a L.
Sei il fondo, e la luce, di ogni pensiero
il bagliore e la fiamma
piccolo faro gigantesco
porto e rifugio, albero e foglia.
L’arcobaleno con tutti i suoi colori.La vita va oltre la vita, la morte, se vuoi, non (r)esiste.
G.M.
Un giorno mi arriva a casa un libro. Passano settimane prima che riesca a sfogliarlo.
Tra mille impegni leggo le note di copertina. C’è anche una lettera vergata.
Se si ha la fortuna di ricevere una lettera di accompagnamento dall’autore stesso di un romanzo, in cui appare già una ‘prima’ chiave di lettura, è quanto meno stupido non servirsene, anche se in seguito essa può essere perfino confutata (ovvero è da prendersi con beneficio d’inventario).
Per Lusinghe di luna piena la stessa parola romanzo infatti può trarre in inganno, uno si aspetta di in-seguire storie e invece si ritrova inseguito dalle vite di tanti, o meglio da una vita che ne contiene tante altre.
Perché è così che va la vita, ciascuna ne contiene altre e se ne nutre, e tanto più si nutre e cresce attraverso le vite di quelli da cui si lascia percorrere attivamente. È questa forse in quanto ‘umani’ la nostra ricchezza più grande, la possibilità di rapportarci all’alterità, di confrontarci e amare il prossimo. E nondimeno odiarlo.
Semplice, direte voi, e invece vi sbagliate.
La lettera riporta:
<<Il romanzo non è un semplice approccio alle vicende quotidiane e la sua stessa struttura impone una concentrazione particolare nel lettore: ogni pagina è un luogo di riflessione, ogni vicenda è un affondo nell’intimità personale […], una scommessa, perché richiede sensibilità e testa>>.
Oddio, cosa mi aspetta?
Leggo a singhiozzo, perché ogni giorno qualcosa mi ostacola e si frappone sul percorso, segno in arancio fluorescente alcuni tratti che mi paiono azzeccati o salienti, un distillato di emozione, una verità lapalissiana. Emergono e si sovrappongono alle pagine i miei ricordi personali, l’esperienza del dolore e della malattia di un genitore, il senso di malinconia, di vuoto e rabbia di fronte all’impossibilità di porre un freno alla degenerazione fisica e psicologica. Poi mi appassiono alle storie d’amore e alla vita segreta delle donne che compaiono, quasi a spezzare o bypassare le parti dolorose per fare spazio a pensieri ed emozioni colorati ed esaltanti.
E tra il detto e l’accennato parto in quarta figurandomi i possibili scenari, esplosioni di gioia, estasi di sensi.
E non le trovo. Trovo donne bloccate, o mai sbocciate. Donne come ce ne sono tante.
Marta ha costruito lo scenario di un sogno o desiderio extraconiugale che non trova sbocco, Giulia si abbandona a una relazione che non la soddisfa pienamente, ma le regala un figlio in arrivo e un cambiamento di scenari geografici e profumi.
Una sola creatura (Gisella) sembra avere la vita che nonostante tutto ha voluto e che l’ha gratificata, ed è una arzilla novantenne che ha attraversato l’esistenza con la leggerezza di una danzatrice (quale è). È illimitata quanto gli altri appaiono zoppicanti, utile faro che dispensa idee e consigli e una ricetta sui generis per sentirsi sempre vivi e attivi. Quello che tutti noi dovremmo (o potremmo) essere e non siamo.
Perché quello che ci fotte sono le gabbie, gli schemi e i ruoli, sottostanti all’unico Signore di cui riconosciamo, volenti o nolenti, l’autorità: il ticchettare del Tempo, che nel nostro Sistema non concede tregua, ci incalza, ci sfianca, facendo diventare un’utopia quel gusto pieno della vita contrabbandato dalla pubblicità.
Le figure maschili appaiono incapaci di proporre alternative alle strutture, modelli, categorie vigenti; pur percependo livelli differenti di dialettica nelle loro compagne, accettano quasi passivamente uno status quo che li vede irreggimentati, se non per convenienza economica e sociale, almeno sotto il profilo emotivo.
Valvole di sfogo il vino, il fumo, il tu per tu fra uomini su argomenti che elevino lo spirito, l’Arte, la pittura. E così basta una casa, una moglie, una famiglia che verrà, stemperando in qualche nottata di stravizi il senso di ripulsa (o di rivolta) per qualcosa che manca, ma è comunque difficile da ottenere.
