta raccolti tutti gli elementi utili nella fase dell’inventio, dobbiamo ordinarli o disporli nel modo che ci permetterà di avere l’effetto migliore su chi ci ascolta o legge. Qui ci si diverte, perché entrano in gioco fattori che coinvolgono le considerazioni logiche, psicologiche, ma anche formali e di convenienza, senza dimenticare i fattori strategici. Nella dispositio ci si occupa di suddividere il discorso, ordinare i contenuti e fissare bene le parole nella formulazione delle idee.
Il discorso (ma anche romanzi o racconti) si suddivide nei seguenti elementi:
- L’esordio
- La narrazione
- L’argomentazione
- L’epilogo
Nell’esordio si ha il preambolo del discorso; s’introducono i fatti, un po’ come nel prologo delle rappresentazioni teatrali. Ricordate il prologo di “Giulietta e Romeo”? Vado a memoria, perdonatemi: due casate, di pari nobiltà, in questa bella Verona, dove noi poniamo la nostra scena, per antichi rancori oggi prorompono in nuove risse da cui mani fraterne escono sporche di sangue fraterno […]
Si cerca anche di conquistare l’attenzione e la benevolenza di chi ci ascolta (o legge), quella che i latini chiamavano captatio benevolentiae. La usano molto i bravi oratori, quelli che iniziano con qualche battuta divertente tanto per disporre favorevolmente l’attenzione dell’auditorio. Per i più coraggiosi tra voi lettori, consiglio “Dialettica eristica” di Arthur Schopenhauer, ma anche il libro, dello stesso autore, “L’arte di ottenere ragione”. Qui su LetterMagazine Raffaele Abbate si è invece occupato della recensione del libro “L’arte d’insultare” sempre di Schopenhauer.
La narrazione è l’esposizione vera e propria dei fatti, è qui che s’informa, ma bisogna prestare molta attenzione al come si fa, soprattutto per non annoiare chi ci ascolta. Le caratteristiche fondamentali dovrebbero sempre essere la brevità, la chiarezza e la verosimiglianza; quest’ultima dovrebbe coincidere con la verità dei fatti.
Nell’argomentazione si ha il vero e proprio attacco, allo scopo di far valere la propria tesi oppure di confutare quella dell’avversario. È qui che avviene la vera e propria persuasione. Possiamo utilizzare le prove (o argomenti) trovate nella fase dell’inventio, esse possono essere prove di fatto: non è possibile che tu fossi contemporaneamente a Roma e a Bologna; prove per induzione: se alle 12 eri a casa al telefono con Tizio, non è possibile che dieci minuti dopo fossi a cento chilometri di distanza; prove per deduzione: è sempre stata una brava persona, ecco perché non può essere il colpevole.
L’epilogo è la fase conclusiva, dove si riepilogano i temi trattati e si dà una visione d’insieme. È qui che si può scegliere di colpire l’emotività e provare a commuovere (perorazione) oppure a indignare, suscitare odio, sdegno, passione e forza. Chi non ricorda la fine del discorso di Rocky 4: se io posso cambiare, e voi potete cambiare… tutto il mondo può cambiare! E via con gli applausi. Il discorso è retorica pura e v’invito ad ascoltarlo: fate clic qui.
Siamo sempre nell’ambito della dispositio ed abbiamo visto come organizzare il discorso e sempre in quest’ambito è necessario porre attenzione all’ordinamento dei contenuti. Ci sono diverse tecniche, quella più semplice è ordinarli cronologicamente, è possibile però, in base alla strategia che si vuole adottare, disporre prima gli argomenti più forti oppure quelli più deboli per arrivare a quelli il cui impatto su chi ascolta è maggiore. Un’ultima tecnica è quella d’iniziare e finire con elementi forti.
Infine, ma questo è un discorso puramente estetico, ci si chiede se le parole andrebbero ordinate in un certo modo piuttosto che in un altro. Ascoltate queste frasi e scegliete quelle che secondo voi suonano meglio:
- Prendi penna e calamaio
- Prendi calamaio e penna
- Facciamo armi e bagagli e andiamo
- Facciamo bagagli e armi e andiamo
Scommetto che avete scelto “penna e calamaio” e “armi e bagagli”, vero? La ragione è che una regola generale dice che è meglio che alla parola più breve segua quella più lunga (penna è più corta di calamaio, armi di bagagli). Addirittura c’è chi parla del climax (ascendente o discendente) della frase ovvero l’andamento della progressione ritmica delle parole nella frase. Facciamo un esempio riprendendo il discorso di Rocky Balboa – lo avreste immaginato che Rocky con l’occhio gonfio e la bocca storta potesse tenere un corso di retorica? – egli conclude con Se io posso cambiare, e voi potete cambiare… tutto il mondo può cambiare! Che è un classico climax ascendente, egli parte da sé, coinvolge gli spettatori e finisce per inglobare tutto il mondo. Di solito il climax ascendente ha ascendente anche su chi ascolta, è molto coinvolgente. Ne volete una prova? Immaginiamo che Rocky abbia scelto un climax discendente per la sua frase conclusiva: Tutto il mondo può cambiare se cambiate voi e cambio io. Non è proprio la stessa cosa.
Il mio contatore di parole mi dice che sono arrivato a quota 1737, davvero troppe, di solito cerco di rimanere nelle 1500.
Parleremo dell’elocutio nella prossima puntata.
Vi lascio con le parole del professor Raffaele Simone, professore ordinario di Linguistica Generale. Un breve video di tre minuti, davvero interessante. Se avete domande, usate i commenti. Saluti!
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