Un dramma di nome Matteo

 

di Alfonso Mottola

 

C’era una volta un Padre, di nome Giorgio (Napolitano). Anziano e stimatissimo uomo politico, di origini napoletane, aveva tre figli. Il maggiore, Piero (Grasso), era nato molto obbediente: dopo aver navigato per i riottosi fiumi della giustizia, seguì le orme paterne. Il secondo, quello intelligente e studioso, si chiamava Enrico (Letta), molto apprezzato per la sua competenza e pacatezza di giudizio. Il terzo, l’audace e sfrontato Matteo (Renzi), era adorato dal Padre: su di lui cadde ogni speranza per vedere realizzati tutti quei progetti che lui stesso non aveva potuto mettere all’opera. 

Gli indicò infatti la strada: modificare le Regole di tutti a favore di pochi. Per questa impresa non scelse né il coscienzioso Piero né l’apprezzato Enrico, ma lo scaltro Matteo, che, in un battito di ciglia (e senza fronzoli) fece fuori il volenteroso Enrico, che pur aveva un ottimo programma per il suo Paese. Il figlio maggiore (Piero) venne arruolato dal Padre, che conosceva la sua obbedienza, a predisporre tutto quanto il necessario per spianare la via al progetto paterno, e all’arroganza del fratello piccolo.

popoloQuasi giunti al traguardo finale però, tutto al maschile, si intromise, con prepotenza, un elemento estraneo: la Sovranità di una Donna. L’Italia! Come direbbe quel francese di Lacan, una donna è sempre l’ora della verità per un uomo. E qui la Donna Italia pronunciò un forte ed energico No a Matteo, chiarendo che le Regole di tutti non si potevano cambiare in questo modo.

Allora il piccolo Matteo venne estromesso, e con lui anche quella strategia paterna così poco condivisa. La sua strada venne sbarrata, pur essendo bravo, capace, di grande energia e dialettica. Lui, designato a essere l’Erede, non ricalcò lo Stesso del Padre, ma creò qualcosa di Nuovo riconquistando il Già Visto.dialettica Quel Padre che ora se ne sta in Silenzio, seduto comodamente sulla sua poltrona, mentre medita ancora a come poter imporre la sua visione della Sovrana Italia. Lui che non esitò a “tagliare la testa” anche del diletto Figliolo, prima tanto bravo e poi rinnegato.

Chissà se in avvenire lo rivedremo senza il fardello del Padre. Perché, peccato, era davvero bravo.

 

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