Ma è nei raccordi che si ha più netta la sensazione di deviare dai percorsi di una narrazione fittizia percependo l’affondo su un territorio quasi minato, perché autobiografico, e si avverte il tastare di una massa dolente che a fatica si è riusciti a sopportare.
La presenza degli altri può aiutare, ma certi pesi dell’esistenza, certi momenti e certe corde, si è costretti a viverli da soli.
Inganni e Lusinghe
C’è dentro tutto, la vita con le sue variegate sfumature, le vittorie, le sconfitte, le dolcezze e gli inganni, i tormenti e i dubbi, ma alla fine le sue incontestabili lusinghe, quelle che nonostante le difficoltà, i traumi e il dolore, ce la fanno apprezzare e preferire alla non-vita, pur nella sua condizione di precarietà e perfettibilità. E il rapporto o lo scontro fra categorie è da subito acuto.
Sopravvivenza versus Esistenza.
Spesso, troppo spesso, la prima è negata a molti.
E chi potrebbe godere del privilegio di assecondare l’Esistenza, spesso non ne è consapevole.
Il Tempo diviene il centro, bersaglio e obiettivo della quotidianità e tutto definisce (e ci definisce) come pedine del Sistema, quello che scandisce la produttività in termini di risultati.
Essere fuori Tempo a questo punto penalizza, ma è il solo mezzo per opporsi al Sistema.
Fuori tempo è il malato, che perde i ritmi del presente, si abbandona ad un sentire della materialità non più sfruttabile ancorché preziosa. Veicola la Storia, i legami individuali e collettivi.
Fuori tempo è chi concede uno sguardo non distratto al mondo circostante, e non puramente scientifico o interessato (volto a un obiettivo preciso). Farsi attrarre dalla magia delle cose.
Fuori tempo è chi concede a sentimenti ‘extra’ di rivelarsi ed esprimersi, anche se si contravviene a premesse/promesse già stipulate. Perché la vita va oltre, spezzandola, la logica binaria, oltre le costrizioni, formali e sostanziali, del manicheismo.
La vita non segue un filo logico, non si piega come metallo, e a volte le esperienze non regalano saggezza, ma aumentano il livello di debolezza e fragilità. In questo sta la sua scommessa, saper stare al gioco, anche se non si dispone di strumenti ‘consolidati’ e non si adottano strategie.
Ognuno ha delle idee, vizi e virtù e delle strade da percorrere, a volte si arriva a degli incroci, e la Fortuna e il Caso hanno certo un grande peso. Nulla si può escludere a priori.
Se non ti sposti però dal tuo angoletto non avrai mai la possibilità di osservare le cose da un altro orizzonte, e se non salti non sai mai come cascherai, se potrai proseguire o se il vuoto avrà la meglio sulle tue paure.
Sono forse più i dubbi e non le certezze che emergono dalla lettura di Lusinghe.
Ma leggendolo sei sicuro di uscire fuori diverso, comunque migliore, di prima.
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Giuseppe Vera, Lusinghe di luna piena, Tullio Pironti Editore, 2010
- Il bancario - 8 Luglio 2024
- La “cura” di Teo - 24 Giugno 2024
- Noemi - 17 Giugno 2024
HO LETTO QUESTA TUA PRESENTAZIONE AL ROMANZO E HAI SUSCITATO IN ME LA VOGLIA DI LEGGERLO PERCHE’DA ESSO TRASPARE UNA TUA GRANDE SENSIBILTA’ D,ANIMO. ME NE PROCURERO’ UNA COPIA
E’ un testo che va letto più di una volta, percepisci la sua profondità soprattutto se quelle esperienze le hai vissute in prima persona.
E quando vai a rileggerlo ti accorgi che molte cose le puoi interpretare variamente, che si aggiungono tasselli sempre nuovi, diversi, che poi sono quelli che nel frattempo hanno riempito la tua vita.
E’ un incitamento a crescere, ad affrontare le cose, anche se in apparenza sembra mancare un senso all’esistenza.
Almeno è quello che ci ho letto io.
Lo tengo sul mio comodino e ogni tanto lo accarezzo,ma dopo qualche pagina,ho capito che,richiede tutta la mia attenzione e così lo tengo lì,aspettando di poterlo leggere…Grazie per la splendida recensione,sei unica e un grazie all’autore che quando me lo ha dato,mi ha portata indietro di alcuni anni….