di Elisa Scaringi
Siamo ormai abituati al cinema hollywoodiano, che affronta spesso la migrazione come espressione del “grande sogno americano”. E incuriositi dal cinema europeo, che racconta i flussi migratori quale storia contemporanea di ingiustizie ancora irrisolte. Ma Al di là delle montagne sorprende (positivamente) per la sua narrazione della migrazione dal punto di vista dell’antichissima cultura cinese.
Jia Zhangke, vincitore nel 2006 del Leone d’Oro per Still life (film storico intorno alla cittadina di Fengjie minacciata dalla diga delle Tre Gole), racconta infatti di come la migrazione possa plasmare in modi completamente diversi la vita di persone un tempo vicinissime. C’è prima di tutto Tao, ragazza divisa dall’amore di due giovani, che rimarrà nella sua Fenyang, immobile al passare del tempo e bloccata in una vita priva di speranze. Intorno a lei ci sono Lianzi, umilissimo e silenzioso, che decide di fuggire all’amore negato e manterrà per tutta la vita un tenore da uomo quasi invisibile al mondo, e Zhang, irriverente e tutt’altro che umile, lanciato verso un capitalismo privo di qualsiasi sentimento umano.
E c’è poi Dollar, il giovane figlio di Tao e Zhang, che vive l’abbandono dell’emigrazione: in lui ci sono tutti i contrasti di un bambino di sette anni portato via dalla sua Cina (e dal legame materno), che affacciandosi all’età adulta scopre una lacerante amnesia rispetto alle proprie origini. Il suo dolore lo animerà verso un riscatto vissuto al contrario: riscoprire quel legame materno tenuto come un segreto, custodito anche in quel nome (Dollar), espressione del rinnegamento paterno verso la propria cultura, che non verrà però condiviso dal figlio in età adulta.
Le diverse sfaccettature di un tema come l’esodo vengono quindi arricchite da temi ugualmente reali e degni di nota, quali l’amore, la figliolanza e il rapporto tra culture diversissime tra loro. Zhang infatti decide di fuggire dalla Cina perché abbagliato dalla libertà dell’Occidente. Ma scoprirà a sue spese che sarà una semplice illusione: emblematico il cameo dedicato alle armi, liberamente commerciabili in Australia ma coperte dal divieto di usarle su chiunque. Alla fine, quindi, la più libera di tutti risulterà Tao: seppur divisa all’inizio del film da una scelta d’amore, e apparentemente rassegnata a una vita insignificante dietro le montagne della sua Fenyang, sarà l’unica a poter conquistare quella libertà interiore, che può nascere solo dalla consapevolezza del tempo che passa.
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