Elettra e Dalton non potevano sperare in una vita migliore: accuditi con amore da Lorena, trascorrevano intere giornate dormendo o giocando; negli intervalli fra queste faticose attività la principessa stessa provvedeva a spazzolare e lisciare i loro folti mantelli, per poi impreziosirli con collarini tempestati di gemme.
Dalton, in modo speciale, si capiva che le stava a cuore.
Di temperamento assai mite, amava strusciarsi alle gambe e rotolarsi ai piedi della sua mamma adottiva, strappandole molte coccole e qualche raro sorriso.
Non che Elettra fosse da meno, ma in un certo qual modo era più “riservata”; talvolta si sottraeva alla vista per poi riapparire immancabilmente satolla.
Così quei tre trascorrevano le ore; e fu così, tra fusa e prelibati bocconi che i due gatti giunsero all’ancor tenera età di 18 mesi.
Fu allora che Lorena notò un primo allarmante cambiamento in Dalton.
Senza apparente ragione il giovane rampollo si scagliava con veemenza contro sua sorella, azzannandole il collo, ovviamente provocando la sua rimostranza a suon di graffi…
Lorena, che malgrado la giovane età era sagace, intuì che fosse arrivata, almeno per Dalton, la stagione, diciamo così, degli amori…
Del resto era stata abituata a riconoscere tali bollori proprio da suo marito – il conte Felice – che certo felice doveva essere, finito com’era sulla bocca di tutti per la sua turbinosa relazione con la provocante Vitinia.
I paesani osservavano infatti, ammiccando, che la giovane e prosperosa domestica di Casal dei Principi era nota per essere un asso nelle faccende di casa, soprattutto quelle inerenti alle stanze private del conte…
Confidate le sue preoccupazioni su Dalton alla sua unica e vera amica, la zia Esmeralda Landolfi-Spada, ormai vedova Niccolini, quest’ultima pensò di risolvere senza indugio il problema recandosi nella vicina Borgognone, onde acquistare il più bell’esemplare di gatto persiano che mai le fosse capitato a tiro.
Fu così che Ramon III di Orlane Misandal, col suo candido mantello e due rassicuranti occhioni viola, fece il suo ingresso per la prima volta nell’elegante dimora di Rivatorta.
Alla vista dell’intruso Elettra e Dalton violarono ogni dettame d’etichetta: incuranti della sacralità dell’ospite soffiarono e ringhiarono come se avessero visto il diavolo in persona; lo sconcertato ospite si limitò a guardarli di sbieco e ritirarsi prontamente sotto un divano.
Elettra e Dalton, furibondi e sdegnati, il mantello rizzato come draghi, fuggiron via nel giardino e di lì nel capanno degli attrezzi dove rimasero per alcuni giorni, rifiutando acqua e cibo e qualunque altro genere di conforto.
Tutto ciò gettò ancor più la principessa nel panico; tuttavia, persuasa da sua zia a portar pazienza, si rassegnò a far da spettatrice a questo inusitato conflitto.
Ramon fu alloggiato in un’ala riparata della casa, da cui poteva godere dell’ottima vista del parco; Elettra e Dalton, dopo aver sperimentato il disagio del capanno, rientrarono timidamente in casa, quasi sempre annusando l’aria.
Quando per sbaglio la cuoca fece sgattaiolare dalla sua stanza il giovane persiano, per poco non si sfiorò il parapiglia: Elettra e Dalton inarcuarono il dorso levando in aria le zampe al povero Ramon, che tuttavia stavolta, quasi spavaldo, prese anch’esso a ringhiare e soffiare.
L’episodio segnò il culmine delle ostilità, ma fortunatamente anche una svolta.
Elettra e Dalton stavolta non corsero più a rifugiarsi nel capanno; pur guardandosi le spalle, si limitarono a spostarsi di stanza. Ramon dal canto suo, si fece ricondurre docilmente nella sua, e lì trovò riparo e conforto nella più che generosa porzione di pollo appena approntato.
Trascorsero alcune settimane. Ma di cambiamenti nemmeno l’ombra.
