Il dramma della Shoah e il cinema per non dimenticare

“E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani, né tedeschi, ebbero animo di vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire” (Primo Levi).

Con il genocidio e la creazione dei campi di concentramento e di sterminio, durante la Seconda guerra mondiale, è andata in scena la massima degenerazione del potere, sfrenato e senza limiti, dell’uomo che lo esercita nei confronti dei propri simili.

Se la parola dramma, che ben si adatta al cinema, non può significare e spiegare sufficientemente l’orrore del genocidio di milioni di esseri umani ad opera del regime nazista, ci si chiede, invece, quale ruolo debba giocare il cinema, quando scende a scandagliare il viscido e paludoso territorio di guerre e battaglie nelle quali non si lotta soltanto per l’affermazione di principi, di valori o per la conquista della libertà, ma per l’annientamento e lo sterminio del nemico senza più un volto, un nome e un cognome. Un  nemico che sia semplicemente tale, oggettivamente e genericamente classificato e che, solo per questo, deve essere eliminato.

Quale rappresentazione deve dare il cinema di un folle, profeta di un credo politico, che intende portare un nuovo ordine sociale idoneo a garantire la salvezza dell’umanità e che, per farlo, scatena la sua violenza rigeneratrice contro un nemico – l’ebreo – considerandolo alla stregua di un parassita e di un fastidio nella vita?

Come rappresentare lo sterminio di massa, praticato da un regime che non lotta unicamente per lo spazio vitale ma, addirittura, per l’affermazione della presunta razza migliore? Un regime che massacra nemici disarmati e, dunque, non pericolosi, senza distinguere tra adulti e bambini, maschi e femmine, ricchi e poveri, eliminando con caparbia ostinazione milioni di individui, spezzando i loro sogni, le loro amicizie, i loro amori e che, per fare questo, crea un universo concentrazionario al cui centro pone le fabbriche dello sterminio, ritagliandole sul progetto di squallidi mattatoi.

Analogamente, come può uno scrittore sopravvissuto a questi campi di concentramento, narrare l’inenarrabile, rendere con parole la gravità di quanto visto e patito e sopravvivere ancora ad una vita ordinaria, nella quale gli uomini vivono sicuri in tiepide case, non lottano per un pezzo di pane e non muoiono per un si o per un no?

Se, dunque, non è possibile narrare l’indicibile, raccoglierlo in un solo discorso, in un libro, un trattato, afferrarlo nell’insieme, percepirne l’enormità neanche attraverso innumerevoli e infinite parole, come può il cinema della Shoah, con i tempi e i limiti che lo circoscrivono nel rettangolo bianco in fondo alla sala scura, coglierne l’aberrazione e la mostruosità?

Allora, il cineasta deve inventare un metodo nuovo, deve contestualizzare, stringere il cerchio, deve trovare un punto focale, scendere nel dettaglio, scoprire i particolari come quando, per avere la percezione di quanto sia grande un oggetto posto nel panorama, è necessario interporre qualcosa che permetta il confronto, tra l’obiettivo e lo sfondo.

E come ignorare la necessità per l’animo umano di chiudere la porta alle spalle dell’orrore, di proiettarsi verso cose più liete e nobili, di desiderare nuovamente il sole dopo una notte angosciosa e tormentata?

E’ con questa duplice necessità che si è dovuto confrontare Steven Spielberg, quando cominciò a girare Schindler’s List, sapendo bene che l’impresa era difficile, se non impossibile.

Schindler’s List, per chi non l’avesse visto, narra la storia vera di un industriale tedesco senza scrupoli, Oskar Schindler, che arrivato a Cracovia, cerca di ricavare profitto dalla persecuzione degli ebrei nel ghetto, rilevando una fabbrica di pentole in smalto, usando operai e impiegati destinati a morte sicura e garantendo loro in cambio la sopravvivenza.

Ma lo spregiudicato industriale, pur essendo iscritto al partito nazista, non si fa coinvolgere dal fanatismo cieco e violento e, dopo un percorso di ravvedimento lungo e tormentato, giunge a riscattare la vita di quante più persone sia possibile, finendo sul lastrico.

