Torno subito, altro che ferie

Estate, tempo di repliche. Anche perché ne uccide più la penna che la spada, soprattutto se la devi usare anche durante le ferie.

Dunque, il massimo sforzo che un direttore di una rivista letteraria on line può chiedere ai redattori, incatenati alle sedie perfino la giornata di Ferragosto per preparare l’uscita del 16, consiste nel recuperare qualcosa dal passato.

Ecco, così, quattro mini letture sospese tra letteratura ed amenità, che hanno un unico comune denominatore: il cinema. Perché il cinema può contenere di tutto, cose belle e cose brutte, pensieri alti ed oscenità, può essere come un blob informe o come parole d’amore in una notte d’estate.

Anche ad agosto, il cinema ci può tenere compagnia, senza tante sosfisticazioni mentali e giri di parole. Buio in sala, entri l’inganno:

 

Io sono il capitano della mia anima

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

Invictus di William Ernest Henley (1849-1903)

All’età di 25 anni, a causa di una grave forma di tubercolosi ossea, a William Ernest Henley venne amputanta una gamba. Henley continuò a vivere sino all’età di 53 anni.

Nelson Mandela fu arrestato nel 1962. Rimase in prigione fino al febbraio del 1990, per circa 9.000 lunghisimi giorni. Ottenne il premio Nobel per la pace nel 1993.

Splendidamente interpetato da Morgan Freeman in Invictus – L’invincibile, (2009), regia di Clint Eastwood.

Invictus – la poesia letta da Morgan Freeman

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Il tuo cuore lo porto con me

Il tuo cuore lo porto con me,
Lo porto nel mio
Non me ne divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
qualsiasi cosa sia fatta da me,
la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato
perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perché il mio mondo,
il più bello, il più vero sei tu.
Questo è il nostro segreto profondo,
radice di tutte le radici
germoglio di tutti i germogli
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l’anima spera,
e la mente nasconde.
Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me,
lo porto nel mio.

E’ una poesia di Edward Estlin Cummings.

L’abbiamo ascoltata, letta da Cameron Diaz, nel film In Her Shoes – Se fossi lei (2005).

Il tuo cuore lo porto con me – letta da Cameron Diaz

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Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla

«E lì, a quel punto, cadde il quadro.

A me m’ha sempre colpito questa storia dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran.

Non c’è una ragione, perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran.
Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran.

O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo le sei meno un quarto, d’accordo, allora buona notte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: fran.

Non si capisce. E’ una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”.

Ci rimasi secco. Fran».

La leggenda del pianista sull’oceano (1998), di Giuseppe Tornatore, tratto da Novecento di Alessandro Baricco.

Il brano del monologo Novecento – letto da Pruitt Taylor Vince

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La favola dell’uccellino

Un uccellino non sapeva ancora volare. Durante l’inverno, in una notte fredda, ruzzola giù dal nido e finisce sul sentiero. Comincia a gridare “piu piuu piuuu piiiiiiiuuuuu” come un matto, e sta per morire di freddo. Fortuna per lui ecco che arriva una vacca, lo vede e pensa di scaldarlo. Così alza la coda..ee splasch!..una margherita bella e fumante. L’uccellino al caldo è tutto contento, tira fuori il capino e ricomincia “pipio pipio pipio!” più forte di prima. Ma un vecchio coyote lo sente e arriva di corsa, allunga una zampa, lo tira fuori dalla cacca, lo pulisce per benino..e poi…………..se lo ingoia in un solo boccone!

Qual’è la morale di questa favola?

La morale della favola – rivelata da Henry Fonda

Ce l’ha insegnata Il mio nome è Nessuno (1973), diretto da Tonino Valerii, prodotto da Sergio Leone.

A tutti buone vacanze. Noi di Letter Magazine stiamo lavorando per voi.

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