O meglio, l’unico cambiamento che prese a notarsi fu un costante ingrossamento della morbida Elettra, la ragione del quale non tardò a venire alla luce…
Divenne chiaro allora che i due gattini pelosi scoperti dalla servitù nel capanno non potevano che esser frutto dell’unione fra Elettra e Dalton.
Le piccoline, Babouche e Miù-miù, erano entrambe un color crema, screziato di grigio e blu.
La zia Esmeralda, che dell’ennesimo colpo di scena si riteneva artefice, si offrì di ospitare, e allevare lei stessa, le due sorelline e lo stesso Ramon, il quale pareva gradire la loro presenza, mostrando in certo qual modo anche un affetto “paterno”.
Lorena si ritrovò così, dopo alcuni mesi da “separati in casa”, alle prese coi suoi originari gioielli; non volendo più mettere a rischio la vita e la salute dei suoi figlioletti, men che meno la sua, convenne a malincuore di far sperimentare a Dalton la pace dei sensi.
Solo così a Rivatorta si tirò un sospiro di sollievo.
E un sospiro di sollievo, o piuttosto una ventata d’aria nuova – che da tempo mancava, in ragione della vedovanza – si ebbe pure nella tenuta della zia Esmeralda, non lontano da Casal dei Principi.
Gli inquilini decretarono l’immediato possesso delle 18 e passa stanze della residenza, annusando in lungo e in largo ogni minimo dettaglio; solo in seguito passarono in rassegna atrio e giardino.
Si arrivò così ad un’altra estate; le frugolette crescevano sotto l’ala protettiva della zia e del placido Ramon.
Benché simili esteriormente, le miciotte di zia Esmeralda erano però per carattere assai diverse.
Più gracile, lo sguardo talvolta malinconico, Babouche amava ritirarsi in solitudine. Trascorreva gran parte del suo tempo seduta o sdraiata sul davanzale di una finestra che dava ad ovest, e che la riscaldava col suo tepore; messa così, era tutta intenta a osservare un punto imprecisato all’orizzonte.
Le capitava anche di inseguire ombre e riflessi che certamente solo lei vedeva…
Ramon e Miù-miù erano invece soliti ciondolare pigramente per le stanze, solo raramente inseguendosi anche in giardino, e intervallando lo sforzo con ripetute soste davanti alle ciotole, sempre ben rifornite di cibo e acqua.
Essi facevano buona compagnia alla zia Esmeralda con le loro fusa discrete e con delicate strusciatine alle gambe della contessa o a quelle dei massicci tavoli di mogano della sua splendida dimora.
Presto la zia Esmeralda dovette fare i conti con la natura, visto che Ramon cominciò a rivendicare il suo diritto a rotolarsi in amorevoli manfrine con la sua fedelissima amica, che non pareva voler sottrarsi…
Per precauzione, data la sua fragile costituzione, si preferì sterilizzare la piccola di casa, l’incantevole e contemplativa Babouche, e lasciare che la natura facesse il suo corso per Ramon e Miù-miù.
Sul finire dell’estate, a poco più di un anno, Miù-miù diede alla luce una sola creatura, dal morbido pelame grigio chiaro e grandi occhi di un giallo paglierino.
La piccola, che proprio “piccola” non si poteva dire, poiché cresceva a vista d’occhio, aveva un carattere tutt’altro che mite: si comportava come un ragazzaccio sfrontato, agguatando perfino sua madre prima di accoccolarsi su di lei a prendere il latte.
Saltava poi in groppa a Ramon tentando di coinvolgerlo in corse e salti spericolati dai bordi di sedie e tavoli.
Onde bloccare la sua eccitazione, suo padre era costretto perfino a soffiarle o a menare una zampa. Gigiotta, questo il suo nome, si abbassava col corpo a ricevere la pacca; tentava comunque l’agguato prima di ritirarsi sdegnata; correva quindi a rifarsi dell’oltraggio “dragando” (permettetemi il neologismo, muovendosi a guisa di drago) qua e là come invasata.
Le prime a risentirne furono ovviamente le tappezzerie.
(continua)
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