Captain Fantastic: una riflessione esistenzialista sul mondo di oggi

 

di Francesco Grano

 

Il carismatico e sui generis Ben Cash (Viggo Mortensen) vive insieme ai suoi sei figli isolato tra i boschi, dove insegna loro a cacciare, sopravvivere e fortificarsi, facendogli parimenti studiare lo scibile umano. Quando sua moglie, ricoverata a causa di un disturbo bipolare sorto dopo l’ultima gravidanza, si suicida, Ben e la sua prole sono costretti ad abbandonare la pace del verde, intraprendendo un viaggio a bordo del loro scuolabus-camper ribattezzato Steve,locandina Captain Fantastic pur di dare l’ultimo saluto all’amata moglie e madre e, così, realizzare le sue ultime volontà: essere cremata e disperdere le ceneri in un water pubblico. Durante il viaggio non mancano scontri con la realtà, schermaglie tra genitore e figli e, non ultima, l’eterna lotta con il suocero milionario Jack (Frank Langella) che non ha mai visto di buon occhio Ben.

Si sa, il cinema indipendente è un mondo altro, un universo Off Hollywood lontano dalle luci dei riflettori e dalle ingenti somme produttive, che prende le distanze da quel filone mainstream votato – nella maggior parte dei casi – a prodotti filmici tipici del corporate blockbuster. Un modo di fare cinema, quindi, del tutto differente dalle immagini patinate e glamour ma capace di sfornare piccoli o grandi capolavori. L’ultimo arrivato nel panorama del cinema indie è Captain Fantastic (id., 2016), lungometraggio a cavallo tra commedia e dramma diretto dallo statunitense Matt Ross. Captain Fantastic sprizza indipendenza fin dall’incipit, in cui il regista ci presenta i Cash, bizzarra ma originale famiglia che sembra ricalcare i personaggi di wesandersoniana memoria anche se, nonostante l’analogia, differisce dalle creature di quest’ultimo in quanto, nel lavoro di Ross, il contesto non è quello fiabesco-onirico delle opere di Anderson ma, piuttosto, quello della società capitalista e consumista degli Stati Uniti odierni.

Il Ben Cash interpretato da un eccellente e privo di sbavature Viggo Mortensen non è un hippy, non è uno di quei fervidi credenti dell’esistenza alternativa. È – semplicemente – un uomo stanco del contesto sociale e politico del suo Paese, una Nazione che mira solo ed esclusivamente all’appagamento dei piaceri terreni, possibile mediante il potere del Dio Denaro. In Captain Fantastic la famiglia protagonista non si rivela un branco di scellerati e folli survivalisti semmai è il contrario in quanto, proprio nella loro vita ritirata nel bel mezzo della natura e del nulla, sono l’esempio lampante di come si possa apprendere molto di più rispetto alla vita nelle zone urbane ad alta densità di popolazione.

Nel film di Matt Ross non mancano le riflessioni esistenzialiste né quelle filosofiche o religiose, così come non sono da meno le critiche mosse verso il sistema stesso che muove i fili geopolitici, assicurando alti tassi qualitativi nello standard di vita dei cittadini, tuttavia assoggettando (quasi come in una sorta di lobotomia di massa) questi ultimi a vivere secondo i modelli (moda, alimentazione, stili) imposti per la maggiore. Captain Fantastic è questo: una riflessione esistenzialista sul mondo di oggi, sulla vita altamente consumista e priva di ogni interesse al di fuori delle convenzioni societarie, in cui la cultura latita e non si sa neanche che cosa siano gli emendamenti della Costituzione americana (esemplare la scena di confronto tra i figli di Ben e i suoi nipoti) dimostrando, parimenti, di come ci si sia rassegnati a tutto ciò che sia di facile e immediato utilizzo, invece di mettere tutta la buona volontà e svegliare il cervello da quella sorta di letargo indotto dalla società 3.0 figlia del XXI secolo.

Captain Fantastic è il viaggio on the road (che richiama alla mente quello dell’altro grande cult indie Little Miss Sunshine) di un nucleo famigliare in un’America in continuo cambiamento; una famiglia che è riuscita a capire l’importanza dell’essere vivente in quanto tale, il quale viene dalla terra e alla terra è destinato a tornare alla fine dei suoi giorni, incapace di portarsi dietro tutte le cose e i beni accumulati durante l’esistenza terrena. Parimenti l’opera di Ross è un elogio a quella natura ancora incontaminata, lontana dall’inquinamento metropolitano e dai mostri fatti di cemento, vetro e acciaio. Una madre natura che, nonostante l’uomo sia il suo maggior distruttore e detrattore, accoglie lo stesso, tra i verdi campi, i suoi figli fatti di carne e ossa.

Avvalendosi di un’ottima fotografia, di una regia tecnicamente solida e ben diretta, di una sceneggiatura piacevole e mai blanda o dal sapore di già visto, Captain Fantastic è uno di quei film che riesce a rapire lo spettatore, inchiodandolo alla poltrona e facendogli tenere gli occhi fissi sullo schermo fino all’ultimo fotogramma riuscendo, minuto dopo minuto, nel compito in cui molti altri lavori falliscono, ovvero quello di far riflettere e – contemporaneamente – far respirare una grandiosa e salutare aria di libertà, scevra da condizionamenti e convenzioni alcune.

 

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