di Francesco Grano
Ricercatore al soldo del Governo statunitense, Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), stanco di dover produrre fittizie statistiche sulla guerra del Vietnam per placare l’opinione pubblica, si impossessa di delicati resoconti top secret in cui, minuziosamente, sono redatti i coinvolgimenti politici e militari e le scelte di ben quattro presidenti americani in relazione al conflitto nel continente asiatico. A ricevere lo scottante materiale è il New York Times che, dopo la pubblicazione dello scomodo articolo incentrato su tali report, rischia la condanna e la chiusura. Per solidarietà verso i colleghi e volontà di andare oltre l’omertoso silenzio, il Washington Post riesce a impossessarsi di una copia dei documenti. A guidare questa crociata di giusta informazione ci pensa il direttore del Post, Ben Bradlee (Tom Hanks), coadiuvato dall’editrice e azionista Kay Graham (Meryl Streep). Consci di poter scatenare un vero e proprio scandalo Bradlee, Graham e l’intero staff del giornale non si fermano davanti a nessuno, neanche di fronte a una ingiunzione governativa.
Si sa, in un regista come Steven Spielberg (con)vivono due anime: quella fantasiosa, visionaria e mainstream che gli permette di immaginare e dar vita a gioielli fiabeschi al pari di E.T. l’extra-terrestre, Hook – Capitano Uncino e sci-fi del calibro di Incontri ravvicinati del terzo tipo e Minority Report, e quella più realista e autoriale, impegnata sul fronte storico-cronachistico che lo (so)spinge verso opere di alto spessore come Schindler’s List, Munich e Lincoln. Ed è proprio questo aspetto a volte celato del papà di Lo squalo e della saga di Indiana Jones che, con molte probabilità, permette al settantunenne Spielberg di dimostrare come abbia ancora tanto da dire e mettere in immagini – e il suo nuovo lavoro, The Post, ne è la prova. Biopic senza fronzoli strutturato e ritmato come un thriller, The Post è la ricostruzione cronistorica della pubblicazione dei Pentagon Papers, fascicoli ad alto livello di segretezza voluti dal Dipartimento della Difesa statunitense: migliaia di pagine che non solo raccontano quello che è stato il vero coinvolgimento ufficiale (e non ufficiale) degli Stati Uniti nella sporca, lunga e mortale guerra del Vietnam, bensì di come agli occhi del mondo intero l’impegno bellico sia stato spacciato come giustificato (e giustificabile) atto di difesa della democrazia. The Post non solo ha l’onere di narrare, fase dopo fase, l’affaire Pentagon Papers e tutte le sue conseguenze ma, parimenti, presentare allo spettatore le figure professionali, coraggiose e fomentatrici che si sono appellate a quel giusto diritto di stampa e alla libertà di parola; alla sua trentunesima regia Steven Spielberg ci mette, infatti, tutto l’impegno possibile per raccontare un atto di coscienza sull’importanza della verità e libertà di stampa che, se in un primo momento, può sembrare una sorta di “guerra” intestina tra testate giornalistiche – disposte a tutto pur di accaparrarsi l’esclusiva di un articolo capace di destabilizzare un’intera Nazione – in un subitaneo secondo momento lascia spazio a quella pura necessità di scendere in campo e difendere non solo la colleganza ma – soprattutto – il singolo individuo societario, il quale deve sapere cosa veramente si nasconde dietro i predicozzi preparati ad hoc di coloro che detengono il potere.
J’accuse nudo e crudo contro ogni forma di disinformazione e insabbiamento, The Post condivide, da una parte, lo stesso spirito grintoso del capolavoro di Alan J. Pakula Tutti gli uomini del presidente, lungometraggio cronachistico ispirato allo Scandalo Watergate – episodio, questo, successivo a quello dei Pentagon Papers e del quale se ne occupò sempre il Washington Post di Bradlee – e, dall’altra parte, l’anima più frenetica e diretta del più recente Il caso Spotlight; ma, a renderlo ancora più interessante dei suoi predecessori ci pensa il piglio semidocumentaristico con cui Spielberg e la macchina da presa si soffermano su una semplicità delle immagini, costruite con una classicità di altri tempi e che, oggi come oggi, ammalia l’occhio dello spettatore oramai abituato ai più arditi manierismi registici. Una classicità che non solo evita la (ri)cerca di qualsivoglia patina di eroismo o autocelebrazione ma, priva di convenevoli, fa il suo dovere facendo scorrere l’intera vicenda senza appesantimenti o criptiche complicanze che, a volte, sfociano nel non detto e nella libera interpretazione.
Opera a metà strada tra il genere biografico, storico e cronachistico che può vantarsi della ben conosciuta e apprezzata regia di un veterano come Steven Spielberg, della fotografia di Janusz Kamiński, collaboratore del regista da tempo immemore e di un cast altamente azzeccato con un Tom Hanks e una Meryl Streep entrambi in stato di grazia e che si rubano a vicenda la scena, The Post si conferma come un lungometraggio altamente valevole e di alta caratura contenutistica che, oltre ad offrire una interessante trasposizione dei fatti, invita chiunque a non demordere in quella ostinata ricerca della verità perché, spesso, quest’ultima non è tanto quella pronunciata a parole, piuttosto è quella fatta dall’inchiostro e dalla carta, da quel nero su bianco firmato da chi, con coraggio e dedizione, non riconosce nel proprio “dizionario” etico e morale la parola omertà.
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