L’estate segna il tempo delle verità cruciali. Tutto ciò che è stato accantonato per fare spazio ad altre faccende durante la stagione invernale, ridiventa urgente.
Così se, ad esempio, durante l’inverno non avevamo potuto aggiustare la chiusura a molla dell’anta di un armadio perché impegnati in un importante progetto di lavoro, nella ricerca di una casa nuova, in estenuanti questioni legali nelle quali era in gioco la nostra stessa esistenza, questa vecchia necessità scala prepotentemente la classifica della lista delle cose da fare e balza ai primi posti.
Se mille volte ci eravamo ripromessi di ordinare l’album delle vecchie foto, ormai ridotto ai minimi termini, adesso non ci sono più scuse. Se, minacciati di mettere ordine nella stanza (pena l’espulsione da casa), eravamo riusciti a farla franca durante la stagione delle piogge, le ferie arrivano assieme all’ultimo avviso. Scaduto il termine legale, le conseguenze dell’omissione saranno inevitabili.
E siccome uomo avvisato, mezzo salvato, meglio salvarsi. Perché, in fondo, intimamente, tutti noi sappiamo che le cose importanti non possono essere rinviate per sempre.
La pulizia, ad esempio. Non solo quella straordinaria della casa, che inizia in primavera, ma anche quella dei file del computer, della casella postale, dei progetti inutili, dei sogni irrealizzabili, delle aspirazioni impossibili, di tutto ciò che attiene ad esigenze della mente e dell’anima, piuttosto che a quelle del corpo e della carne.
Perché il corpo, d’estate, reclama i suoi diritti, che sono quelli di non fare niente, tranne ciò che piace a lui, cominciando dal dormire e mangiare. E anche viaggiare, sì viaggiare, ma evitando le buche più dure, perché a settembre dovremo ripartire, certamente non volare, ma faticare.
Allora, con un rotocalco di gossip in mano ed i piedi in una tinozza, la mente torna alle nostre sconfitte, a quelle aspirazioni, ambizioni, sogni, progetti che – seppure futili – non sono stati soddisfatti: in inverno per la contingente necessità ed in estate per l’improcrastinabile obbligatorietà. Ed adesso, potremmo decidere di abbandonarli per sempre.
Dunque, qual’è il tempo per la realizzazione dei sogni, della vittoria per le nostre battaglie? Ovvero, esiste un tempo adatto, oppure i sogni sono destinati a rimanere tali per sempre? Anche perché il tempo mina inevitabilmente la fortezza del corpo e l’agorà dell’anima. E quella che era la nostra volontà di reagire ai colpi subiti, di rialzarci e combattere, fare fronte alle avversità, sembra venire meno.
Oggi, con il rotocalco in mano ed i piedi nella tinozza d’acqua fresca, ci sentiamo simili ad un pugile all’angolo, tra una pausa e l’altra segnate dal gong.
Non proprio come ci ha insegnato Rocky. L’uomo venuto dal nulla che ha avuto il coraggio di sfidare il campione del mondo dei pesi massimi. Il pugile della strada, senza mezzi, né arte, né parte, come il suo alter ego nella vita reale, Sylvester Stallone, mezzo italiano e mezzo suonato, capace però di coltivare la luce di un sogno chiuso nel buio di un cassetto. L’uomo che, con in mano la sceneggiatura che gli potrebbe cambiare la vita, si ostina a rifiutare i soldi per la cessione dei diritti, pretendendo di essere lui il protagonista nel ruolo della sua creatura.
Rocky, il pugile destinato al sicuro fallimento, alla sconfitta della vita, a rimanere uno dei tanti disadattati, emarginati della periferia di Philadelphia. Il pugile capace di resistere ai colpi demolitori del campione del mondo in carica dei pesi massimi perché, dove il corpo non te lo permette, puoi arrivarci con la mente, con l’orgoglio e la volontà.
Il pugile alla ricerca di nuove sfide, mai domo e mai sazio, nemico della pigrizia e avverso alle mollezze di una vita agiata e tranquilla. Nemico dei cattivi che combattono con il gusto di distruggere gli avversari. Amico, invece, e fedele servitore di valori semplici e ruspanti, mai dimenticati, perché nella strada ci nasci, ma ricordati che puoi sempre ritornarci senza che tu lo voglia o che te ne accorga: in un lampo.
Rocky, l’uomo, il combattente che impersona la voglia di riscatto dei molti, dei tanti, dei troppi che cadono e non hanno la forza di rialzarsi di fronte alle sconfitte. Un mito, un esempio, una statua, più volte rimossa e sempre ricollocata, ai piedi della scalinata del Philadelphia Museum of Art, luogo simbolo dell’inizio della riscossa.
A nulla valga il numero e la quantità dei nostri nemici: non dobbiamo temere null’altro che noi stessi. Perché se i pugni sono forti, più determinata deve essere la nostra capacità di resistere. E, se cadiamo al tappeto, dobbiamo trovare la forza di rialzarci. Non siamo stati noi a colpire per primi e non importa quanti colpi abbiamo ricevuto. Importa soltanto il traguardo, il trofeo, accompagnato dall’urlo della vittoria nel quale sfogare il nostro: «Adriana, ce l’ho fatta!».
Clicca sulle singole frasi per vedere i filmati:
Come affrontare le battaglie della vita:
Il mondo è un postaccio misero e sporco
e ti vorrebbe spiezzare in due.
Se finisci al tappeto, trova la forza di rialzarti.
Dunque, sii vigilante: non bere e non fumare.
E, se hai tempo, ricordati di praticare lo sport.
A proposito, sai quanto è alta la tua stella preferita?
Sì
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