“Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti” (Isaia 53,5).
La passione di Cristo è il terzo film da regista di Mel Gibson, il quale – da convinto credente – mette all’opera le sue capacità artistiche ed il suo talento per ricreare, in forma di immagini e suoni, gli ultimi momenti cruciali della vita di Gesù – interpretato da Jim Caviezel – dall’arresto nell’orto di Getsemani sino alla crocifissione.
Il film, com’è noto, è stato accusato fin dalla sua prima uscita di essere eccessivamente violento. Ciononostante è un film nel quale, milioni di credenti, hanno potuto direttamente riscontrare l’aderenza a quanto scritto nei Vangeli, sulla sofferenza e la morte di Cristo.
La crocifissione era una morte violenta che avveniva per il soffocamento causato dalla compressione del costato, dopo atroci sofferenze; era una pena terribile, alla quale il condannato giungeva dopo avere subito una flagellazione.
Per i cristiani la crocifissione rappresenta un momento di cesura tra la vecchia vita contrassegnata dal peccato originale, che risiede nell’animo di ogni uomo e la nuova vita, che è stata riscattata attraverso le sofferenze e la morte di Gesù Cristo, figlio di Dio.
Credere è un atto della fede e il film di Mel Gibson non si propone di operare conversioni, né di fare opera di proselitismo al cristianesimo. Detto questo, dunque, il contesto di presunta violenza del quale il film è accusato, deve essere valutato alla luce del significato attribuito a quelle ferite, quelle frustate, quelle umiliazioni e quella morte in chiave spirituale.
E se la scena violenta della morte di William Wallace in Braveheart, al grido di “Libertà!” non può essere considerata fine a se stessa, chi – vedendo Apocalypto – dovese pensare che il selvaggio abitante della giungla sia crudele nell’attirare in una trappola un animale selvatico, trapassandolo da parte a parte con bastoni acuminati, strappandogli le viscere e gli organi per mangiarli, si dovrà ricredere quando vedrà cosa succede al cacciatore selvaggio quando diviene egli stesso la preda.
Cosa è dunque violento: un film che mostra le vere ferite che soldati sobillati da uomini “religiosi” infliggono a Gesù, oppure lo è maggiormente l’immagine del cuore di un animale appena ucciso da un selvaggio nella giungla, che pulsa ancora? “Sono Zampa di giaguaro. Sono un cacciatore e caccio in questa foresta dove cacciava mio padre e dove cacceranno i miei figli quando sarò morto”, dirà il cacciatore selvaggio, che non conosce il cerimoniale dei pranzi di gala e che non si lava le mani in un catino dopo un lungo viaggio.
Ma, forse, ci impressiona maggiormente la morte violenta inflitta con l’ascia ad un cavaliere che lotta per la libertà del suo popolo dalla tirannia? Quel sir William Wallace che, a seguito di un amore intenso e tragicamente interrotto nel nome di un’ingiusta legge sul diritto della prima notte di matrimonio – sullo sfondo della Scozia del XIII secolo occupata dagli inglesi di Edoardo I – si mette a capo dei ribelli, consegue importanti vittorie e regala momenti di gloria ai disperati scozzesi ma, tradito e abbandonato, viene preso e giustiziato, non prima di essere evirato e torturato. E’, dunque, giusto o no mettere in scena la morte violenta di quest’uomo che lotta per la libertà, la cui vita è spezzata da gente il cui cuore si trova ancora nel petto, ma non pulsa da anni?
E’ sulla scia di queste considerazioni che si è mosso Mel Gibson quando ha realizzato il film sulla Passione di Cristo, consapevole che l’artista non fa altro che ricreare sempre ciò che già esiste, mettendolo sotto una luce diversa, fornendo un angolo di visuale diverso, spesso più profondo e più ampio di quello che può essere percepito dallo sguardo comune.
Queste sono anche alcune delle tesi espresse da Giovanni Paolo II nella “Lettera agli artisti” del 4 aprile 1999, destinata al mondo nella creazione artistica: «Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l’opera del vostro estro, avvertendovi quasi l’eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi».
Si racconta, infatti, che Mel Gibson, durante il periodo di lavorazione del film nei pressi di Matera, si recasse ogni sera a Miglionico, in una chiesa nella quale si trova un’importante opera d’arte raffigurante Cristo in croce. Il regista arrivava in taxi a tarda sera e alle sette del mattino andava via. Restava chiuso in chiesa a pregare in aramaico e greco, seduto su un tappeto, cercando una comunione spirituale con il Creatore dei creatori o, quantomeno, la più profonda delle ispirazioni artistiche. A questi livelli, il cinema è passione. Per avere la visione serve l’ispirazione.
Il trailer del film: watch?v=rd-GXzReZuc
La scena della resurrezione: watch?v=qKSe9PE002o
La colonna sonora di John Debney: watch?v=52VE2MZn_0A
Zampa di giaguaro: watch?v=QEGx-9Q9Kpc
Il prezzo della libertà: watch?v=Ntpu6zLWvRo
Ora battetevi per me: watch?v=LFHE-L0HJ9E
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