L’uomo sente l’irrefrenabile obbligo di comunicare. Anzi, si distingue dalle altre specie viventi per la capacità di trasmettere il suo pensiero.
Certo, non è stato sempre così. L’uomo primitivo, immaginiamo, comunicava la forza fisica del suo corpo, trasmetteva l’istinto di sopravvivenza, imponeva il dominio alle altre specie. Doveva sottomettere per sopravvivere, cacciare, ma anche distribuire il cibo, organizzare il gruppo di uomini con il quale conviveva. Probabilmente lo faceva attraverso la gestualità che – dicono gli esperti – rappresenta la comunicazione analogica: quella, cioè, operata attraverso un rimando a ciò che s’intende esprimere, mediante l’uso di gesti, suoni vocali o strumentali, variazioni di postura e atti mimico-emozionali.
Poi la comunicazione divenne più complessa e prese forme più varie: l’uomo cominciò a comunicare anche attraverso i segni, da cui le forme di scrittura e disegno. L’uomo intendeva con ciò esprimere cose più alte, pensieri più complessi, immagini che si formavano nella mente e che – col senno di poi – potremmo definire riflessioni.
Immaginiamo ancora, ma solo al fine di questa opinione sul film, che l’evoluzione della comunicazione sia passata dall’espressione del corpo a forme più definite e complesse perché il pensiero si andava strutturando maggiormente. Fu, insomma, come se ciò che non fosse stato ancora codificato avesse cercato di uscire dal dentro dell’uomo per proiettarsi al di fuori, sino a raggiungere gli altri.
Se in un nanosecondo, adesso, ci proiettassimo in un futuro non lontano o in un passato recente, comprenderemmo perché l’uomo trasmette: trasmette perché comunica qualcosa, dalle sensazioni e le emozioni alle istruzioni per l’uso. Nel caso dei segnali inviati nello spazio a ipotetiche forme di vita extraterrestri e lontane, l’uomo trasmette e comunica l’immagine di sé sulla Terra: noi siamo così.
L’uomo, dunque, ha l’irrefrenabile bisogno, l’istinto vitale di comunicare e, per farlo, usa tutti i mezzi a sua disposizione: dal corpo, alla luce degli occhi, ai gesti espressi, ma anche negati come l’indifferenza. L’uomo comunica anche con l’arte: una forma di dialogo che mette direttamente in contatto le idee con il cuore, bypassando la ragione e non pagando dazio al cervello. Ma soprattutto, avverte la grande necessità di trasferire il suo pensiero nella mente di un altro. Sì, perché questo dobbiamo immaginare: attraverso la comunicazione, due o più unità centrali si scambiano le informazioni.
Ora, quanto più dettagliata è la comunicazione, tanto più fedele sarà l’informazione trasmessa. Allora, l’uomo ha necessità di una forma complessa di comunicazione, la più complessa di tutte: quella logica. La comunicazione logica è innanzitutto verbale. Attraverso un codice di suoni convenzionali l’uomo trasferisce pensieri complessi, alcuni dei quali non sono trasmissibili in altro modo: si pensi alle parole infinito, segreto, eternità.
La comunicazione, anche quella verbale, può essere diretta o traslata. Gesù, ad esempio, comunicava in modo semplice, talvolta diretto: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso», talaltra attraverso parabole, «Chi è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede del pane, gli dà una pietra? O se gli chiede un pesce gli dà, al posto del pesce, una serpe?».
L’uomo moderno vorrebbe riassumere in sé tutte le forme di comunicazione, logiche e analogiche, attraverso le possibilità che il corpo e le tecnologie gli mettono a disposizione. Eccolo allora impegnato a rendere una bella immagine di sé, mentre si esibisce in un linguaggio forbito. Stop! Penso di avere annoiato abbastanza. Voi chiederete: ma insomma com’è Il discorso del re, di Tom Hooper? E cos’è un re senza voce?
Anni Trenta, Regno Unito: il secondogenito di re Giorgio V, Albert Frederick Arthur George Windsor, detto Bertie (Colin Firth), duca di York, soffre di *** forma debilitante di balbuzie. Il trono spetta *** discendenza al fratello maggiore Edward, ** quale abdica a causa dell’amore *** lo lega a una donna divorziata.
Albert sale dunque al ***** con il nome di Giorgio VI. Ben ******, però, a causa dell’ascesa al potere di Hitler e del soffiare *** venti di guerra *** si agitano in Europa, Giorgio VI è costretto a dialogare *** il popolo, che necessita di una figura alta e istituzionale che li rappresenti e li unisca maggior***** di quanto *** in condizione ** fare il debole Primo ministro Chamberlain.
E da un re potente ci ** aspetta discorsi roboanti. Ma la balbuzie ***** quale soffre, provoca in Giorgio VI un profondo senso di ************ e gli sforzi tendenti * superare il problema, che ha origini emozionali, anche attraverso ** sostegno della moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter) non danno i ****** sperati.
Giorgio VI si sente inadatto al *** ruolo e si isola sempre più in una forma di mutismo, giungendo ******** ad ammirare l’arte oratoria di Hitler, nonostante non sia in condizione di comprendere ** significato dei suoi ********: «Papà» gli chiede la figlia, «cosa sta dicendo?»; e lui: «Non lo so, ma lo dice benissimo». Tuttavia l’amore per il suo popolo spinge Bertie a non arrendersi ancora.
Come ultima risorsa, la moglie Elizabeth lo convince a provare il logopedista e attore dilettante Lionel Logue (Geoffrey Rush). Grazie al rapporto *** questo, apparentemente squinternato falso medico «È vero: non sono ** dottore. E sì: ho recitato un pochino» e le regressioni emozionali alle quali si sottopone, Bertie riacquista fiducia e riesce così a esprimere la potente voce che è dentro sé, come una fede. Infine, l’esigenza di comunicare vince sulle ferite emozionali. Adesso il re ha una voce!
** film che è tutto da vedere, in quanto la trama è esile e sottile, raccontata quasi con un filo di voce calmo e sommesso, forse più adatta alla pièce teatrale per la quale era stata originariamente scritta. Eppure il risultato è talmente raffinato ed elegante che possono mancare le parole.
Ma non preoccupiamoci più di tanto. Nella comunicazione è più importante la voglia di trasmettere il pensiero che la forma.
Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani
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Un film che “ha dato una voce” a tutte le minoranze (in particolare a coloro che soffrono di disturbi della parola) che sfidano ad armi impari i loro competitori in un mondo nel quale l’importante è apparire.
Un film che ha molto da dire e che lo dice con un tono garbato.
Il che non è poco.
Viva il discorso del re. Lunga vita al discorso del re.
Tutti Oscar meritati. Un film da vedere una seconda volta