Avevo giurato a me stessa che non ne avrei mai parlato (o scritto) e invece presa dal disgusto, anch’io mi faccio manipolare dal luccicante mondo dell’orrore mediatico dove tutto, persino la morte violenta, diventa cult. La morte diventa linfa vitale in un mondo spento, che ha bisogno di spiare dal buco della serratura per non guardarsi dentro, poiché sarebbe davvero troppo ammettere che forse, e dico forse, ci sarebbe di che premurarsi all’interno delle proprie pareti domestiche.
Sono giorni, mesi ormai, che il caso dell’omicidio della quindicenne di Avetrana, Sarah Scazzi, è entrato nelle nostre vite sconvolgendole e in taluni casi (ahinoi!) persino dando brio ad esistenze troppo vuote.
Non c’è trasmissione tv (manca solo la versione giallistica dei Puffi) o blog che non abbia aperto un “muro del pianto” sul quale imprimere a caratteri cubitali il proprio disappunto. Non c’è bar in centro o in periferia in cui non ci si riunisca a dire la propria verità improvvisando talk show de noiartri che fanno figo e che mancano di rispetto all’unica vera vittima di questo tremendo gioco al massacro.
Non si sa chi sia il colpevole, o chi sia più colpevole dell’altro, ciò che so è che la speculazione ha toccato livelli inquietanti. L’ho capito in due occasioni in particolare. La prima si riferisce a qualche tempo fa, quando fu necessaria un’ordinanza del sindaco di Avetrana a fermare i pellegrinaggi davanti alla cantina, presunto luogo del delitto. Italiani, giapponesi e chi più ne ha più ne metta approfittando del sole pugliese di una domenica pomeriggio, fotografavano il luogo dello scempio irrispettosi del dolore come se si trattasse della tomba di Elvis o di Jim Morrison.
Ma Sarah non era un divo del rock. Sarah era solo una bambina.
A questo che ritengo un vero scandalo si è poi aggiunto un episodio se vogliamo ancora più grave e grottesco.
Non sono qui per giudicare il dolore di nessuno perché io stessa non sono nessuno, ma una domanda devo farmela: che cos’ha in testa la gente?
Il fratello della giovane vittima anziché trincerarsi dietro al dolore o reagire con forza a quanto accaduto cercando la verità ha pensato bene di contattare Lele Mora.
Forse voleva distrarsi o forse è più importante pensare a se stessi?
Adesso vuole entrare nel mondo della televisione convinto di averne i numeri. Così dopo la consacrazione di Amanda Knox, l’americanina tutta apple pie e diabolici occhi azzurri accusata in concorso dell’omicidio di Meredith Kercher che dopo aver girato un corto in carcere sarà rappresentata in un film per la televisione dall’attrice Hayden Panettiere (la famosa cheerleader di “Heroes”), e la nuova ribalta di Annamaria Franzoni condannata a trent’anni per l’omicidio del figlio, il piccolo Samuele Lorenzi, grazie all’amicizia in cella con l’urlatrice Vanna Marchi, c’è un altro “mostro” a cui tirare le briglie.
“La televisione non mi dispiacerebbe”, avrebbe dichiarato Claudio Scazzi, il fratello di Sarah, che dopo il dramma vissuto in famiglia ha ammesso di aver contattato l’agente delle stars (per altro sempre meno quotato) per valutare le sue possibilità nel mondo dei gechi e dei vampiri. Il giovane avrebbe domandato a Mora se avesse in mente qualcosa per lui e nonostante il diniego non si darebbe per vinto.
Secondo il settimanale “Oggi”, Claudio Scazzi avrebbe addirittura incontrato l’agente resosi disponibile a ospitarlo nei suoi eventi per la presentazione di una raccolta di fondi e di un progetto per la costruzione di un canile da realizzare in memoria della ragazzina.
Non c’è male come reazione a un efferato delitto come quello di Avetrana.
Un canile per una sorella morta ammazzata. Umiliata persino nell’ultimo istante di coscienza, la cui morte non ha ancora un perché e visto che siamo in Italia probabilmente non l’avrà mai.
Eppure il giovane ha dato un segnale di vicinanza alla famiglia e alla piccola vittima dando il due di picche a un’agenzia di Torino che gli proponeva di diventare il nuovo Azouz Marzouk (ricordate la strage di Erba?).
Quello proprio no. Sarebbe stato troppo umiliante persino per lui.
Ma ancora più grottesco in questo mondo di pazzi è che ad accompagnarlo nella ricerca della “felicità” sarebbe stato un legale e, udite udite, il padre di Sarah.
L’ultimo affronto è servito.
Tutto è diventato business.
Tutto è moneta sonante. Tutto è Porto Cervo. Tutto è Billionair. Tutto è mancanza di rispetto. Tutto è sempre, ancora una volta, violenza.
Sia essa fisica e/o psicologica, prima o dopo, tutto si riduce a quello.
Mors tua, vita mea, dicevano i latini.
E così persino i fratelli diventano più violenti degli assassini. Diventano veri e propri coltelli. Lame affilate, cordicelle al collo (o cinture) perché come dice Vasco Rossi nella sua celebre canzone “Non appari mai” datata 1993, “tu non sei nessuno se non appari mai in tv”.
E cosa importa se il pretesto è un premio ricevuto, un’alluvione o un barbaro omicidio.!
L’importante è l’obiettivo finale: far parlare di sé e conquistare il paradiso mediatico. Peccato che l’unico vero Paradiso non siamo noi a meritarcelo in questa triste e avvilente vicenda di casa nostra.
Vi prego, ditemi che non è vero!
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Complimenti anche da parte mia per il Suo articolo. E’ una vergogna… Capisco l’informazione (anche se poi si esagera pure con quella), ma la speculazione del dolore altrui no… Quella proprio no… E’ mancanza di tatto, di sensibilità… Per non parlare poi delle “aspirazioni” di chi ha causato o ha subito il dolore… Concordo quando dice che non sa cosa passa per la testa a queste persone… E’ da restare più che perplessi…
Ciao Antonella,
come sempre complimenti per l’analisi di una realtà che purtroppo tutti diciamo aberrante ma purtroppo tutti, come “gente” contribuiamo ad alimentare. Anche io durante una gita a Cogne ho azato gli occhi verso la villetta ormai tristemente famosa, forse passando davanti all’appartamento dei coniugi di Erba avrei dato più di uno sguardo e così via. Certo, senza fare foto o pellegrinaggi, ma la tentazione di sentirsi colmi d’orrore c’è, perché? Perché tutti abbiamo voglia di distanziarci da questi fatti sentendoci diversi, migliori. Guardiamo le case scenari di tremendi delitti prima di tutto pensando che a noi non potrebbe mai accadere, eppure quelle persone fino al giorno prima erano anonimi cittadini come noi. Scuotiamo la testa e scambiamo sguardi d’intesa col vicino che è lì per lo stesso motivo e ci sentiamo sollevati a non essere come “quelli”, andiamo fin lì per ricordarcelo meglio, per ribadirlo. Non ricordiamo però che Samuele era un bambino di pochi anni, che Sarah era una ragazzina adolescente nonostante oggi i ragazzi sembrino più grandi, con sogni e ingenuità giuste per la sua età, che il piccolo Youssef non ha avuto il tempo di vivere la vita come ce l’hanno i nostri figli. Erano persone e, travolti dal desiderio di riempirci d’orrore e sdegno, sempre però con un occhio alla serratura, pronti a sentire il brivido dicendoci “io non sono cos”, ce ne dimentichiamo di continuo.