«Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare, come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?».
Era la tematica cartesiana riproposta da Matrix, era l’idea che ci aveva folgorati per prima, anzi era l’innesto di un’idea nella mente dello spettatore, quella cioè di far credere che il mondo dei sogni – poi meglio identificato in quello della realtà virtuale generata dalla matrice – e quello vero, labirintico, angoscioso e claustrofobico, potessero convivere come due realtà parallele, ma anche il tarlo di un dubbio: quello che il mondo che vediamo possa essere ribaltato in quello nel quale i sogni potrebbero essere la realtà e questa, invece, soltanto un sogno.
«Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti».
È da lì, che riparte Inception, con il suo creatore e architetto Christopher Nolan, consapevole che la visione al cinema è l’incipit sul quale progettare e costruire il sogno di un successo planetario.
Così, il film si fonda su un’intuizione: le idee sono nel cervello degli uomini e, una volta che si sono impossessate del cervello, è particolarmente difficile sradicarle da lì. Gli uomini le custodiscono gelosamente ma, durante i sogni, queste idee fluttuano più liberamente. Se qualcuno entrasse nel mondo dei sogni, potrebbe rubarle, perché le difese sono abbassate.
Dom Cobb (Leonardo DiCaprio) è un estrattore di sogni. Il suo lavoro consiste nell’infiltrarsi nei sogni delle vittime predestinate, per carpire i segreti custoditi nella loro mente. Si tratta, per lo più, di segreti industriali, ma immaginiamo che sconquasso potrebbe provocare alle nostre certezze, la possibilità di entrare nei sogni e nei segreti della mente degli altri. Cosa pensa il nostro capufficio, o quella magnifica donna di noi, o come posso carpire la fiducia di quell’individuo e di quali crimini si sarà macchiato, quali sono i suoi vizi nascosti?
C’è di più: se i sogni possono essere rubati, è possibile anche manipolarli? È possibile, cioè, innestare una semplice idea in un sogno, facendo in modo tale che essa possa crescere e diventare un tarlo nella mente di un uomo, portandolo di fatto ad accettarla come un desiderio del suo subconscio?
In parole povere, Cobb viene incaricato da un potente uomo d’affari di innestare, nella mente di un industriale, l’idea che sia meglio per lui frazionare il suo immenso patrimonio aziendale. Per fare questo, Cobb deve lavorare sulla costruzione del sogno. Deve cioè partire dalla piattaforma sulla quale il sogno del malcapitato deve scorrere, deve posizionare gli attori della scena, deve lavorare creando situazioni emozionali che facciano cambiare idea al sognatore, convincendolo di ciò che meglio conviene al suo committente.
A questo punto, puoi fare partire la musica.
È effettivamente difficile descrivere a parole tutto ciò. Ed infatti sarebbe interessante vedere la sceneggiatura di Nolan che, di certo, ha lavorato maggiormente sulla visione che sullo scritto, in quanto il tema è incredibilmente intrecciato e immaginifico. Perché ci sono tempi narrativi e stadi diversi nei quali i sogni scorrono, ma che vengono riproposti in contemporanea allo spettatore, attraverso visioni dilatate e distorte, condite finanche dai famosi paradossi costruttivi di Escher.
Creare i sogni è il mestiere più bello del mondo, sostiene Cobb, perché nei sogni si possono costruire cattedrali, città, situazioni che vivono tempi diversi dal piano reale. È come navigare nella mente delle persone. Il subconscio, poi, può fare tutto ciò anche ad insaputa del sognatore e senza che neanche questi se ne accorga.
Portando a termine questo difficile lavoro, Cobb sarà ricompensato permettendogli di riabbracciare i suoi piccoli figli. Infatti, Cobb è accusato di avere provocato la morte della bellissima moglie Mal (Marion Cotillard), a causa di un innesto non controllato. Per questo motivo è stato allontanato da loro.
Cobb, infatti, conosce già il rischio che ci si possa perdere tra il sogno e la realtà. Che si possa, cioè, non distinguere più cosa sia vero da cosa sia falso. Per essere sicuro di essere sveglio, Cobb ha inventato uno stratagemma: un piccolo oggetto, chiamato totem, una trottola, un testimone muto che gli ricordi e gli faccia distinguere lo stato di sonno da quello di veglia. Ma una regola è fondamentale: quella di non ricreare nei sogni situazioni, ambienti e circostanze nei quali siamo già stati perché, a quel punto, il rischio di confondere tutto è ai massimi livelli e si potrebbe davvero non uscirne più.
Non tutto può essere preordinato in un mondo così articolato e complesso, fatto di una materia delicata e sfaldabile come una nuvola, che necessita d’improvvisazione e capacità d’adattamento ai mutamenti repentini di scena. Se poi il nostro eroe decidesse di tuffarsi ancora più in profondità, per cercare e liberare la sua amata, dal mondo nel quale giace – come Eracle che scende nell’Ade per liberare Alcesti – come potrebbe mai più venirne fuori?
Per uscire dal sogno si devono scalare i vari livelli nei quali si è discesi e, se lo richiede il caso, è necessario sottoporsi al calcio, quel lieve tocco o quel grande senso di vuoto nel quale si cade e che improvvisamente ci porta al risveglio.
Stiamo sognando, ma ad occhi aperti, all’interno di una sala buia, come bambini che vogliono credere a quello che vedono, seppure irreale, inenarrabile e talvolta fuori persino dalle logiche dei paradossi. Ma al cinema, si sa, si firma un contratto. Nel momento in cui la maschera stacca il biglietto, abbiamo accettato di sospendere per tutta la durata del film la nostra percezione della realtà. Ci siamo sottoposti all’esperimento della momentanea sospensione dell’incredulità. Abbiamo accettato di essere portati in mondi immaginari e fantastici, nei quali si perdono le nostre fantasie di bambini: draghi, cavalieri, fanciulle bellissime, trottole, eroi, voli fantastici, situazioni sospese nel tempo e nello spazio.
«Ho un’idea: facciamo che eravamo…». Un’idea è come un virus. Figuriamoci poi se l’idea nasce da un sogno.
Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani
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Caro Massimo, mi dispiace molto. Ma, del resto, anche gli altri potenziali spettatori potrebbero avanzare le stesse tue richieste nei miei confronti.
Comunque, mi sto organizzando e presto sarà in funzione il servizio bus gratuito che raccoglierà tutti i lettori di LM a casa, leggerà la recensione durante il tragitto e farà trovare loro il biglietto alla cassa con il posto riservato.
L’hai detto tu stesso: quando si sogna, lo si deve fare in grande.
O qualcosa di simile. 😉
ieri sera sono andato al cinema per vederlo, ma i posti erano esauriti, così me ne sono tornato mestamente a casa… e va be’, comunque è stata questa recensione ad incuriosirmi.
Tinos, ti addebiterò la benzina ed il costo del parcheggio! 😉