L’articolo che segue in realtà non è un articolo, è di più. Motivo per il quale dovresti leggerlo. In più, sarebbe bello sapere che cosa ne pensi, per arricchire la discussione che a me ha davvero colpito.
L’autrice della riflessione non è una giornalista, non è una che scrive romanzi, non è quel tipo di persona che definiremo una letterata impegnata. Lei è prima di ogni altra cosa una mamma, ma è soprattutto una persona sensibile, di quelle che ti sorprendono perché ti raccontano una storia come questa e tu, che scrivi racconti, romanzi, articoli di marketing e ti spacci per intellettuale, resti lì talmente senza fiato che alla fine ti fai da parte e decidi che questa settimana invece del tuo articolo “intellettuale”, pubblichi l’articolo vero e reale di Anna, mamma del piccolo Alessandro protagonista del racconto, che in realtà è una email privata, per la quale ho chiesto il permesso di renderla pubblica.
Buona lettura.
Devi sapere che i figli, per quanto tempo ci dedichi e per quanto credi di conoscerli, non sai mai che cosa aspettarti da loro, non puoi mai prevedere reazioni, mai sapere o nemmeno lontanamente immaginare che cosa possa sobbollire in quelle teste sempre in fermento.
Certo puoi renderti conto se un figlio ha un carattere sensibile, ma non puoi immaginare i limiti di quella sensibilità.
Martedì pomeriggio, annoiati dal tempo che non passava e frementi in attesa dell’ora X (l’ora delle convocazione per una partita qui da noi, a cui ci è poi andato col su’ babbo) ci siamo messi a zompettare sul web in cerca di notizie sul Napoli. Abbiamo trovato un sito “pericoloso” che pubblicizza le camerette del Napoli e ne abbiamo scelta una per la prossima vita, abbiamo visto dei video su Youtube di telecronache fatte dai nostri cronisti tifosi preferiti (Carlo Alvino e Raffaele Auriemma) e ci siamo fatti un sacco di risate perché quei due danno veramente i numeri. Infine siamo approdati su un blog di appassionati del Napoli che proprio quel giorno aveva pubblicato un articolo che ho avuto la malsana idea di leggere ad Alessandro sotto sua richiesta perché lo incuriosiva il titolo “Lavezzi è scappato da Napoli, facciamocene una ragione“.
Ma porco cacchio, io che ne potevo sapere che quell’articolo avrebbe provocato certe reazioni?
Confesso, che nel leggerlo, un nodo alla gola è venuto anche a me, ma che Alessandro scoppiasse a piangere dopo un raffica di spasmi nervosi e un veloce preavviso: “Mamma sto per piangere“. No, proprio non me l’aspettavo.
Lui piangeva perché aveva capito tutto il senso dell’articolo, per la delusione, perché anche se le voci che circolano non sono ancora fondate, c’è molta probabilità che sia tutto vero, piangeva perché Lavezzi è il suo calciatore preferito e ora sente che lo sta tradendo. Forse la colpa di tutto è mia poiché forse io gli sto inculcando (lo assillo in realtà) dei valori di lealtà e appartenenza e Alessandro si rende conto che il suo idolo forse quei valori non li ha, o se li ha mai avuti, forse li sta perdendo.
Quel pianto era contagioso, facilissimo immedesimarsi nella sua emozione e nella sua delusione, ma mi sono caricata di cinismo per ridimensionare il momento, e per mandarlo in campo – l’ora della sua partita era imminente ormai – meno frustrato e più carico di obiettivi personali.
Gli ho fatto una testa così: gli ho spiegato che il calcio è una metafora della vita, ma prima, arrampicandomi sugli specchi, gli ho dovuto spiegare che significa metafora (è più forte di me, me le vado proprio cercando!), gli ho fatto riascoltare De Gregori (La leva calcistica del’68, bellissima) e gli ho anche raccontato che il Calcio di una volta era tutt’altra cosa, era una disciplina giocata col cuore, che i soldi c’entravano poco o niente, che i genitori non si pigliavano a mazzate sugli spalti come accade da noi adesso, che gli ingaggi non erano scandalosi come quelli di questi tempi e blablabla…
Mentre Ale era in piena partita, io ripensavo a questa cosa accaduta poco prima e mi rassegnavo al fatto di dover ascoltare al suo rientro tutto il racconto minuzioso, minuto per minuto delle sue gesta eroiche, dei suoi errori, dei falli fatti e subìti e dei cazziatoni del Mister, ma prima che andasse via gli ho detto “Alessà, a me non importa se diventi un calciatore o no, lo sai, a me interessa che studi, ma se proprio il calcio continua a piacerti e diventi bravo, ma proprio bravobravobravo allora vai avanti. L’importante è che non diventi come loro, perché io un figlio così non lo voglio.”
Lui mi ha fatto l’occhiolino e mi ha promesso una dedica virtuale laddove avesse fatto un gol!
Che mestiere difficile quello del genitore, tra l’altro anche sottopagato! Non si è mai pronti, mai preparati, anche dopo anni di gavetta, MAI!
httpv://www.youtube.com/watch?v=P3PcbWARuCQ
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