di Elena Bibolotti
Donatella Berzaghi, oggi, si sarebbe potuta salvare.
Suo padre Amanzio avrebbe fatto installare telecamere sul balcone e all’ingresso di casa e nessuno l’avrebbe rapita per abbandonarla, alla periferia di Lodi, bruciata viva e riconoscibile solo dal piede smaltato di rosa brillante e troppo grande per una donna.
Ma Donatella Berzaghi è stata rapita negli anni settanta quando nessuna tecnologia e nessun cellulare potevano tracciare i suoi spostamenti, non c’era nessun social network da cui scomparire e su cui lasciare una traccia.
Di quegli anni e di quella Milano, scritti da Giorgio Scerbanenco nel 1969 e filmati in modo quasi documentaristico da Duccio Tessari un anno dopo, rimangono lo Stadio San Siro, la discrezione e la laboriosità dei suoi abitanti, la prostituzione e i vecchi tram di legno, su cui scorrono, su musica di Gianni Ferrio, i titoli di testa.
Tra poche auto, gente frettolosa, insegne di negozi che non esistono più, la carrellata si conclude su Raf Vallone che zoppicando leggermente, fedele in tutto alla descrizione del suo autore, si reca al Commissariato dove, abbassando di tanto in tanto la voce racconta il suo dramma a Frank Wolff, il Duca Lamberti, protagonista umano fino all’inverosimile di molti romanzi di Scerbanenco.
Ciò che determina l’importanza del film, come nota Mereghetti, è l’atmosfera e la costruzione dei personaggi perché lo stile in sé è essenziale e scarno, la trama, sottile.
Donatella è scomparsa e finché scompare una ragazza maggiorenne, non si può fare altro che diffondere la foto segnaletica e sperare che un poliziotto, incontrandola, sia così bravo da ricordarsi di lei, ma si tratta di una minorata mentale, alta due metri, bella e per di più ammalata di una malattia “che fa proprio vergognare” allora la situazione è diversa. Perché Donatella è ninfomane, ed è così pericolosa per se stessa, che il Berzaghi ha messo cancellate alle finestre e lucchetti a tutte le porte.
Un giorno, all’ora stabilita, Berzaghi chiama casa da un vecchio “rotellone” grigio scuro del suo ufficio ma la figlia non risponde.
Nulla in casa è stato forzato e non ci sono segni di lotta.
A sentire l’ex camionista parlare della “sua bambina” Lamberti decide di prendere in mano il caso. L’indagine, condotta assieme al suo vice Mascaranti (Gabriele Tinti), e su cui Tessari si sofferma a lungo al contrario di Scerbanenco, inizia dalle case d’appuntamento della città.
Accompagnato da un piccolo “pappa” locale, il Commissario trova subito una buona pista. Una prostituta di colore – che Lamberti toglierà dalla strada – ha sentito parlare di Donatella da un piccolo industriale della plastica con una grande voglia sul collo e che va in cerca solo di donne che abbiano particolarità fisiche o menomazioni originali.
Il ritrovamento del corpo carbonizzato di Donatella segna una svolta per le indagini e per la vita stessa del Berzaghi.
Nella sua casa a ringhiera, Vallone inizia, con i suoi tratti duri, la mascella larga e lo sguardo fermo a mettere via ogni oggetto appartenuto a Donatella. Seguito dallo sguardo pietoso di Lamberti, farà l’alba compiendo quei gesti con meticolosità e attenzione come per paura di sciupare qualcosa, come se ogni oggetto appartenuto a sua figlia fosse parte del suo corpo stesso e che, pezzo dopo pezzo, si leverà di dosso per lasciarlo in strada, ai netturbini.
“Se anche prenderete quegli assassini tra mille anni, Commissario, io camperò mille anni ancora” così Berzaghi rassicura Lamberti.
Scerbanenco liquida lo scioglimento del dramma dando a una lettera anonima il compito di svelare i nomi degli assassini mentre Tessari, assieme a Artur Brauner e Biagio Proietti decidono che sarà il Berzaghi stesso a trovarli tra i soli che potevano sapere: i suoi amici.
È un uomo tutto casa e bottega, un gran lavoratore, solo, si concede di tanto in tanto un grappino, al bar sotto casa, dove Massimo, un giovane che conosce da anni, raccoglie le sue confidenze e le sue preoccupazioni.
Sulla musica di Ferrio che magistralmente segna il pathos della scena, si compirà la mattanza della gang improvvisata. La scena cult, che ci restituisce l’orrore di certe perversioni, arriva sui titoli di coda, quando dopo uno svolgimento tenuto su toni quieti, Berzaghi troverà la sua vendetta, ma solo perché è sabato: l’avesse scoperto di lunedì, non avrebbe potuto farlo. Questo sfogo catartico, in realtà, serve solo a placare la naturale sete di vendetta, ma lascerà il povero Berzaghi – e forse anche chi lo osserva – smarrito e privo di forze.
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La morte risale a ieri sera, Italia-Germania Ovest, 1970, regia di Duccio Tessari
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