Le ultime parole

pena di morte

Sia oggi noto a tutti che non paghiamo per malefatte, ma per la nostra coscienza. Oggi noi saremo in pace con il Signore”. Marmaduke Stevenson, quacchero, condannato per avere violato l’ordine d’esilio, impiccato nella colonia di Massachussetts Bay nel 1659 e passato alla storia come uno dei Martiri di Boston.
“Io non sono una strega più di quanto tu sia un mago, e se tu mi togli la vita Dio ti darà sangue da bere”. Così disse Sarah Good, una delle donne di Salem giustiziate nel 1692 come streghe, al reverendo Nicholas Noyes che le intimava, in punto di morte, di confessare.

“Mi spiace solo di avere una sola vita da perdere per il mio paese”. Spia per i coloni americani, Nathan Hale si finse un lealista inglese, ma fu scoperto e giustiziato a New York nel 1776.
“Tuo marito muore felice! Per te ho vissuto, per te muoio! Sento che gemi, spero che tu guarisca! Se guarirai, vivi finché sarà Dio a volerti prendere, e preparati a incontrarmi in un mondo migliore! Il tuo marito morente, Jereboam Beauchamp”. Protagonista di un episodio che ispirò Adgar Allan Poe, Beauchamp aveva ucciso un deputato del Kentucky che negava di avere dato un figlio a Anna Cooke, una schiava che egli (Beauchamp) aveva poi sposato. Nel giorno dell’esecuzione (Kentucky, 1826), Beauchamp pugnalò a morte la sposa, e poi se stesso. Portato egualmente al patibolo, morì dissanguato prima dell’impiccagione. Anna Cooke gli sopravvisse solo di alcune ore.

“Fai in fretta, perché sto svenendo”. William H. Lipsey, impiccato in California nel 1824, al boia che perdeva tempo.
“Per l’amor di Dio, non farlo mai più!”. Così disse Danforth Hartson, rivolto al boia, dopo che la testa era sfuggita al cappio, lasciato troppo largo, facendolo cadere in fondo alla botola che s’era aperta sotto i suoi piedi. Giustiziato al secondo tentativo, in California, nel 1857.
“Non so se ho qualcosa da dire. Sto per essere impiccato, e non voglio fare un comizio”. Barney Olwell, giustiziato in California nel 1866.

“Signori, vedete questa mano? Essa forse trema? Io non ho torto un capello a quella ragazza”. Così reclamò Tom Dooley (reso noto da una ballata, incisa nel 1958 dal Kingston Trio ), condannato per l’assassinio di Laura Foster, vittima di un violento triangolo amoroso, prima dell’impiccagione in North Carolina, 1868.
“Che ora è? Muoviti! Voglio arrivare all’inferno in tempo per cena”. John Owens, Wyoming, 1886.
“Ho ucciso quegli uomini. Io non me ne pento, ma adesso mi dicono che non è stato giusto. Se è così, mi spiace”. Pierre Paul, un pellerossa della tribù dei Pend d’Oreilles, colpevole di avere ucciso due uomini bianchi, rivolto ai capi pellerossa chiamati ad assistere all’impiccagione, Montana, 1890.
“Ho qualcosa d’interessante da dir…”. Paul Rowland, impiccato in California, nel 1929, non riuscì a finire la frase prima che s’aprisse la botola.

