Ci sono case nelle quali entri e vedi pareti che noi umani non avremmo mai potuto immaginare, mobili d’autore in esposizione in fondo ai saloni a tre vani e la luce dei faretti balenare nel buio di lunghi corridoi, vicino le porte d’ingresso. Però non potrai mai avvertire la mano di chi vive in quella casa e, se cercassi le impronte digitali sul mobile d’autore, troveresti quelle del vero creatore, perché quella è – di fatto – la casa di qualcun altro: è la casa dell’uomo ombra, l’architetto che l’ha progettata e creata a sua immagine, gusto e misura, senza che i legittimi proprietari ne siano stati coinvolti più di tanto. E ci sono case, stanze, mobili, vestiti e talvolta disordine (creativo) che rispecchiano invece i gusti del vero padrone di casa e che, inevitabilmente, ne lasciano trasparire la sua immagine e la sua personalità.
Parimenti, in politica vi sono pensieri, vestiti e slogan che appartengono ad altri, creatori d’idee e pirati delle emozioni (con e senza bandana), che vogliono rappresentare movimenti ed ideali, testati e diffusi – quindi sicuri – che non appartengono a chi si candida. E ci sono, invece, slogan e idee che sono trasmesse esattamente da coloro che li hanno partoriti, perché rappresentano la loro battaglia politica da sempre.
«Mi chiamo Harvey Milk e voglio reclutarvi tutti», ama dire il protagonista di Milk (film diretto da Gus Van Sant e basato su una storia vera), interpretato da Sean Penn.
In pratica è lo slogan che sta intorno al progetto, piuttosto che il contrario:
«Serve avere uno dei nostri dove si decide».
«Harvey non puoi avere il consenso in quattro e quattr’otto».
«Perché no?».
«Più ci fai uscire allo scoperto e più ce li metti contro. Harvey, fai un passo indietro. Abbassa la voce».
«Mi stai suggerendo di tornare nel buio? E’ questo che stai dicendo? Nel buio ci sono vissuto anni e non ci tengo a ricordarmeli. Sai che ti dico? Non mi serve l’appoggio della tua rivista e non cerco il consenso. Non sono un candidato, sono parte di un movimento. Il movimento è il candidato. C’è una differenza: tu non la vedi, ma io sì».
Harvey Milk lotta per quello in cui crede, perché è un attivista gay, nonostante così faccia di se stesso un bersaglio per chi è insicuro, spaventato, con le sue fobie, disturbato mentalmente, che vive nel pregiudizio.
Per iniziare la sua battaglia politica parte da Castro, un quartiere di San Francisco nel quale si trasferisce con il suo compagno. Castro diviene in quegli anni una meta obbligata: centinaia di gay arrivano ogni settimana da tutto il mondo, impossessandosi del quartiere mentre la polizia li odia, li pesta per puro divertimento.
«In questa città devi dare alla gente un motivo d’ottimismo, sennò hai chiuso. Se agli omosessuali vengono riconosciuti dei diritti civili, allora anche ai ladri, alle prostitute o a chiunque altro deve essere fatto».
Perché la cecità consiste nel vedere negli altri l’aspetto esteriore, prima di quello umano: fai quindi sei, quindi appartieni (ad una categoria) e devi essere inquadrato, contestualizzato. Gli avversari politici, non comprendono la potenza del messaggio di Milk. Loro non si preoccupano delle mense scolastiche e degli anziani, del controllo delle armi, di ottenere più fondi per i servizi sociali. Si preoccupano maggiormente di normalizzare, di dare sicurezza. E la sicurezza è l’omogeneità, l’inquadramento, l’appiattimento in ordini e categorie. Altro che liberalizzazione e globalizzazione! Altro che liberi scambi, altro che contaminazione d’idee, importazione ed esportazione, arricchimento culturale! Queste cose devono essere lasciate al commercio ed al denaro. Per gli uomini è più sicura la vecchia regola del controllo: il monopolio delle idee, della cultura, della preservazione della razza e della religione, di tutto ciò – insomma – che si conosce già e dunque non fa paura.
Ciononostante, il consenso di Milk cresce nel tempo: al quarto tentativo è eletto consigliere comunale, divenendo – nel 1977 – il primo omosessuale, esplicitamente dichiarato tale, ad essere eletto ad una carica politica negli Stati Uniti.
