di Elisa Scaringi
Dopo i due film di Oliver Stone dedicati a Wall Street (il primo del 1987 e il sequel del 2010) Martin Scorsese torna sullo stesso luogo per raccontare la verità di Jordan Belfort, alla cui autobiografia si ispira “The Wolf of Wall Street”, da poco uscito nelle sale italiane.
Nato nel Bronx nel 1962 da due commercialisti, Jordan Belfort (interpretato da Leonardo di DiCaprio), iniziò la sua carriera di broker il 19 ottobre 1987 presso la banca americana L.F. Rothschild. Dopo pochissimi anni fondò la società di brokeraggio Stratton Oakmont, che, grazie alla vendita di azioni fraudolente penny stock, assunse mille agenti di borsa, raggiungendo oltre un miliardo di dollari di fatturazione.
Martin Scorsese, diversamente da quanto fatto da Oliver Stone nei suoi due film, punta la macchina da presa sugli eccessi (sesso, droga e donne) della vita di un uomo patologicamente legato al denaro, che nemmeno di fronte alla galera smette di essere avido. La pellicola, eccessivamente attenta a seguire una realtà totalmente fuori dagli schemi e assolutamente priva di qualsiasi moralità, sembra perdere di vista le conseguenze che tali eccessi hanno sull’esistenza del protagonista, che ha trascorso 22 mesi in una prigione federale (dopo aver collaborato con l’FBI), è stato condannato a pagare circa 110 milioni di dollari e ha dovuto rimborsare 1513 vittime, per un totale di 11 milioni di dollari.
L’intento del regista non è, dunque, quello di raccontare la parabola di una vita che, dopo la ricchezza sfrenata, è tornata con i piedi per terra, ma la malattia di un uomo, e di tutto un sistema, che, grazie al denaro, pensa di poter acquistare qualsiasi cosa; che, grazie alle droghe, pensa di poter non essere triste; che, grazie al sesso, pensa di poter conquistare l’amore delle donne. In fondo, la contrapposizione tra il protagonista del film e l’agente dell’FBI vuole essere non solo il divario tra frode e legge, ma anche la totale lontananza tra una vita sfrenata ed una vita normale, tra l’esistenza di gente sempre in estasi e l’umanità di persone che prendono la metropolitana, tra la gioiosa psicosi e la triste normalità.
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