«Sono state usate al 40 per cento macchine da presa a spalla per raccontare il più possibile gli eventi con un taglio documentaristico, da cinema-verità», ha dichiarato Spielberg «Non credo, infatti, che ci sarà mai un libro o un film o qualsiasi altra forma di espressione in grado di rappresentare il vero orrore dello sterminio nazista. Nel mio film cerco di darne un’idea, voglio convincere la gente che non può voltare le spalle a quello che è accaduto e fingere che esista solo il domani».

Spielberg, con Schindler’s List, ha vinto 7 Premi Oscar nel 1994 : miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior montaggio, miglior scenografia, miglior colonna sonora drammatica.

Il successo di questo film ha permesso a Spielberg di contribuire alla creazione della Survivors of the Shoah Visual History Foundation, organizzazione non profit per la registrazione in video delle testimonianze di molti sopravvissuti alla segregazione nei campi di concentramento.

Di altro taglio, ma confermando la necessità in chiave filmica di circoscrivere in un piccolo spazio ciò che l’animo umano non può percepire dell’immensamente tragico, vale la pena di ricordare un altro piccolo gioiello del cinema della Shoah, Il bambino con il pigiama a righe: la storia dello sterminio di massa attraverso lo sguardo di Bruno, un bambino figlio di un ufficiale tedesco, che stringe amicizia con un coetaneo rinchiuso nel campo di concentramento vicino alla casa dove si trasferisce con il padre, incaricato proprio della direzione del campo.

Nella nuova residenza,  Bruno non ha coetanei con cui giocare e decide di esplorare i dintorni della casa. Scopre, così, che nei pressi del boschetto, dentro un terreno recintato con il filo spinato, vivono alcune persone che indossano uno strano pigiama.

Alle domande di Bruno, i genitori rispondono glissando e sebbene il bambino si convinca che ciò che ha visto è una fattoria, loro gli proibiscono – tuttavia – di avvicinarsi a quel luogo.

Bruno disattende gli ordini e stringe amicizia con Shmuel, un bambino ebreo rinchiuso nel campo insieme alla sua famiglia.

La storia, molto malinconica, è vissuta attraverso lo sguardo semplice dei due bambini che, con prospettive della vita diverse, riescono comunque a trovare un punto di contatto, attraverso il gioco e nonostante il filo spinato.

Il finale, immensamente tragico, lascia senza parole e con la consapevolezza che l’orrore non può essere circostanziato a un popolo o a una razza, né può essere circoscritto in un recinto, un ghetto o una fabbrica dello sterminio, perché – quando giunge – avvolge l’umanità intera, come un manto nero di lutto e di morte che tutti racchiude, vittime e carnefici, unendoli in urlo di infinito dolore.

 

Il meraviglioso tema del film Schindler’s List, composto da John Williams

 

 

Brani del film Il bambino con il pigiama a righe

 

Il finale del film, sconsigliato a chi dovesse ancora vederlo

 

20 Replies to “Il dramma della Shoah e il cinema per non dimenticare”

  1. Trovo Schindler list un ottimo film che ha una base non solo vera ma anche la ricostruzione è verosimile. Non posso dire la stessa cosa dell'altro film: Il bambino con il pigiama a righe dove la voglia di catturare lo spettatore ad ogni costo, di coinvolgerlo per poterlo alla fine rigettare nel più profondo degli orrori decisamente va a scapito del verosimile. Temo che certi film fanno leva più sulle nostre zone d'ombra e con la premessa di informare o di ricordare ci fanno vivere emozioni simili che si prova durante i film horror. La Shoah è già inconcepibile in se, già terribile in se. Aggiungere altro orrore, sminuisce quallo reale. A gran lunga preferisco "Essere senza destino" oppure "Arrivederci ragazzi "(dove non c'è nemmeno una scena crudele)

    1. Per non dire del sopravalutato "capolavoro" di Benigni…
      Lo preferisco nelle letture dantesche
      La vita è bella è un film "furbetto": nella trama, nella recitazione, nei personaggi, nella colonna sonora.
      Avrà avuto anche l'Oscar (per il miglio film straniero) , ma non dimentichiamo che questo premio è andato a mattonate epiche come Taitanic e Il Gladiatore del "Al mio segnale scatenate l'inferno" (doppiatori ignoranti).

