L’avvocato Paolo Emilio Pagano mi scrive un’email allegandomi un racconto tratto dal romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino, chiedendo una mia opinione.
Il racconto lo troverete in versione integrale alla fine di quest’articolo che è proprio la mia risposta al messaggio dell’avvocato.
Anche voi, se vi fa piacere, siete invitati a fornire la vostra opinione al racconto “Leonia” di Calvino. Buona lettura.
Carissimo avv. Paolo Emilio Pagano,
è stato un piacere per me riscoprire il brano “Leonia” di Italo Calvino, autore che, tra l’altro, amo molto.
La cosa interessante è che “Le città invisibili” è del 1972 ovvero di trentanove anni fa! Eppure resta estremamente attuale, inoltre – cosa sconvolgente – Calvino, attraverso il personaggio di Marco Polo, racconta di città che non esistono, fantasia che oggi si è trasformata in mostruosa realtà. Le cito una frase molto profonda presa proprio da questo romanzo: «Di una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».
La nostra Napoli è da diversi anni che ha smesso di rispondere alle domande, affannata e sopraffatta da inciviltà e individualismo.
Riporto un breve discorso tra Marco Polo e Kublai Kan, che fa sempre parte de “Le città invisibili”:
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo.
Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.
“Senza pietre non c’è arco”, la nostra società sta diventando sempre più individualista, ognuno preso dai propri interessi, di corsa verso questo e quell’altro obiettivo, le città, le strade non sono luoghi dove si vive e quindi “case”, ma luoghi “dove si passa” e quindi non ci appartengono, pertanto non sono degni del nostro interesse e del nostro rispetto. Ecco che camminiamo tra lattine, bottiglie di plastica, mozziconi di sigarette – questo nella migliore delle ipotesi – fino ad arrivare a lunghi agglomerati di monnezza che pare stiano sostituendo i nostri stupendi lungomare con dei putridi lungomunnezza!
La metafora di una città sempre nuova che getta tutto ciò che appartiene al giorno prima è forte e drammatica allo stesso tempo. Niente affatto invisibili, le nostre città moderne e avanzate si allargano sempre più, producendo immondizie a una velocità sempre maggiore! Il senso del veloce e del subito, che caratterizza la nostra società, rende tutto obsoleto nel giro di un anno se non di qualche mese. Nulla si aggiusta, ma tutto si sostituisce con un modello nuovo che spesso ha di nuovo solo il colore o la forma, ma che, nella sostanza, resta del tutto invariato in ciò che può realmente fare. Ricordo con nostalgia figure come il calzolaio oppure l’uomo che riparava gli ombrelli, il tizio nel piccolo negozietto che ricaricava gli accendini e ho un vago ricordo di un artigiano, rinchiuso in una specie di bugigattolo, che riparava le penne! Oggi, invece, tutto viene buttato via, perfino ciò che potrebbe essere recuperato e reso nuovamente funzionante.
Ecco quindi che un po’ di Leonia lo troviamo in ogni città: Napoli è Leonia, Roma è Leonia, Milano è Leonia, ma non è un problema solo campano o italiano; questo è un mondo squilibrato che consuma e spreca molto più di ciò di cui ha davvero bisogno, c’è surplus in tutto, direi che assistiamo a una schizofrenia consumistica che ci riguarda un po’ tutti, di cui nessuno deve sentirsi davvero escluso.
Non soltanto è necessario riciclare e recuperare – che comunque rappresentano già un grosso obiettivo – ma è fondamentale comprendere e discutere su cosa voglia davvero significare “città moderna”, penso che ci troviamo di fronte ad un momento di crisi del sistema attuale di produzione dei beni. Sono fermamente convinto che il problema è principalmente culturale e si sintetizza nel concetto di individuo.
Parafrasando la citazione di Marco Polo: “sono le pietre che fanno l’arco che sorregge il ponte”, direi che sono le persone che fanno la civiltà che sorregge le città. Ma per essere “pietre” e formare l’arco, gli individui devono smettere di essere tali e diventare persone ovvero intersecati da relazioni, e quindi cittadini.
In questa moderna società dell’arrembaggio consumistico, a prendere sempre più forza è l’individualismo che riguarda da una parte la singola persona e dall’altra le singole città, che diventano isole solitarie i cui confini, come per quelli di Leonia, sono enormi discariche e periferie putrescenti, città in cui la popolazione, storcendo il naso, non fa altro che ripetere al vicino: «Si tenessero i loro rifiuti che noi già abbiamo i nostri!»
Che cosa fare? Magari avessi la risposta, il problema è che girando questa domanda alla mia città mi ritorna solo un silenzio… tombale.
LEONIA
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate, vendute, comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove.
Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi di una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato di un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città si espande, e gli immondezzai devono arretrare piú lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto.
Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature di ieri che si ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.
da: Le Città Invisibili di Italo Calvino
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