“Signori, offro le mie scuse per i miei reati, e mi aspetto in cambio le vostre”, disse Antonio Garra, capo della tribù indiana dei Cupenos, condannato per avere attaccato gli insediamenti dei bianchi, al plotone d’esecuzione che s’apprestava a fucilarlo, California, 1852.
“Oh, mio Dio, mio Dio! Hanno sbagliato mira…”. Wallace Wilkerson, ferito ma non ucciso dalle fucilate, che agonizzò per 27 minuti, prima di morire nello Utah, nel 1879.
“Fuoco!”. Così urlò al plotone d’esecuzione Joel Emmanuel Hagglund, uno svedese che in America aveva scoperto il socialismo, era diventato agitatore sindacale e aveva scritto, con il nome di Joe Hill, canzoni che venivano cantate ai picchetti sindacali. Condannato per un duplice omicidio avvenuto durante uno sciopero, fu difeso anche dal presidente Wodroow Wilson, ma invano: il governatore dello Utah rifiutò la clemenza, nel 1915. Prima di affrontare la fucilazione, Hagglund scrisse: “Muoio come un vero ribelle. Non piangetemi – organizzatevi. Joe Hill”. Viene oggi considerato una vittima innocente.
“Viva l’anarchia! Addio a mia madre”. Ferdinando Nicola Sacco. “Desidero perdonare alcune persone per quello che mi stanno facendo”. Bartolomeo Vanzetti, Massachussets, 1927.  Nel 1979 il governatore del Massachussets, Michael Dukakis, li riabilitò: “Ogni marchio d’infamia e vergogna sia rimosso per sempre dai nomi di Sacco e Vanzetti”.
“Be’, adesso sarete contenti”. George Chew Wing, ai boia che lo facevano salire sulla sedia elettrica, New York, 1937.
“Preferirei andare a pescare”. Jimmy Glass, Louisiana, 1987.

“Possa la mia morte servire a spingere una nazione alla lotta e a far propria la filosofia del grande Martin Luther King, che disse: ‘Un’ingiustizia in qualsiasi posto è una minaccia alla giustizia in ogni posto’”. Wallace Thomas, un nero condannato per omicidio, riteneva che la pena di morte fosse razzista. Fu giustiziato in Alabama, nel 1990, dopo 14 anni nel bracco della morte.
“Va tutto bene”. Caryl Chessman, probabilmente il più celebre condannato a morte nella storia degli Stati Uniti, aveva rapito e stuprato due donne, ma non aveva commesso omicidi. Dal 1948, anno della condanna, al 1960, quando entrò nella camera a gas, vinse dodici rinvii dell’esecuzione e scrisse l’autobiografia, “Cella 2455, Braccio della Morte”, che ebbe grande successo e divenne un film. Per i suoi reati, oggi non è più prevista la pena di morte.
“Sento puzza di uova marce”. Warren Cramer, nella camera a gas del carcere di San Quentin, California, 1943.
“Ho vissuto una vita violenta, e mi chiedo se Dio abbia posto per gente come me”. Johnson William Caldwell, che aveva ucciso la moglie perché gli aveva negato un prestito, California, 1955.
“Sono ancora sveglio”. Robyn Parks, dopo la prima iniezione letale, Oklahoma, 1992.
“C’è amore nell’Islam, e pace”. Willie Ray Williams, Texas, 1995.
“Buon Natale”. Lem Tuggle, Virginia, 12 dicembre 1996.

“Vi perdono tutti”. Manuel Pina Babbitt, condannato per omicidio. Veterano del Vietnam, sostenne che la sindrome post-traumatica gl’impediva di ricordare che cosa avesse fatto. Ricevette la Purple Heart, la decorazione ai caduti e feriti in guerra, mentre era nel braccio della morte. California, 1999.
“Non sono la stessa persona di 24 anni fa. Chi l’avrebbe detto che ci sarebbero voluti 24 anni per giungere a questo momento?”. Billy Hughes, probabilmente il condannato che ha passato più tempo nel braccio della morte. Texas, 2000.
“Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Wanda Jean Allen, condannata per l’omicidio dell’amante Gloria J. Leathers.

“Tutti devono morire, prima o poi, quindi… procediamo con l’assassinio”. Kevin Conner, detto “Iceman”, cioè uomo di ghiaccio, Indiana, 2005.
“Spero che la mia morte vi dia un po’ di pace”. Michael P. Delozier, condannato per triplice omicidio, Oklahoma, 2009.


“Last Words of the Executed”, di Robert K. Elder, è pubblicato in America da Chicago Press.

Fonte della notizia IL CORRIERE DELLA SERA



Si ringrazia per l’editing Benedetta Volontè



ww.giovannimerenda.it

http://giovannimerenda.blogspot.com/

Latest posts by Giovanni Merenda (see all)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *