Pomeriggio polveroso di uno sciroccoso mercoledì di aprile, la piccola piazza è ingombra di macchine beffardamente parcheggiate sia davanti all’accesso della vecchia scuola e sia davanti al piccolo portone della Chiesa di Santo Stefano.
Sul lato meridionale della piazza due vigili indifferenti fingono di non vedere il tappeto di lamiere che ricopre tutto il vecchio basolato e parlottano nei walkie talkie.
Da un’auto ferma qualcuno mi fa un cenno, non ho gli occhiali e ho il pretesto per non rispondere ma se mi avvicinassi non avrei scampo, mi allontano a passo veloce.
Le nuvole nere di un annunciato temporale primaverile, dopo un asfittico tuono, si aprono di improvviso e mi scaricano addosso, quasi per dispetto, unico passante in giro nell’afosa controra, secchiate di pioggia tunisina calda e piena di sabbia.
Unico rifugio la piccola Chiesa di Santo Stefano, la porta è sempre socchiusa e in fondo nell’ombra, in attesa, il vecchio e sbrindellato crocefisso che da bambino tanto mi spaventava.
Percorro la breve navata lasciando sul grigio pavimento di pietra una umida traccia, quasi una lumaca.
Gli arrivo davanti: “Che cosa hai da guardare? Sono entrato perché fuori piove, non mi andava di bagnarmi e rovinare le mie scarpe nuove nuove comprate per Pasqua, proprio oggi le dovevo mettere!”.
Gli occhi rotondi si abbassano verso di me: “La pioggia, le scarpe nuove, ma cosa credi che non lo so perché sei entrato? A chi vuoi prendere in giro. Ti mancava il coraggio di farlo e hai trovato il pretesto della pioggia. Sei sempre il solito”.
Quella voce mi scuote, mi siedo sulla panca di fronte, mi tolgo le scarpe: “Io il solito? E tu! Fai il sarcastico, l’ironico, ma gira gira il problema è sempre lo stesso, vuoi essere pregato. A te vanno bene le vecchiette che ti portano fiori e candele. Ammettiamo pure che sono entrato per pregare, mi pare che, se è vero quello che hanno scritto i tuoi addetti stampa, dovresti sapere tutto e quindi non c’è bisogno che ti confermi il motivo della mia visita”.
Gli occhi rotondi diventano più dolci: “Lo vedi sei sempre il solito incazzoso, fai l’ironico, il sarcastico ma se uno ti fa una battuta subito prendi fuoco. Ti rendi conto che qui sopra mi annoio, qui dentro entrano in pochi, quasi sempre le stesse persone, mi toccano i piedi, una strusciata distratta e scappano via. Con te ho l’occasione di fare due chiacchiere. Cosa credi, anche se mi hanno inchiodato qui sopra, infilato in fondo a questa buia chiesa, mi guardo intorno e ti conosco bene. E per giunta mi divertono le cazzate che scrivi”.
Mi rimetto le scarpe e con più calma: “Grazie per i complimenti, insomma diciamo che ti annoi e ti piace fare conversazione. Guarda qui non è questione di fare conversazione. Mica mi vuoi proporre di pubblicare con la Libreria Vaticana. Comunque sulla croce non ti ci ho messo io!”.
Mi risponde: “Lo so bene, cosa credi che a me fa piacere starci. Con ‘sta manfrina avrei dovuto rimediare a quella cattiveria di mio padre, il peccato originale. Vedi tu se gli uomini debbano addossarsi solidarmente, tutte le porcate che hanno fatto quelli che li hanno preceduti nella vita. E poi neanche è servito farmi inchiodare mani e piedi. Ecco ora mi tocca ascoltare le tue lamentele, che hai litigato con il mondo intero, che sei stufo, che festeggeranno l’anniversario della mia resurrezione riempiendosi di cibo e di vino. Sì, la resurrezione, sono quasi duemila anni che si sono bevuti ‘sta panzana. Quale resurrezione d’Egitto, anzi di Israele! La morte è morte, sono finito sulla croce, poi mi hanno messo in una tomba in prestito, manco i soldi per un loculo di proprietà e ci sono rimasto per l’eternità. Tutta la sceneggiata è stata organizzata da mammà, da Maddalena la mia cara compagna della vita, da Pietro e dai miei addetti stampa. Era un business troppo grosso perché finisse con la mia morte. Se non risorgevo sarei stato uno dei tanti ribelli morti ammazzati dai romani e da quei figli di puttana del Sinedrio. Che fai mi guardi a occhi sbarrati e a bocca aperta. Ora mi dirai che non sei fervente cattolico, ma vuoi parlare con me, mi togli i chiodi e mi fai sedere accanto a te e cominci a raccontarmi i tuoi pensieri. Ecco forse l’unica cosa che mi piace in questa storia che è iniziata sul Calvario è che tanta gente parla con me, mi racconta i suoi problemi e mi chiede aiuto, chiede miracoli e anche se non faccio nulla, perché nulla posso fare, continua a parlare con me e continua a credere in me. Vorrei fare qualcosa per loro, ma sono solo un rivoluzionario giudeo morto ammazzato e tirato dentro in una cosa più grande di me. Che faccio adesso? Vado in piazza San Pietro a dire che è tutta una frottola? Proprio ora che c’è quel tedesco. Non è possibile, scoppierebbe un casino della Madonna (scusa mammà si fa per dire). Lasciamo che le cose vadano avanti così, tanto sono contenti tutti e tu Raffaele acqua in bocca. Comunque anche se parli chi vuoi che ti creda!”.
Resto in piedi a distanza: “Ascolta, non ho voglia di polemizzare con te, tanto lo so che gira gira hai sempre ragione tu. Ora fai il piccolo, dici che non c’entri nulla, che hanno fatto tutto gli altri. Eppure i tuoi rappresentanti dicono che sei il simbolo della tolleranza e dell’amore, ma stamattina ho la sensazione che sei sceso dal letto con il piede sinistro e sei di cattivo umore. Guarda sono entrato solo per fare due chiacchiere”.
Gli occhi rotondi si abbassano verso di me: “Giovanotto, mettiamo in chiaro alcune cose, in primis se mi girano, non devo dare conto a te, secundum io non ho bisogno di rappresentanti mica sono la Benetton! Parliamo, prima dammi un sorso di vino, prendilo lì dalla sacrestia, mi metto comodo e ti ascolto”.
Dal retro dell’altare intanto è sbucato il sagrestano part time per togliere le candele accese e rivenderle il giorno dopo.
Ed io con tono incazzato tra i denti: “Proprio ora, questo con le candele usate. Ci vediamo in un altro momento con più comodo”.
Dal crocifisso non arriva nessuna risposta, ma solo una appena accennata strizzata d’occhi.
Si ringrazia per l’editing Micaela Lazzari
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