    2. Esistono tanti modi per trattare il tema della Shoah. Ogni artista, ogni scrittore, cantante, poeta, studioso – pure me stesso e te, Agi – tenta di circoscrivere, di razionalizzare, di rappresentare a modo suo l'inimmaginabile, il troppo grande, per l'umana comprensione.
      Levi stesso, ma non solo lui, che ha vissuto in un campo di concentramento, ha trasmesso il messaggio concernente la difficoltà, per i sopravvissuti, di metabolizzare gli eventi.
      Tutti i contributi, dunque, sono validi e ben vengano. Perchè, forse, solo dall'insieme ce ne potremo ricavare un'idea.
      Ho scelto questi due film perchè trattavano l'argomento in modo tecnicamente opposto: quasi documentaristico "Shindler's List", romanzato "Il bambino con il pigiama a righe"; un grande campo di concentramento nel primo, una piccola "fattoria" nell'altro; il mondo degli affari e del denaro che confluisce nel "valore di una vita" nell'uno, l'innocenza e la gioia del gioco che culminano nell'orrore nell'altro.
      Trovo interessanti anche altri titoli, come "Train de vie" per la sua impostazione allegorica e "La Rosa Bianca – Sophie Scholl" per il crudo realismo.
      Ricordare è anche parlare, obiettare, offrire un punto di vista diverso, un gusto diverso.
      Non ho visto i due film che tu citi, ma mi piacerebbe molto saperne di più. Potremmo farne un articolo. Perchè non mi scrivi qualcosa sui titoli proposti?
      Grazie, un caro saluto.

      1. Arrivederci ragazzi (1987) è di Louis Malle dal suo libro e raccontra la storia drammatica di ragazzini ebrei nascosti in college cattolici. L'essere senza destino invece è nato dal libro – autobiografico – del premio Nobel di Imre Kertesz e narra la storia di un ragazzino di 14 anni deportato ad Auschwitz. (il film comunque non è all'altezza del libro)
        Una parola ancora per il film di Benigni. Ebbene La vita è bella ha creto danni maggiori ad una corretta veritiera percezione della storia di qualsiasi altra opera al mondo. Il lager del film è senza dubbio Auschwitz, benchè non viene mai nominato in modo chiaro. Benigni lo fa liberare dagli americani…e NESSUNO obietta questo evidente falso storico. Auschwitz è stato liberato dai sovietici ma l'errore di Benigni non è casuale. L'idea del liberatore americano è sempre più radicata nella coscienza colelttiva e ricordare che alla lotta contro Hitler avevno partecipato pure i russi…beh disturba l'iconografia dominante. Probabilmente Benigni non avrebbe manco avuto l'Oscar se la sua ricostruzione storica fosse stata veritiera.
        Giusto per la cronaca: nella seconda guerra mondiale sono morti 300-350 000 americani e 20-25 milioni di russi. Sarebbe opportuno ricordarlo.

        1. Grazie, Agi.
          Il primo punto di svolta della seconda guerra mondiale fu la battaglia di Stalingrado.
          Da lì ebbe inizio la fine, che culminò con la conquista di Berlino e la morte di Hitler.
          Solo per restare nel campo cinematografico, ricordo l’ingresso dell’Armata Rossa a Berlino, nel film “La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”.

          1. Anche sul ruolo dei "liberatori" americani dell'Italia andrebbe fatta chiarezza: dallo sbarco di Salerno (9 settembre 1943) fino alla liberazione (25 aprile 1945) ne son passati mesi nei quali l'italia è stata massacrata sia dai liberatori che dagli occupanti nazisti.
            Non dimentichiamo che Mussolini stava trattando con "i liberatori" americani, non dimentichiamo che nella battaglia di Montecassini i "liberatori" americani mandarano in avanscoperta i goumiers del Generale Juin che massacrano più civili liberati che nemici tedeschi.
            Per non parlare delle imprese dei liberatori americani a Napoli dal 1943 al 1945.
            Basta leggere la Pelle di Malaparte.
            La storia vera non è certo quella dei film di guerra che celebrano le imprese dei soldati a stelle e strisce.

