di Francesco Grano
Ex soldato dell’U.S. Army Ranger, Santiago “Pope” Garcia (Oscar Isaac) lavora come consigliere per svariate agenzie di polizia federale sudamericane: il suo compito è quello di fornire supporto strategico nella caccia ai narcotrafficanti. Ed è proprio a seguito di un raid che Santiago, grazie alla collaborazione di una sua infiltrata, viene a conoscenza di dove si nasconde uno dei più pericolosi signori della droga. Convinto a eliminarlo una volta per tutte, Santiago torna negli Stati Uniti e va alla ricerca di altri quattro suoi ex commilitoni delle Special Forces, tra cui il capitano in congedo Tom “Redfly” Davis (Ben Affleck), per convincerli a lavorare con lui come ulteriori consiglieri tattici e, così, assicurare alla giustizia il narcotrafficante. Il gruppo accetta, nonostante l’iniziale riluttanza di Redfly; ma, giunti in Sud America e compiuta una ricognizione nel nascondiglio del boss, Santiago vuota il sacco: in realtà vuole rapinare e far fuori l’obiettivo. Dopo un’apparente disapprovazione il piano prosegue e, in prima battuta, sembra andare per il verso giusto. Ma è solo l’inizio di una lotta per la sopravvivenza.
Dopo una lunga, travagliata e, nel corso degli anni, disperata gestazione, nel 2017 Netflix ha acquisito i diritti di un soggetto di Mark Boal e ora, nel 2019, quello che sembrava ormai un progetto abbandonato (non sono stati pochi i nomi registici che si sono avvicendati tra cui, in primis, quello di Kathryn Bigelow che qui figura come produttore esecutivo) è riuscito a vedere la luce: il risultato è Triple Frontier, ultimo arrivato nel catalogo della famosa piattaforma per lo streaming video. Diretto da J.C. Chandor (il quale ha firmato la sceneggiatura insieme a Boal), regista con alle spalle una filmografia molto esigua ma non per questo poco interessante (basti ricordare gli ottimi All Is Lost, dramma one man show con un Robert Redford in stato di grazia e il cupo noir A Most Violent Year), Triple Frontier è un action thriller che, fin dall’incipit, dimostra la sua natura di prodotto filmico realizzato con solidità scenotecnica: non ci si trova di fronte al classico film d’azione scritto e diretto in fretta e furia per accontentare i palati cinematografici più caciaroni e poco esigenti, assolutamente no. Il quarto lungometraggio di Chandor, nonostante il regista non sia – almeno non ancora – un author, trasuda una certa aria di autorialità; un’autorialità che, all’interno del genere di appartenenza, è davvero difficile raggiungere, specialmente in un panorama in cui la produzione mainstream sforna titoli altamente trascurabili e, se visti, dimenticabili.
Fortunatamente, Triple Frontier è una ventata di freschezza in questo primo trimestre del 2019, una brezza generata non solo dall’ottimo lavoro tecnico che c’è dietro e dal cast perfettamente funzionale alla storia (dal quale spiccano in maniera particolare Oscar Isaac e Ben Affleck) quanto dalla crescita esponenziale del background di appartenenza, della storia mostrata su schermo e dei personaggi. Difatti Triple Frontier non offre – solo ed esclusivamente – un puro intrattenimento adrenalinico nonostante le sequenze action, tra realismo e una giusta dosa di brutalità, siano davvero ben realizzate, ma approfondisce le psicologie e le vite dei cinque protagonisti: uomini con un passato militare da Forze Speciali, perfette war machine addestrate a ogni tipo di evenienza e che hanno combattuto nei conflitti più sanguinosi della recente (e ancora attuale) storia globale. Ex soldati che, anche a distanza di tempo, conservano dentro se stessi la guerra e tutte le sue conseguenze e che di fronte alla possibilità di un ingente guadagno e all’eliminazione di un bersaglio primario di alto valore, non rinunciano a buttarsi nuovamente nella mischia.
Non per niente Triple Frontier mette al centro un gruppo che agisce in nome del Dio Denaro, quel bene primario fondamentale per vivere e garantire una vita dignitosa e che, nel loro caso, può garantire una fonte (non proprio pulita) di “reddito” per uscire dalla impasse dell’esistenza e dai lavori da civile che, come spesso accade, non garantiscono la massima qualità della vita. Ma per ogni tentazione, e questa è la morale principale del film di Chandor, c’è sempre un prezzo da pagare e il ritrovato fireteam se ne rende conto poiché, ciò che inizia come un piano perfetto, si trasmuta in una prova di resistenza e sopravvivenza in mezzo a una mater natura estrema e brutale; prova che porta i cinque uomini a capire di essersi spinti troppo al di là di quel labile confine che separa il bene dal male, il legale dall’illegale, il giusto dallo sbagliato. E nella fuga disperata a cavallo di tre confini (il titolo del film stesso si riferisce agli Stati del Paraguay, Brasile e Argentina in cui prendono le mosse le vicende) “Pope”, “Redfly” e compagnia capiscono quanto sia importante la vita e di come, nonostante le uniformi siano state dismesse, tutti e cinque siano ancora dei brothers in arms incapaci di tradirsi, abbandonarsi, in risposta a quel codice etico del “io copro te, tu copri me”.
Avvincente e senza neanche un attimo di noia nei momenti più placidi e introspettivi, Triple Frontier è la prova della maestria e del talento di J.C. Chandor il quale, in passato, è riuscito a deliziare lo spettatore con i già citati A Most Violent Year e All Is Lost e che qui, avendo virato verso un genere a lui nuovo, dà dimostrazione di come sia possibile portare a compimento determinate sfide cinematografiche. Certo, in Triple Frontier non mancano gli echi della filmografia bigelowiana, tantomeno le dirette ispirazioni dal capolavoro di Denis Villeneuve Sicario e dall’ottimo war movie Lone Survivor di Peter Berg. Tuttavia, ciò che più aggrada e valorizza Triple Frontier è il fatto di essere un’opera che, arrivata ai titoli di coda, riesce ad affermare una propria e pura personalità filmica.
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