Ogni sera, Lucas raccoglieva gli uomini nel suo ufficio e leggeva loro una parte del copione che scriveva giorno dopo giorno.
A lettura ultimata Lucas registrava i commenti dei suoi amici su un nastro.
Alcuni di essi dicevano che era veramente difficile capire di cosa stesse parlando quell’uomo.
Ogni due o tre settimane Lucas infilava nella sua ventiquattrore la biancheria di ricambio e partiva per Los Angeles, dove mostrava la sceneggiatura ai produttori, i quali dicevano lui che stava perdendo il suo tempo e che avrebbe dovuto, piuttosto, cercare di affermarsi artisticamente.
«Ma perché» si chiedeva Lucas «cosa sto cercando di fare?».
Nel maggio 1974 Lucas finì la prima stesura della sua sceneggiatura. Cominciava con una grande battaglia di spade e pistole laser sulla superficie di un pianeta desolato, mentre la famiglia degli Starkiller cadeva in un agguato delle forze dell’Impero Maligno. La storia continuava con battaglie spaziali e invasioni di pianeti.
La sceneggiatura aveva tutti i difetti di una prima sceneggiatura: troppi personaggi, troppa trama, dialoghi ridicoli e nomi di personaggi improbabili.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, ben presto, il film, i sequel ed i prequel sarebbero diventati la saga cinematografica più importante della storia del cinema.
Lucas è George, il regista, ed il film è Guerre stellari.
Ho tratto questi spunti reali dalla biografia di George Lucas, scritta da John Baxter, come pretesto per parlare della figura del regista al cinema perché, del dolce inganno, ogni regista è il colpevole numero uno.
E’ vero, l’attore è quello che incarna la figura del protagonista, che ci porta a spasso nella sua avventura straordinaria, che ci fa vedere come si soffre, si piange, si ride, si muore, si risorge e si ritorna a nuova vita. Insomma, lui è noi. Ovvero, noi siamo lui, il protagonista, con la faccia dell’attore, sul grande schermo.
Così, noi sogniamo di diventare attori, di vivere o di fare vivere straordinarie storie d’amore, di azione, di mistero o d’avventura. Insomma, lui – o lei – sono quelli amati dal pubblico, cioè da noi, perché noi vorremo essere loro.
Ma c’è qualcuno che ha tramato nell’ombra la tela dell’inganno. E questo individuo è il regista.
E’ lui il vero colpevole del legame tra pubblico ed attori. E’ lui che ha progettato un piano per farci cadere nella trappola insieme ai protagonisti dei film.
Anzi, per farceli piacere di più, è andato a sceglierli ad uno ad uno. «Questo si. Questo, invece, non è adatto alla parte».
E’ lui, infine, che ci ha proposto di seguirlo nelle sue fantasie, chiedendoci di guardare senza il condizionamento della realtà.
«Guarda cosa ti voglio fare vedere», sembra che dica mentre stacchiamo il biglietto «e non mi giudicare prima di avere visto. Lasciati andare, segui la storia, vedi dove ti voglio portare e ti farò vedere cose che non hai mai immaginato. Ti prometto che non ti deluderò, ma ad una condizione: sospendi ogni giudizio terreno e libera la tua fantasia».
Dunque, lui è il grande affabulatore, il pifferaio magico, il grande comunicatore, l’uomo dei sogni, il mistificatore della realtà. Quello che porta a compimento ”il dolce inganno”.
Perché il regista ha una visione unitaria del film, lo immagina in anteprima semplicemente leggendone la sceneggiatura, il romanzo o anche soltanto ascoltandone l’idea.
Nel caso di Lucas, poi, la figura del regista e quella dello sceneggiatore confluiscono in una sola e, pertanto, la “visione” inizia sin dalla fase delle stesura della sceneggiatura.
Se si trattasse di trovare un colpevole in un processo, potremmo dire che questa è un’aggravante: una “visione” con l’aggravante della premeditazione.
Dunque lui, il regista, ha la “visione”, la realizza in un prodotto finito e la somministra allo spettatore.
