Nic (Annette Bening) è un medico ginecologo e ama Jules (Julianne Moore) che, invece, non ha un lavoro. Tecnicamente Nic e Jules convivono ma il loro è un matrimonio a tutti gli effetti con tanto di figli e divisione di compiti, in una storia che riguarda soprattutto le capacità di noi genitori di saperci adattare sempre ai nostri ruoli.
I due figli tecnicamente sono fratellastri tra loro, ma nella realtà appartengono a madri diverse: Joni (Mia Wasikowska) è figlia di Nic e Laser (Josh Hutcherson) è figlio di Jules. Ma Joni e Laser hanno lo stesso padre. La faccenda si complica?
Sì, perché Nic e Jules vivono il loro rapporto di coppia omosessuale condividendo tutto. Tanto tempo fa, ad esempio, hanno condiviso anche un seme. No, non di pianta, di uomo. «Trattavasi di donatore ominico» direbbe Catarella, il centralinista del commissario Montalbano.
Ma che bisogno c’era? Non si sa, ma così capitò, sennò il film non sarebbe mai nato proprio come i due ragazzi.
Infatti, la regista e sceneggiatrice di I ragazzi stanno bene, Lisa Cholodenko, ha deciso che debba esistere un certo Paul (Mark Ruffalo) il quale, quando aveva diciannove anni, donò il suo seme, ma pensando che non lo avessero mai usato. «Gli era sembrato meglio che donare il sangue». E invece: anziché una, due volte: quel seme è stato adoperato per due donne che vivono nella stessa famiglia con i loro due figli nati dall’inseminazione. E ora questo Paul che fa? Spunta fuori dal nulla?
Tecnicamente la famiglia di Nic e Jules è una famiglia a tutti gli effetti, ma chi è praticamente il padre? Non di certo Paul, che non si è mai visto sino a ora. Allora? «Tu devi essere l’inquisitore della famiglia» dice Paul a Nic e gli altri ridono. Eh sì, perché Nic lavora. È una dura, tosta. Come un buon padre di famiglia, sa sempre quale sia la cosa giusta da fare. La sera, quando torna a casa, parla del suo lavoro, si siede a tavola, si versa un buon bicchiere di vino e sorride se la sua amata Jules ha comprato un furgone per iniziare la sua nuova attività. «Quale nuova attività?». «La mia nuova attività». «Ah, è per il giardinaggio?». «Non è giardinaggio: è progettazione di paesaggi». Insomma, scene da un matrimonio.
Ma ecco Paul. Da dove arriva questo? Da una telefonata, perché Laser vuole conoscere il suo padre naturale e Joni gli telefona, dopo avere avuto l’assenso senza esitazione dello stesso Paul tramite l’istituto d’inseminazione. Che volete? Paul è fatto così. Uno che viaggia tra i quaranta e i cinquanta, non ha mai fatto un programma, non ha terminato l’università, non è bravo nello sport, gira in moto, cambia spesso partner, ha un ristorante e cura personalmente il proprio giardino a coltivazione biologica. Insomma è uno che se la gode senza porsi particolari problemi e traguardi. A lui va bene così.
Paul si reca dunque all’incontro con i figli Joni e Laser. E da cosa nasce cosa, perché Paul appare strafigo, interessante. Sarà quell’aria trasandata, distratta, anzi meglio: disimpegnata. Invece le due donne della famiglia sembrano molto seriamente impegnate a crescere bene i propri ragazzi. E vivere in questa famiglia non convenzionale, ma dai solidi principi, saldamente ancorata ai valori tradizionali, involontariamente li aiuta crescere in maniera assolutamente convenzionale.
Ma «la sessualità umana è complicata e talvolta il desiderio può essere controintuitivo. Per esempio, dato che la percezione sessuale femminile è interiorizzata, potrebbe risultare eccitante vedere quella percezione esteriorizzata». È un concetto oscuro, vero?
Fatto sta che Paul rappresenta uno scardinamento di tutto ciò che è stato costruito in questa famiglia: il lavoro, la fatica, l’impegno, i valori, la personalità. Ecco, forse in questo si concentra il fascino di Paul, nella sua assoluta superficialità, la sua semplicità, la facoltà di appiattirsi sulle opinioni altrui, di essere docile, non contrastare, sapere ascoltare.
Insomma è alternativo alla nostra famiglia non convenzionale, un amico che tutti vorrebbero avere e con il quale sia impossibile litigare.
Così succede che Paul conosca la famiglia e proponga a Jules di occuparsi del suo giardino che necessita di cure. Jules da adesso ha un lavoro: «Jules, tu come lo faresti il mio giardino?». «Sai una cosa? Io non mi sento minimalista. Io mi sento una cosa tipo più ce n’è e meglio è. Non cerchiamo di addomesticare questo posto. Lasciamo che sia lussureggiante, ricco di vegetazione, fecondo». «Fecondo, adoro quella parola. È che la gente non la usa spesso».
Galeotto fu quel seme e chi lo sparse. Scrivere storie d’amore può aprire parentesi emozionali, come piantare un seme in un giardino trascurato, può dare vita a una vegetazione ricca e lussureggiante. Donare il proprio seme può essere un gesto d’amore verso persone che ne hanno bisogno, come entrare nella vita di una famiglia non convenzionale può provocare uno scompenso convenzionale.
E chi ha capito capisca, di più non si può dire. Perché poi la vita continua, i sentimenti – quelli veri – non possono essere cancellati in un colpo. Se vuoi costruire la tua vita, ami la tua famiglia, tua moglie, tuo marito, il tuo compagno o la tua compagna li devi difendere e te li devi conquistare, giorno dopo giorno. Può darsi che ci sia qualcosa che manchi in ogni famiglia, anche in una famiglia non convenzionale, ma anche che ci sia tanto da salvare se la famiglia ha solidi valori tradizionali.
I ragazzi, per esempio, stanno bene. E noi?
Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani
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