Milk e altre storie, donne e uomini senza se e senza ma

Harvey Milk lotta per quello in cui crede, perché è un attivista gay, nonostante così faccia di se stesso un bersaglio per chi è insicuro, spaventato, disturbato mentalmente, che vive con le sue fobie nel pregiudizio.

Per iniziare la sua battaglia politica parte da Castro, un quartiere di San Francisco nel quale si trasferisce con il suo compagno. Castro diviene in quegli anni una meta obbligata: centinaia di gay arrivano ogni settimana da tutto il mondo, impossessandosi del quartiere mentre la polizia li odia, li pesta per puro divertimento.

«In questa città devi dare alla gente un motivo d’ottimismo, sennò hai chiuso. Se agli omosessuali vengono riconosciuti dei diritti civili, allora anche ai ladri, alle prostitute o a chiunque altro deve essere fatto».

Perché la cecità consiste nel vedere negli altri l’aspetto esteriore, prima di quello umano: fai quindi sei, quindi appartieni (ad una categoria) e devi essere inquadrato, contestualizzato. Gli avversari politici, non comprendono la potenza del messaggio di Milk. Loro non si preoccupano delle mense scolastiche e degli anziani, del controllo delle armi, di ottenere più fondi per i servizi sociali. Si preoccupano maggiormente di normalizzare, di dare sicurezza. E la sicurezza è l’omogeneità, l’inquadramento, l’appiattimento in ordini e categorie. Altro che liberalizzazione e globalizzazione! Altro che liberi scambi, altro che contaminazione d’idee, importazione ed esportazione, arricchimento culturale! Queste cose devono essere lasciate al commercio ed al denaro. Per gli uomini è più sicura la vecchia regola del controllo: il monopolio delle idee, della cultura, della preservazione della razza e della religione, di tutto ciò – insomma – che si conosce già e dunque non fa paura.

«Mi chiamo Harvey Milk e voglio reclutarvi tutti», ama dire il protagonista di Milk (film diretto da Gus Van Sant e basato su una storia vera), interpretato da Sean Penn.


Piero (Luca Argentero) è un trentacinquenne gay che vive una vita di coppia stabile in una città del nord-est con Remo (Filippo Nigro), dividendosi tra casa e politica. Per spirito di servizio, Piero decide di candidarsi alle primarie per l’elezione del sindaco, tra le file del centrosinistra.

Sa già che non potrà vincere: i colleghi della coalizione cercano qualcuno che – per perdere – non chieda niente in cambio. In pratica gli occorre un fesso. Lui, invece, pensa che questa esperienza possa portare una qualche visibilità ai diritti degli omosessuali. Di vincere non si parla. Piero sa benissimo che i politici hanno il culo imbullonato alle poltrone, soprattutto il sindaco di destra, nonché ricandidato, Galeazzo (Francesco Pannofino) che inaugura ogni tot giorni un nuovo pezzo di muro (non meglio definito) che serve a dare sicurezza alla città.

I capoccioni, però, pensano che da solo non possa sconfiggere il forte e favorito Galeazzo. Da qui l’idea di affiancargli Adele per la carica di vicesindaco. Lei, Adele (Claudia Gerini), è considerata un’estremista di centro: una donna tutta d’un pezzo, rigorosamente vestita in tailleur, che conduce una casta vita da single a causa dell’abbandono dal marito.

Alla constatazione di Adele che Piero sia diverso, questi ribatte dicendo: ma Diverso da chi?, di Umberto Carteni.


Nic (Annette Bening) è un medico ginecologo e ama Jules (Julianne Moore) che, invece, non ha un lavoro. Tecnicamente Nic e Jules convivono ma il loro è un matrimonio a tutti gli effetti con tanto di figli e divisione di compiti, in una storia che riguarda soprattutto le capacità di noi genitori di saperci adattare sempre ai nostri ruoli.

I due figli tecnicamente sono fratellastri tra loro, ma nella realtà appartengono a madri diverse: Joni (Mia Wasikowska) è figlia di Nic e Laser (Josh Hutcherson) è figlio di Jules. Ma Joni e Laser hanno lo stesso padre. La faccenda si complica?

Sì, perché Nic e Jules vivono il loro rapporto di coppia omosessuale condividendo tutto. Tanto tempo fa, ad esempio, hanno condiviso anche un seme. No, non di pianta, di uomo. «Trattavasi di donatore ominico» direbbe Catarella, il centralinista del commissario Montalbano.

Ma che bisogno c’era? Non si sa, ma così capitò, sennò il film non sarebbe mai nato proprio come i due ragazzi.

I ragazzi stanno bene, di Lisa Cholodenko.

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