  2. In questi giorni ci ho riflettuto molto…mi sono sforzata di "capire", ma non ce l'ho fatta!E' impossibile riuscire a comprendere il perchè tutto d'un tratto la tua vita finisce…Tutto d'un tratto sei nudo, con un numero addosso, al freddo, senza cibo, senza capelli…Tutto d'un tratto qualcuno ha deciso per te, ha deciso che non devi più esistere, che non devi più sognare, scrivere, cantare, correre…devi solo morire, lentamente però…rinchiuso in un posto lontano, a casa di un nemico che nemmeno pensavi di avere!
    Ma la dignità rimane…fino alla morte.

    1. Bellissime parole, molto toccanti.
      Infatti, non si può capire con la mente razionale. Bisogna andare oltre, oppure cercare soltanto di vigilare.
      Mi hai commosso.

  3. Qualche idiota senza cervello ci vuole convincere che sia stata tutta una bufala. Questi pseudouomini privi d'intilligenza umana, contano sul fatto che i testimoni oculari stanno scomparendo per ragioni di età. Chi ne ha ancora un po', di cervello, non può dimenticare, non deve, né questo né nessun altro genocidio passato e presente.
    <condiviso>

    1. Anch'io ho sentito gente che parla di invenzione…Quale mente infernale può negare l'evidenza?
      Ho ascoltato per radio ieri sera le parole di un sopravvissuto che ai tempi aveva 16 anni.
      Era un discorso libero, senza domande, di una lucidità impressionante…Ho pianto.
      Credo che sia necessario parlarne, scriverne, salvare i vecchi filmati, passarli su tutte le televisioni, documentare…documentare ed ancora documentare. Perchè quando questi testimoni oculari non ci saranno più, toccherà a noi, ai nostri figli ed ai figli dei nostri figli rendere conto della verità, di ciò che è stato!

  4. CI chiedono di parlarne a scuola ed io sono pienamente d'accordo anche se in seconda elementare non vi è una sufficiente rappresentazione del passato..la sensibilizzazione nei confronti dei crimini dell'umanità è un tassello importante.
    Ma avverto un brivido legato alla parziale indifferenza sulla schiavitù in America, la demolizione di molte tribù amazzoniche, la distruzione dei pellerossa e tanti altri terrificanti fatti storici …mi sembra che di esempi ce ne siano purtroppo a bizzeffe…non solo la Shoah.
    Spero non sia una moda anche in parte commerciale…

    1. Cara Annalisa, tocchi un punto fondamentale, che è quello riguardante la trasmissione della memoria. Infatti, coloro che hanno vissuto lo sterminio, direttamente o attraverso le vicende dei propri congiunti, oggi hanno non meno di ottant’anni.
      Si tratta, dunque, di una generazione che scompare per evidenti limiti anagrafici.
      Da cui, la necessità di rendere perpetuo il ricordo alle future generazioni come, del resto, ha tentato di fare Spielberg mediante la creazione dell’archivio video delle testimonianze dei sopravvissuti, oppure Claude Lanzmann con la realizzazione del monumentale docu-film “Shoah”, con la ricostruzione accurata dei luoghi, dei particolari, le testimonianze dirette, perfino dei ferrovieri che conducevano i treni con i deportati.
      Certo, il pedagogista dovrà affrontare l’argomento in modo meno cruento (tu sei un’esperta del settore). Confesso che la prima volta che vidi “Schindler’s List” dovetti uscire dalla sala, dopo la scena nella quale si vede un soldato nazista che spara sul cranio di un bambino che aveva tentato la fuga, mentre questi – dopo essere stato riacciuffato – era sorretto tra le braccia di due soldati.
      All’epoca, ritenni Spielberg troppo cinico e violento. Probabilmente, non ero pronto all’idea che “l’eterno bambino e sognatore” fosse cresciuto e si prendesse le sue responsabilità di rappresentare le cose, per come veramente erano state.
      Ricordo anche che, da bambino, provavo (e adesso me ne vergogno) una certa noia a leggere e rivedere il Diario di Anna Frank. Il punto era che quelle vicende mi apparivano tanto lontane nel tempo. Eppure non lo erano.
      Oggi, sorge la necessità di trovare la forza di trasmettere il messaggio a coloro che domani ci governeranno, ci cureranno, ci pagheranno le pensioni, costruiranno ponti ed autostrade e dovranno intervenire per sedare i conflitti ed estirpare la barbarie dal mondo. Forse, in questo, sarebbe più adatto “Il bambino con il pigiama a righe”.
      La coscienza di questi bimbi, che oggi sono meravigliosi nella loro semplicità e tali dovranno rimanere, ci sarà immensamente utile per impedire pure tutte le altre atrocità, vergogne e malefatte di uomini contro uomini, di uomini contro natura, di uomini contro sé stessi.
      Sui pellerossa, sulla schiavitù e sulle foreste amazzoniche hai perfettamente ragione. Meno Moccia, più foreste. Meno cinepanettoni, più film storici.

