Difficile parlare di un film sulla boxe senza che il pensiero corra ai tanti eroi che hanno scolpito l’archivio dei ricordi della nostra vita di spettatori combattenti, quelli per i quali abbiamo riso, trepidato, tifato, pianto e urlato perché, quando loro erano sul quadrato nel quale stavano affrontando la madre di tutte le battaglie, noi eravamo lì con loro sul ring delle loro vite traballanti: da Rocky a Toro scatenato , da Hurricane a Maggie Fitzgerald, la Million dollar baby di Clint Eastwood.
Ciò perché i creatori delle loro storie – che siano stati dèi capricciosi o registi dalla fervida immaginazione – non ci hanno lasciato scampo, perché la boxe è il regno delle cenerentole con gli occhi delle tigri, dei derelitti e disadattatati nei vicoli bui, delle carcasse della società, degli emarginati, di coloro che avrebbero voluto osare di più ma che non hanno mai avuto l’occasione giusta o che hanno perso l’ultimo treno, che non hanno avuto il fegato per affrontare i piccoli problemi della vita quotidiana. Perché i grandi obiettivi sono irraggiungibili, ma quelli piccoli ti costringono a confrontarti innanzitutto con te stesso e, dunque, contro l’avversario più temibile che tu possa avere la sfortuna d’incontrare. In questo noi abbiamo creduto di potere essere loro, abbiamo già combattuto la nostra battaglia e abbiamo vinto o perso per sempre.
Dunque, cosa c’è di nuovo perché David O. Russell possa convincerci a vedere The fighter, l’ennesima storia di pugni e arena, costringendoci ancora una volta a salire in pedana, facendoci sporcare i guanti che avevamo già appesi al chiodo, chiedendoci di lavorare ai fianchi il nostro avversario di turno in questa suprema legge della giungla che permette di uccidere per non essere uccisi, di mangiare per non essere mangiati, lasciando però un retrogusto amaro che mescola il sapore della vittoria a quello della ferocia? Adesso non siamo forse impiegati, operai, casalinghe, genitori? Che cosa abbiamo a che fare noi con quello che eravamo, con i fantasmi di ragazzi e ragazze che non si arrendevano mai?
Micky Ward (Mark Wahlberg) asfalta strade e la sua passione è il pugilato, ma non è nessuno. La passione gli è stata inculcata dal fratellastro Dicky Eklund (Christian Bale). Dicky è veramente qualcuno, uno conosciuto in tutta la cittadina di Lowell per avere incontrato il grande Sugar Ray Leonard e averlo messo al tappeto per poi perdere ai punti. Ma c’è chi dice che Sugar non era andato al tappeto: «È scivolato».
Adesso si sta per girare un film su Dicky, non per rievocarne le gesta ai giovani ma per documentarne la dipendenza dal crack, perché Dicky ha buttato il suo momento e adesso non riesce più a venirne a capo, a tornare a una vita normale: «Fai un sacco di cazzate quando sei fatto». Dicky però ci prova, prova a fare qualcosa di buono. Lui allena il fratello Micky dandogli consigli e motivandolo, perché almeno uno della loro famiglia possa veramente toccare il cielo con un dito.
La relazione tra i due fratelli rischia di frantumarsi quando Micky conosce Charlene (Amy Adams), che lo aiuterà a credere maggiormente in se stesso, convincendolo a far camminare i sogni sulla forza delle sue gambe, staccandosi dal mito del fratello che rischia di trascinarlo nella precarietà dell’esistenza, mentre gli anni passano e comincia a diventare troppo vecchio per la gloria.
È proprio quando le vite dei due cominciano a separarsi tenendosi a equa distanza come rette parallele – Micky in palestra e Dicky in prigione – che gli equilibri iniziano a ricomporsi, mentre Micky arriva a vincere i primi incontri importanti e Dicky inizia il percorso di disintossicazione.
«Testa corpo, testa corpo. Avanti, Micky», ricordati le parole di tuo fratello. Le mosse vincenti sono talvolta nelle piccole cose. Non si sa come va a finire e mai arrendersi in questo sport, che è la palestra della vita. «Micky non avrebbe mai battuto Sanchez senza Dicky!» urla Alice (Melissa Leo), la madre dei due fratellastri, ape regina della famiglia matriarcale composta quasi esclusivamente da donne, madri e sorelle.
Talvolta le cose non succedono per caso e Dio ha un piano. Se ha deciso che non dovrai abbandonare un tuo caro, non succederà anche se gli eventi sembreranno fare di tutto per farlo accadere. Ci vuole poco per realizzare un grande sogno, un sì o un no determinano la direzione della tua vita e la scelta è nelle tue mani. Magari non sarà il tuo sogno personale, però potrebbe essere l’ultima occasione per coloro che ami di più. Questo ti darà la forza per tirarti fuori dal vicolo cieco nel quale ti eri cacciato.
A qualcuno piace stare nell’angolo, alcuni picchiano duro e si fanno punire, altri stanno alle corde, poi ci sono quelli che amano stare in mezzo. Tutti cercano di fare bene, di dare un senso alle cose. «Eri il mio eroe», «Lo ero. Tu non sei come me. Devi fare di più, non come me. Testa corpo, testa corpo. Adesso vai, questo match è tuo!».
È così che doveva andare, è una storia vera: quella di Micky Ward, l’uomo che asfaltava strade.
Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani
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