La “cura” di Teo

di Gamy Moore

Di Teo Lorenzo avevo già letto e apprezzato, anni or sono, Le streghe di Atripalda, racconti di vario sport. Nonché di vita.

Sapevo, ricevendo questo nuovo libro, che avrebbe trattato ancora di uno sport – il calcio – che io non prediligo. Né, a dirla tutta, ho mai seguito, salvo qualche sporadica occasione monca di tracce indelebili nella mia memoria; al contrario di qualche evento correlato.
Qui, tuttavia, il calcio è solo il mezzo, e non il fine, per raccontare qualcosa che va ben al di là, e non riguarda solo il tifoso o lo sportivo, allargandosi alla vita in generale degli umani.
Dati i tempi, risulta assai difficile scorgere ancora “umanità” nei vissuti e nelle scelte che compiamo. Forse per questo non è facile accettare di mettersi, o vedersi messi, a nudo, senza riparo. Ma a volte occorre farlo per accertarci di cosa siamo diventati. Ci aiuta, in questo, soffermarci sul percorso e tornare al punto di partenza, quello da cui si sono mossi i passi. A ritroso, in questo caso, di oltre sessant’anni.

Memoria corta? Aiuta assai una copertina. Scelta azzeccata, “La partita in strada” di Gianni Mattu.
Basta un’occhiata ed ecco, di rimando, l’eco visiva di un mondo che non c’è più, al quale io stessa, come altri, non sono estranea. Un mondo dai colori non sgargianti, ma morbidi e discreti. Solo maschietti, è vero, nell’istantanea raffigurata. Con calzoncini che appaiono una taglia in più del necessario – ma è davvero così che si portavano; che non modellano le sagome, rendendole anzi un po’ goffe senza impacciarle. Vi si legge comunque intatta l’agilità. Il dinamismo di un incontro, più che uno scontro, tra bambini. Non avversari, semmai amici, che nella calura della controra cercano, e trovano, diletto e svago. E non basta la sgridata della mamma alla finestra, o le urla di qualche “orco” stordito dai rumori e dal rimbombo del pallone contro un muro, per porre fine all’improvvisata partita sullo spiazzo di cemento di una anonima periferia. “Anonima” solo per chi tra quegli spiazzi non ci vive. Non per chi, fra quelle luci e ombre ci ha lasciato il cuore.

Cuore e stati d’animo che molto bene si raccontano tra queste pagine, in un lasciarsi andare tra ricordi vividi e altri oscurati o sbiaditi… Inevitabile manovra della coscienza, volta a salvaguardare dagli esiti di cicatrici altrimenti insostenibili. Tutto torna così, ordinatamente, a riempire gli spazi della memoria, le sue caselle, in un ordito che rispetta i tempi regolamentari.
Ma poi succede che chiudendo il libro, arrivati alla parola fine, serva del tempo in più per continuare la partita. Un’altra, quella in cui si viene proiettati. Partono perciò i supplementari. O forse, un semplice stop per consentire al distillato di decantare.

Appare allora riduttivo, leggendo l’ultima fatica letteraria di Teo Lorenzo, definirlo come un semplice memoir con lo spessore di un saggio, o riferirsi ad esso come all’ennesimo volume dedicato al calcio.
È molto di più.
Il calcio è presente, inutile negarlo. Ma appare più un pretesto che il fine stesso di tutta la scrittura. Più volte, nel testo e nelle interviste rilasciate dall’autore, lo scrivere di sé è paragonato a una vera e propria “cura”, modalità terapeutica, un mezzo per imparare a gestire – affrontare e superare – alcune ardue prove dell’esistenza. L’esperienza del dolore, fisico e mentale. Quello nella carne, che ci appartiene e non possiamo condividere, obbligando al ricorso alla prima persona singolare. E altri, non meno invalidanti, che ci attraversano senza distinzioni, come la perdita di una persona cara. Di quegli affetti che vorremmo immortali, ben sapendo che è pura utopia. Così come gli inciampi e le cadute nella corsa a ostacoli che è, un po’ per tutti, la nostra vita.

Scrivere fa luce (e leva) su se stessi. Fa sentire più leggeri e meno soli, laddove si origini autentica condivisione: qualcosa che va al di là della semplice lettura-immedesimazione. Pregio che facilmente si riconosce al volume in questione.

Ma anche questo lascerebbe un vuoto per chi tenti di arrivare all’essenza di Rimpalli. E il quid è concentrato in quella singola parola. Perché Rimpalli non mira a essere semplicemente una lettura, ma invita a ripetere l’operazione condotta dall’autore in chi abbia la fortuna di incrociarlo, e di lì ancora: far rimbalzare la palla tra i piedi o fra le mani del “lettore” di turno e spingerlo a chiedersi “Lorenzo, ok. È andata così. Io che ho fatto della mia vita? Da che parte del campo sto?”
Domande che troppo spesso restano inevase per disattenzione, superficialità, egoismo e forse anche paura… Timore di soccombere al giudizio impietoso che internamente coltiviamo e nascondiamo. Di affermare con sicurezza che viviamo quasi sempre sviati da noi stessi, in una vana e inutile ricerca di appigli puramente materiali, quelli che ci fanno tanto fighi e social, ma solo un’infelice moltitudine di finti uguali.

Un buon libro, dunque. Da leggere e “vivere” sulla propria pelle. Averne cura. Consigliandolo a chi avete di più caro.

 

NB
Al “dio del calcio” lo devo proprio dire.
Che brutta svista con Teo.
Ma un paio di occhiali no?

 

 

 

 

 

Teodoro Lorenzo
RIMPALLI
Voglino Editrice

Pagine 104
Prezzo € 14,00
Formato cm 14×21, brossura con alette

Collana Essere
ISBN 978-88-31946-52-0

 

 

 

 

 

 

 

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