    2. credo che il giorno della memoria, vada intesa in senso più ampio…
      ricordare tutti i crimini contro l'umanità che si sono susseguiti nella storia…
      Ricordare perchè non avvengano più (anche se resta una speranza!)

      1. Proprio come dici tu, il ricordo è qualcosa che va oltre…
        I fatti della Shoah sono stati volutamente così folli da avere dell'incredibile, era nelle intenzioni dei nazisti stessi arrivare ad un livello di atrocità tale da poter far passare poi ai posteri la negazione di tutto quanto…Un piano diabolico!!!

    1. I revisionisti negano finanche la veridicità dei filmati girati dagli alleati, durante la liberazione dei campi di stermino.
      Ritengono che si tratti di manipolazioni, di rappresentazioni realizzate come se fossero fiction.
      Ora, mi chiedo: se neanche il filmato girato in quel tempo e in quel luogo (con grandangolo e telecamera fissa), nè il processo di Norimberga, né le testimonianze dei sopravvissuti, né il processo ad Eichmann possono convincere "che questo è stato", chi o cosa lo potrà fare?

  5. Mi chiedo cosa spinga molti (me inclusa) a rivedere più volte un film che racconta gli orrori del nazismo. In questo caso "Schindler's List". Forse per non dimenticare la crudeltà di uomini che hanno massacrato milioni di esseri come loro? E per quale motivo poi, in nome di un' idea di superiorità inculcata da un mostro? O forse perchè, fra tanta disumanità, ho respirato nel vedere un uomo cinico, legato al denaro e alle comodità, ravvedersi, fino al punto di comprare quante più vite possibili con il denaro accumulato?

  6. E' vero,tanti films hanno cercato di rappresentare l'orrore di questo pezzo di storia dell'umanità e molti ne hanno scritto,ma qualsiasi prodotto cinematografico o racconto,è un eufemismo rispetto alla realtà dei fatti.Spielberg è un grande regista e,penso,sia riuscito a rendere un'idea dell'odio,della crudeltà di uomini nei confronti di persone innocenti,basandosi su testimonianze,documenti,ma concentrandosi ,nel film,sulla redenzione di un uomo che, nonostante il suo "cinismo", non ha potuto rimanere insensibile di fronte a tante atrocità.Penso che,nel finale,il film rappresenti la conclusione di un incubo ed un inno alla speranza,anche se solo per pochissimi, rispetto alle milioni di vite perdute,ma che sono comunque Vita.

    1. In aggiunta a quanto giustamente dici, mi piace solamente ricordare un fatto “tecnico” – quello della rappresentazione della speranza – che inizia nel film, nel medesimo momento nel quale comincia anche il ravvedimento di Oskar Schindler. E cioè, la scena della bambina con il cappottino rosso che si salva durante i rastrellamenti, unica scena con una colorazione simbolica, oltre la scena iniziale della candela e quella conclusiva con i sopravvissuti.
      In questo modo, il regista riesce a racchiudere gli orrori dentro il bianco e nero e la speranza nel colore.
      Grazie per il puntuale commento, Antonella.

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