Gold: una grande truffa per un film che non decolla

 

di Elisa Scaringi

 

Gold locandina

 

Gli Stati Uniti d’America sono, più di altri, la nazione delle opportunità. Hollywood ha sicuramente veicolato questo eccentrico pensiero. E il mercato cinematografico occidentale ne ha avallato il successo. Gli sci-fi, espressione del potere USA anche nello spazio, oppure gli epic movie, la cui caratterizzazione è data spesso da storie europee, ne sono un classico esempio. Senza contare le decine di pellicole centrate su tematiche possibili quasi solo negli Stati Uniti: il riscatto, la denuncia, la speculazione finanziaria.

E proprio quest’ultima fa da protagonista al nuovo film con Matthew McConaughey, Gold – La grande truffa. La storia ha un intreccio classicheggiante: un figlio d’arte, che cade in rovina, tenta la propria rivalsa; riesce apparentemente nell’intento, ma alla fine tutto sembra essere una mera illusione. Già il titolo italiano ne dà sentore, deformando la suspense con quell’aggiunta (la grande truffa) che fin dal cartellone pubblicitario fa immaginare qualcosa di losco.

La trama procede senza intoppi o slanci di stile, grazie al rimaneggiamento in lingua cinematografica di una storia realmente accaduta. Perché, alla fine, si rimane col sapore del già visto: il protagonista, l’uomo beone e fumatore ma sostanzialmente bonario, che si tuffa nella valle del denaro con la compagnia di un aiutante, in questo caso l’uomo fascinatore e imbroglione. Il tutto condito dalla spregiudicatezza finanziaria dell’Ovest e dalla corruzione militare dell’Est, una miscela già cara al cinema di denuncia dei comportamenti poco leciti di Wall Street.

La pellicola, dunque, rimane fiacca nella ricostruzione della storia, che si tiene salda solamente per la portata di un protagonista come Matthew McConaughey, uno di quegli attori che grazie alla loro capacità interpretativa riescono a salvare girati che altrimenti non otterrebbero la stessa visibilità. Forse la scelta di cambiare i nomi ai reali protagonisti o forse l’idea di tagliare alcune parti (come l’imbroglio perpetuato con la fede pian piano “grattata” nei campioni di terra) hanno indebolito un intreccio che avrebbe potuto rendere molto di più. Nemmeno l’utilizzo di tre diversi formati riesce nell’intento: la pellicola da 35 mm per raccontare l’ascesa, l’obiettivo anamorfico per la caduta, una serie di lenti sferiche per l’interrogatorio.

Gold racconta così una grande truffa, ma nello stesso tempo fa comprendere quanto sia difficile riuscire, con la macchina da presa, a creare la magia del cinema.

 

Gamy Moore
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