Ma i grandi successi di uomini – tali senza categorie – che hanno avuto il coraggio di lottare per un ideale, ad armi pari e senza raccomandazioni, rispettando le regole della convivenza civile possono essere accompagnati da un astio proporzionale ed inverso che li può abbattere come ira funesta. La vita di Milk termina, così, con una parabola tragica e discendente che lo conduce alla morte per assassinio, assieme al sindaco di San Francisco, George Moscone.
Sulla scia di Milk, nel 2009 è uscita in Italia una deliziosa commedia sul mondo dell’omosessualità ed i risvolti in politica: Diverso da chi?, diretto da Umberto Carteni.
Piero (Luca Argentero) è un trentacinquenne gay che vive una vita di coppia stabile in una città del nord-est con Remo (Filippo Nigro), dividendosi tra casa e politica. Per spirito di servizio, Piero decide di candidarsi alle primarie per l’elezione del sindaco, tra le file del centrosinistra.
Sa già che non potrà vincere: i colleghi della coalizione cercano qualcuno che – per perdere – non chieda niente in cambio. In pratica gli occorre un fesso. Lui, invece, pensa che questa esperienza possa portare una qualche visibilità ai diritti degli omosessuali. Di vincere non si parla. Piero sa benissimo che i politici hanno il culo imbullonato alle poltrone, soprattutto il sindaco di destra, nonché ricandidato, Galeazzo (Francesco Pannofino) che inaugura ogni tot giorni un nuovo pezzo di muro (non meglio definito) che serve a dare sicurezza alla città.
La (mala) sorte riservata al candidato di punta del centrosinistra, che muore per infarto fulminante, porta il giovane e brillante Piero a candidarsi effettivamente per la carica di sindaco anche perché, nel frattempo, la sua candidatura alle primarie ha prodotto buoni risultati e un ritorno in termini di preferenze alla coalizione di appartenenza.
I capoccioni, però, pensano che da solo non possa sconfiggere il forte e favorito Galeazzo. Da qui l’idea di affiancargli Adele per la carica di vicesindaco. Lei, Adele (Claudia Gerini), è considerata un’estremista di centro: una donna tutta d’un pezzo, rigorosamente vestita in tailleur, che conduce una casta vita da single a causa dell’abbandono dal marito.
La campagna elettorale parte tra mille incomprensioni: Adele vorrebbe che si parlasse delle famiglie, Piero dei diritti degli omosessuali. Lei sostiene che siano le famiglie ad essere discriminate ed è contro il divorzio, lui a favore. Intervengono i capi: la strategia si stabilirà attorno al programma. Detto fatto: ecco due programmi differenti di trecento pagine cadauno. Uno sulla città per le famiglie e l’altro sulla città delle differenze. Allora si dovranno mescolare le strategie. Si decide di fare un solo programma tratto dai due: in pratica, centocinquanta pagine per programma. Ma non si approda ad alcuna soluzione e l’avversario Galeazzo, intanto, si rafforza.
Lui incolpa Adele che crede sia bigotta, repressa e forse un po’ lesbica. Intanto, Galeazzo alimenta segretamente una campagna di omofobia, dichiarando ufficialmente di dissociarsi.
E’ Remo, il compagno di Piero, a suggerire l’esatto modo per approcciare Adele e comporre la rivalità interna alla coalizione, suggerendo al compagno di manifestare comprensione e adulazione nei confronti di quella donna.
Per familiarizzare un poco, Adele e Piero vanno a fare shopping assieme e sono scambiati per marito e moglie. In seguito, decidono di scambiarsi i ruoli negli impegni elettorali: Adele andrà alle fiaccolate di solidarietà contro le aggressioni ai gay e Piero andrà a parlare dei problemi degli asili con le famiglie. Così nasce la coppia perfetta in politica.
Ma ci sarà anche un risvolto sentimentale che, seppure immaginabile, verrà stravolto e ribaltato ancora con garbo, gusto e bon ton, in un crescendo armonico di battute e situazioni imbarazzanti o forse no. Perché se uno è gay non è detto che l’altra lo sia e le carte possono essere scompigliate in politica, come pure nell’amore. Ciò che tecnicamente è impossibile non è detto che non accada. Ma non è importante veramente che accada, come accada e come si risolva. L’importante è trattare il tema in modo originale, inconsueto e diverso.
Alla constatazione di Adele che Piero sia diverso, questi ribatte dicendo: ma diverso da chi?
Dagli altri film, perché diverso dall’imperante ordinarietà.
Alcuni pezzi di musica soul degli anni Sessanta e Settanta inseriti nella colonna sonora del film Diverso da chi?
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