Ora, il bello del cinema è questo:
Se guardiamo una statua o un dipinto, o se ascoltiamo una canzone, un sonetto, l’arte ci colpisce improvvisamente, senza che nessuno ci abbia avvertito. Guardiamo l’opera, ascoltiamo le note e in progressione ne percepiamo la bellezza. Entriamo in sintonia con l’artista, riusciamo quasi a vederlo mentre scrive, progetta, realizza quelle pennellate, mescola i colori o scopre le armonie accostando le note.
Col cinema, invece, il regista ci dichiara in anticipo cosa vorrà farci vedere, che storia ci vuole raccontare.
Ci fa firmare un contratto, mediante il quale ci impegniamo a metterlo alla prova. Lui, in contraccambio, ci dovrà fornire tutti gli elementi per farci comprendere la storia.
Se in narrativa, le situazioni, i luoghi, gli stati d’animo sono raccontati e descritti con innumerevoli parole, nel cinema vale la regola di parlare per immagini. Dunque, lo spettatore va a vedere ciò che il regista sapeva già di dovergli fare vedere: la sua visione del film: il progetto che parte dalla mente del regista ed approda negli occhi e nella mente dello spettatore.
Ma non sempre il prodotto finito corrisponde con esattezza alla visione del regista. Talvolta si adopera il bisturi e si cuce un’appendice diversa. Questa operazione si chiamal final cut, ovvero il taglio finale. Quello, cioè, che si riserva la casa di produzione sulla base di parametri di convenienza, che esulano dal progetto così come concepito e realizzato dal regista.
Questa versione del film, così definita e completata, sarà quella che gli spettatori vedranno in sala.
Così, ad esempio, è accaduto per I am legend, film del 2007 con Will Smith, la cui scena finale è stata girata in doppia versione, per permettere la scelta più appropriata e discrezionale alla casa di produzione.
Ecco, qui di seguito, la versione che non abbiamo mai visto al cinema.
Ma questo non è tutto. Infatti, di molti film esiste anche la Director’s cut, ossia la versione del regista, solitamente distribuita in home video.
Oggi, infine, esistono anche le versioni degli spettatori, attualmente limitate ai soli trailers, che si chiamano Recut. Infatti, il montaggio di versioni alternative di un film da parte di ogni singolo utente, non sarebbe concepibile con le attuali tecnologie.
Per adesso, dunque, proviamo soltanto ad immaginare cosa potrebbe accadere quando ognuno di noi potrà montare un film ad immagine e somiglianza della propria personale “visione”.
Tinos Andronicus
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Giusta osservazione: chi ha letto il romanzo, in genere, rimane deluso dal film, perchè la mente ha il potere di creare un immaginario più sofisticato di qualsiasi sistema di ripresa cinematografica.
Ma non è tutto: per esigenze narrative o di produzione, la trama può essere rivisitata. E qui la delusione può essere davvero cocente. Per il lettore che ha amato il libro potrebbe corrispondere ad una sorta di mutilazione della sua opera amata.
A questo punto entra in gioco l'abilità dello sceneggiatore, prima, e del regista, poi.
Il primo dovrà ridurre il libro lavorando di cesello, anche se la parte eliminata sarà maggiore di quella che residua.
Il secondo, dovrà rivestirsi d'umiltà come se entrasse in un territorio sacro, evitandone la profanazione.
Nel futuro, si potrebbe trattare l'argomento in modo più esaustivo.
Ti ringrazio per la riflessione.
Ottimo spunto di riflessione per chi si lascia catturare dal dolce inganno.Perchè si sceglie "quel"film?E' la trama a catturare l'attenzione?Gli attori che lo interpretano?o,ancora,perchè ispirato ad un romanzo letto?Più raramente per il regista,a meno che,non sia un grande nome del cinema o perchè lo spettatore è un esperto in materia.Alcuni films si rivelano deludenti nonostante un buon cast di attori,quando,inoltre,si sceglie di vedere un film ispirato ad un romanzo,il pubblico ha delle aspettative che vanno dalla trasposizione veritiera della trama,alle immagini come sono state create nella mente del lettore.Se il fim non risponde alle aspettative,i commenti non sono positivi.Ringraziandoti per l'esaustivo articolo,concordo con te.Il pifferaio magico è lui,il colpevole del successo o no dell'inganno è il regista.