di Elisa Scaringi
Pierfrancesco Favino offre un’interpretazione magistrale nel primo lungometraggio di Michele Alhaique, vestendo i panni di Mimmo, protagonista di Senza nessuna pietà, presentato nella sezione Orizzonti della 71ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Evidentemente ingrassato, Favino veste perfettamente i panni dell’omone grande e grosso, la cui riservatezza tradisce l’aspetto fisico possente. Muratore di professione e con passione, si ritrova a dover fare il lavoro sporco per lo zio Santili, interpretato da Ninetto Davoli, costruttore di copertura e usuraio di indole. Mimmo è un uomo taciturno, che nasconde, sotto la sua carne forte, la disapprovazione nei confronti dello zio, e soprattutto verso il cugino Manuel, belloccio viziato e prepotente. «Quest’uomo, un gigante, di cui tutti hanno paura, ma che non partecipa della vita che vive e viene tenuto d’occhio come un bambino. Gli stessi componenti del clan lo tengono un po’ distante.» spiega il regista. «E lui, come un bambino, guarda le dinamiche degli adulti, come un bambino si rivolge allo zio quando lo accusa di aver sbagliato, di aver educato male il figlio.»
Il film, che prende il via come un noir dalle tinte scurissime, si trasforma in una fuga d’amore quando Tanya (Greta Scarano) entra a smuovere il silenzio di Mimmo. Avviene allora una metamorfosi in quell’omone che comincia ad assecondare i buoni propositi celati dietro i suoi occhi compassionevoli. Il film è dunque la storia di un riscatto: un uomo che rinasce alla sua vera identità. Sullo sfondo la Roma popolare, di operai e immigrati, dove scalpitano usurai incalliti in cerca di popolarità. «Anche nel mio lavoro precedente raccontavo i ragazzini della periferia romana, ma se quella era una periferia in costruzione alla maniera americana, coi grandi palazzoni e i centri commerciali a ghettizzare le persone, questa è una periferia cruda di asfalto e cemento. Una periferia che in qualche modo preserva, tutela il centro di Roma, come se fosse un anello, come se fossero dei bastioni che proteggono una certa borghesia da quello che c’è fuori, dallo sconosciuto. Però dall’altra schiaccia e imprigiona chi quella periferia la vive, e da lì nasce il bisogno di redenzione e riscatto dei personaggi che amo raccontare».
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