di Francesco Grano
Dodici anni nella vita di Mason Evans (Ellar Coltrane). Dall’infanzia fino alla maturità, sono anni segnati dal difficile divorzio dei genitori (una madre leggermente assente e diversamente un padre amorevole), dai continui trasferimenti da una città all’altra, i nuovi amici, i patrigni violenti e il rapporto di amore/odio con sua sorella Samantha (Lorelei Linklater). Cresce il piccolo Mason, scoprendo progressivamente che a cambiare non è solo lui ma anche le persone ed il mondo che lo circondano.
Girato realmente nell’arco temporale di dodici anni, Boyhood (id., 2014) dello statunitense regista e sceneggiatore Richard Linklater (sua la trilogia composta da Prima dell’alba, 1995, Before Sunset – Prima del tramonto, 2004 e Before Midnight, 2013), porta lo spettatore all’interno di un film che “evolve” – letteralmente – insieme ai suoi protagonisti/attori. Con un ottimo cast (meritato il Golden Globe e l’Oscar a Patricia Arquette e un Ethan Hawke sempre più bravo), una nitida e cristallina fotografia, Boyhood è un esperimento sui generis dal sapore decisamente indie, rivelatosi una piacevole novità. Nel seguire la vita e la crescita di Mason è impossibile non identificarsi con lui specialmente per chi, come il protagonista di Linklater, sta affrontando quel difficile e, a volte oscuro, “processo” fisiologico che porta verso l’età adulta.
Di fronte a Boyhood non è per niente complicato afferrare quelle che sono le intenzioni del regista. Sì, perché l’opera di Linklater è strutturata in tre blocchi temporali principali. Sezioni che, basate su un continuum, esplicano il compito di riflessione sulla vita e delle sue tappe fondamentali: in primis l’età dell’infanzia, durante la quale tutto, il mondo, la vita sono velati di un piacevole colore roseo ed ogni piccola o grande cosa sembra possibile. Ma nonostante la netta suddivisione tra mondo infantile e mondo adulto, anche se piccoli si riesce a carpire quei discorsi, quelle decisioni e scelte che i “grandi” prendono per il bene di se stessi e dei propri figli. L’età dell’adolescenza è il secondo, ideale blocco narrativo: segnata dai primi “mutamenti”, i primi innamoramenti, le prime delusioni, le indecisioni e le insicurezze. Tutti gli adolescenti vivono in quella perenne convinzione di essere invincibili, padroni del mondo e del tempo. L’adolescenza è, con molta probabilità, il periodo più critico nella vita di un ragazzo/a ma è, allo stesso momento, la via di mezzo, il tramite che funge da traghettatore verso la terza e più importante fase: l’età della maturità, il tempo delle grandi decisioni (il conseguimento del diploma e la scelta del college), il momento in cui si deve definire il proprio carattere e affermare la propria esistenza, il proprio essere all’interno del mondo e della società.
Mason vive tutto questo dall’età di otto anni fino al compimento dei diciannove; il suo percorso esistenziale è scandito da tutto ciò. Come già affermato a “crescere” non è, esclusivamente, il protagonista ma anche il mondo in cui egli vive: sullo sfondo di un’America (che passa dall’amministrazione Bush a quella Obama) cambiano le mode, gli stili, i punti di vista. E ad ogni novità, ad ogni new entry la vita di ogni personaggio si arricchisce di qualcosa in più scoprendo così un “universo” altro che prima non si conosceva.
Se si dovesse fare un paragone sul modo in cui Boyhood racconta il “passaggio” dall’età dell’innocenza a quella adulta, sicuramente balzerebbe alla mente il nostalgico Stand by Me – Ricordo di un’estate (Stand by Me, 1986) di Rob Reiner. Ma Linklater, con delicatezza e maestria è riuscito ad andare oltre: Boyhood fa sorridere, commuovere, fa arrabbiare e rasserena… perché per ogni delusione, per ogni fine c’è sempre un nuovo inizio in quel lungo viaggio (sconosciuto e imprevedibile ma a volte sorprendente) chiamato Vita.
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