La storia è quella di una giovane dolce e pura, intrappolata nel corpo di un cigno bianco da un mago al quale aveva rifiutato l’amore. Odette – questo è il suo nome – potrà tornare nel suo corpo di ragazza soltanto quando un uomo la sceglierà tra tante per dichiararle il suo amore e la sua fedeltà.
L’uomo che la incontra – il principe Siegfried – rimane incantato ascoltando la sua storia ma, prima che le dichiari il suo amore, la figlia invidiosa del mago, in forma di gemella negativa di Odette nelle sembianze del cigno nero, lo inganna e lo seduce con la sua danza sensuale.
Turbato e sconfitto dalla battaglia d’amore, il cigno bianco si getta da un dirupo, uccidendosi e riconquistando la libertà. Si tratta de Il lago dei cigni.
Dimenticate la battagliera regina Amidala di Guerre Stellari, perché Natalie Portman stavolta interpreta il ruolo di Nina, una delicata e ingenua ballerina che sta per essere scelta dal principe e direttore della compagnia del teatro, Thomas Leroy (Vincent Cassel) per interpretare il doppio ruolo del cigno bianco e del cigno nero, nella stagione che sta per avere inizio.
Però c’è un prezzo da pagare perché la tecnica, nella quale Nina eccelle, potrebbe non bastare: «Quando ti guardo vedo solo il cigno bianco. Sì, sei bellissima, piena di paure, delicata e fragile: la ballerina ideale. Ma il cigno nero?».
Nina non si è mai lasciata andare alle emozioni, esercita un controllo estremo sul suo corpo e – quando non ci pensa lei – interviene la protettiva madre. Di fatto, Nina non ha mai conosciuto la parte nascosta di sé.
È un percorso di guerra duro e spietato, quello nel quale viene scaraventata Nina, che in poco tempo diventa il centro d’attrazione e d’invidia per molte colleghe. Tra queste, la sensuale Lilly (Mila Kunis) che, in modo ambiguo, le offre il conforto e il guanto della sfida competitiva a fasi alterne. Ma Nina non è solo un punto d’arrivo: «Tutte vorrebbero essere qui al tuo posto»; Nina è anche la parte terminale e il bersaglio della maniacale e ossessiva ricerca della perfezione del direttore artistico Thomas, il quale la invita esplicitamente a esplorare il proprio corpo, per conoscere la sensualità ed esprimerla al meglio nel ruolo del cigno nero.
Qualcosa comincia a cambiare nel mondo di Nina. In un crescendo di nuove emozioni e turbamenti appaiono anche nuove visioni: tra horror e mistero la realtà si sovrappone alla psicosi per un debutto che forse non vedrà mai la luce.
La ricerca ossessiva della perfezione passa dal sentiero scosceso che costeggia la roccia e un piede in fallo può portare a una rovinosa caduta. Per molti artisti la caduta rappresenta un passaggio obbligato, l’ascensore per l’inferno ma, una volta discesi, non è detto che si possa ancora pigiare il tasto della risalita, perché rientrare in sé non sempre è possibile. Ne è consapevole Darren Aronofsky, regista di Black swan (Il cigno nero) che, pur non riuscendo perfettamente nell’intento, scava nel personaggio di Nina e del suo doppio, offrendoci l’immagine specchiata e ribaltata, negativa di lei, contro la quale si scaglia il cigno bianco.
Messo al confine, il cigno nero tenterà ancora di prendere il sopravvento e l’artista ballerina – ma il discorso è funzionale per qualsiasi forma d’arte – potrebbe optare per la maledizione, per la perdizione totale, per la via senza ritorno, purché la conversione contraria faccia emergere il lato oscuro, la sublimazione artistica del proprio doppio negativo. Oppure, l’artista potrebbe essere tentato di abbandonare l’impresa, di non esplorare le proprie paure, emozioni, turbamenti: la parte più viva ma anche più dolorosa della vita.
Ciononostante, esiste anche una terza via, un’altra strada, quella mediana tra la valle e la montagna, dalla quale si osserva il panorama contemplandone la bellezza, da un punto alto ma senza paura. Il sogno, spiegava Freud, è lo spazio virtuale nel quale rappresentare tutto il materiale rimosso, un contenitore nel quale fare decantare le proprie passioni e le pulsioni reiette dalla mente. Rientrare dal proprio doppio nel sogno è sempre possibile, attraverso una convenzione, un patto di non belligeranza: io rispetto te, ma non ti permetto di prendere il sopravvento; ti conosco, so chi sei – anzi chi sono – ma aspiro a mete più alte, al meglio di me.
Aronofsky non è David Cronenberg e il cigno nero non è La mosca, ma la metamorfosi interiore può lasciare il segno evidente del tormento anche nel corpo. Se l’artista si sentisse un insetto, vorrebbe le ali, se fosse cigno bramerebbe le piume, così da potere volare.
Portman vola verso l’Oscar e noi alla volta della nostra paura maggiore: che il nemico ci ascolti forse da più vicino di quanto pensiamo. «È un sogno terribile, è una concezione terribile», diceva Kafka a proposito del suo romanzo Metamorfosi. «Il sogno svela la realtà, mentre l’idea ne è una risultanza. È la mostruosità della vita, la natura terrifica dell’arte».
Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani
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l’ho visto, splendido, peccato che son capitato accanto a tre ragazzotti con tre buste over size di pop corn.
Lo odio per quella puzza immonda e ne sono allergico. Ho iniziato a tossire e ho dovuto cambiare posto.
In II fila, troppo sotto lo schermo.
Cionondimeno il film l’ho gustato appieno.
Bravissima la Portman, incontenibile Cassel, emozionanti le scene del balletto. E pensare che normalmente mi annoia.