È più cinico l’agente doppio zero dell’MI6 (Daniel Craig), capace di uccidere a sangue freddo nemici che mettono in crisi i destini del pianeta e finanche spie bellissime e traditrici, o il suo capo M (Judi Dench), che è disposto a elaborare in pochi attimi la scelta di perdere uno dei suoi uomini migliori pur di giocarsi la possibilità di salvarne altri inclusi in una lunga lista?
Inizia così, con la perdita delle poche certezze che può avere un orfano abituato da sempre a non fidarsi di nessuno, se non di altri che dell’organizzazione per la quale lavora, il viaggio dell’ultimo James Bond in Skyfall (2012), di Sam Mendes. Inizia con una missione a Istanbul, nel corso della quale dovrà recuperare un hard disk contenente la lista degli agenti della Nato infiltrati tra le organizzazioni terroristiche di tutto il mondo, e termina nella profondità di un abisso che lo risucchia e lo avvolge, conducendolo fin davanti le porte dell’Ade e restituendolo alla vita privo della voglia di tornarvi veramente.
Per la prima volta Bond deve combattere e lottare contro un nemico che non si nasconde dietro le barre di frontiere inviolabili o all’ombra di diplomazie corrotte e compiacenti, tra affaristi internazionali e senza scrupoli e cattivi con deliri d’onnipotenza. Per la prima volta nei suoi 50 anni di carriera Bond deve cercare un nemico che si annida dentro l’anima, dietro il rancore che diventa odio e desiderio di vendetta, nell’impagabile bisogno di rendere il conto dei torti subiti.
È il lato oscuro del bene che può diventare il migliore alleato del male e la sofferenza ne può aprire le porte. Tradire può essere un incarico, una missione, o anche semplicemente una vendetta. Ma si può tradire anche la fiducia di chi te l’ha data, mettendo la sua vita nelle tue mani, per un assurdo senso della necessità, per freddi calcoli strategici o anche soltanto per portare a termine il proprio oscuro lavoro.
Un segreto è stato violato e il veleno è stato iniettato infettando tutto il sistema. Adesso occorre trovare l’antidoto ricavandone la sostanza dallo stesso corpo malato: quell’organizzazione nella quale convivono bene e male, luce e ombra, uomini e topi. Sarà in condizione M di proteggere per l’ultima volta il suo agente migliore (“Gli orfani sono sempre stati i migliori”)? O si accontenterà di dare di sé l’immagine di una mammina cattiva, pur di concludere con onore la sua dignitosa carriera alla vista di un mondo che cambia?
“Anche se molto è stato preso, molto aspetta; e anche se
Noi non siamo ora quella forza che in giorni antichi
Mosse terra e cieli, ciò che siamo, siamo;
Un’eguale indole di eroici cuori,
Fiaccati dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà
Di combattere, cercare, trovare, e di non cedere”.
E tornerà a combattere Bond? Oppure, stanco e fiaccato nel corpo e nell’animo, cederà la mano e si alzerà per l’ultima volta dal tavolo da gioco, restando a godersi la morte?
Vogliamo credere che risorgerà ancora. E magari che non sia l’ultima, perché ci piacerebbe leggere nei titoli di coda che tornerà presto, anche se diverso, magari più cupo e introverso di prima, privo del suo humour, con la maschera di cera dura e implacabile di Daniel Craig. Anche se, da qui in avanti, nulla potrebbe essere più come prima perché gli anni passano e 50 son tanti.
E un giorno forse, con serena tranquillità e accettazione, potremo dire: il suo nome era Bond, James Bond.
Quel giorno sarà come il cielo che cade. Lì sarà la fine. Ma non ancora. Non adesso.
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