Lontano da qui: la disillusione di una vita migliore

 

di Francesco Grano

 

Lontano da qui

 

Lisa Spinelli (Maggie Gyllenhaal) è una maestra d’asilo quarantenne delusa dal rapporto con i due figli adolescenti, entrambi perennemente immersi nel loro mondo. Oltre al lavoro, il suo unico svago è la frequentazione di un corso di poesia. Nonostante Lisa non eccella nella propria passione, sia il marito sia i figli notano il cambiamento della donna la quale, lentamente, diventa più sensibile a ciò che la circonda. Difatti, alla fine di una giornata di lavoro, Lisa nota che Jimmy, uno dei bambini dell’asilo, recita una poesia da lui composta. Scoperto il talento del piccolo, Lisa cerca in tutti i modi di spronarlo e, al tempo stesso, prendersi cura di lui, essendo trascurato dal padre imprenditore. Ben presto, però, Lisa viene sopraffatta da tutto ciò, rischiando così di compromettere la propria professione.

Remake dell’omonimo film israeliano di Nadav Lapid e opera seconda della regista e scrittrice italoamericana Sara Colangelo, Lontano da qui (The Kindergarten Teacher, 2018) è, senza eccessivi giri di parole, un puro dramma esistenziale. Nel raccontare le vicende quotidiane della maestra d’asilo Lisa (alla quale presta volto e corpo la brava Maggie Gyllenhaal, sorella di Jake), la Colangelo procede per addizione, componendo un quadro d’insiememaestra e bambino intimista, familiare e psicologico di una donna che, arrivata alla soglia degli “anta” e resasi conto di non aver realizzato niente di davvero importante, cerca con caparbietà e anche una buona dose di disperazione un punto di fuga dalla stretta e scomoda realtà in cui è relegata.

Non è un caso, quindi, che l’unica passione di Lisa sia la poesia, forma d’arte che aiuta ad ampliare la percezione del reale e, con essa, la sensibilità umana che – tuttavia – viene a scontrarsi con la creazione di illusioni plasmate da parole e versi. Infatti, mediante la frequentazione del corso di poesia, la protagonista di Lontano da qui riesce a ritagliare il suo pezzetto di mondo, lontano dalle frustrazioni e – perché no? – dalla repressione di non essere riuscita a realizzare le proprie aspirazioni. Eppure, il caso fortuito dell’incontro di anime – lei e il bambino prodigio Jimmy – concede alla donna la possibilità di una svolta nella propria, piatta vita fatta di monotonia, mancanza di dialogo con il figlio e la figlia (il primo che ha deciso di non proseguire gli studi per arruolarsi nel Corpo dei Marines, la seconda che ha abbandonato la passione per la fotografia rimpiazzandola con Instagram) e un tiepido legame coniugale. Lisa e Jimmy diventano, di pari passo, l’una mentore dell’altro, in un crescendo di legame che sfocia in quello tra una madre putativa e un “figlio” in cerca delle giuste attenzioni per esprimere la sua vena artistica e creativa.

Ma come tutti i sogni ad occhi aperti anche Lontano da qui non fa sconti a nessuno e, dopo non molto, mette in scena il lento decadimento delle illusioni, delle speranze di fuga dalla soffocante quotidianità che si trasmuta nella corruzione di Lisa, sempre più alimentata dalle poesie partorite dalla mente di Jimmy, che la spingono fino al punto di non ritorno in cui menzogna e attuale si confondono. Quella inscenata in Lontano da qui è la disillusione di una vita migliore, priva del grigiore della ripetitività e del germe del rammarico che si scontra, inevitabilmente, con la dura certezza che nel mondo di oggi esiste tanta bellezza ma, il vero, arduo problema è saperla vedere e cogliere nel momento giusto, in modo tale da non farla soccombere sotto il peso dei personali fantasmi interiori. Diretto con un touch semplice e privo di orpelli stilistici (d’altronde, si tratta pur sempre di un lungometraggio “figlio” del Sundance Film Festival, ergo provvisto di un “linguaggio filmico” facile e privo di appesantimenti), Lontano da qui è un’amara presa di coscienza sul crollo dei sogni, su quelle illusioni che aiutano a carburare giorno dopo giorno, so(spingendo) chiunque verso la ricerca di un domani migliore al quale, purtroppo, a volte non è possibile dare forma alcuna.

 

Gamy Moore
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