La dinastia dei gatti-mammut (Parte V)

Benché sconcertata dalla vitalità di questa creatura (soprattutto se rapportata ai suoi placidi genitori) la zia Esmeralda non perdeva occasione per farsene un vanto: oltre che assai graziosa e talvolta affettuosa, la piccola era infatti capace di bizzarie psicomotorie che, superato lo choc, tenevano la donna impegnata e lontana dai suoi acciacchi e dolori, almeno fino all’entrata in scena del mitico Joffry…

Joffry non era un gatto, bensì un robusto esemplare di falco pellegrino che al pari di altri volatili faceva bella mostra di sé ancorato al braccio del suo falconiere.
La zia Esmeralda era infatti appassionata di uccelli e due o tre volte al mese ospitava manifestazioni e tornei nel parco della sua tenuta.

Da quando era arrivato Joffry la contessa puntava sempre cospicue somme sulla sua vittoria, e alla fine se ne garantì la proprietà.
Addestrato a catturare piccole prede, Joffry sviluppò a tal punto le sue capacità da divenire non solo il prediletto del suo istruttore, Messer Ciccio De Nardi (anch’esso una leggenda nel suo genere) ma ottenere addirittura il titolo di campione internazionale di categoria.

Sfortuna volle che Joffry non passasse inosservato alla vista di Gigiotta, che fin dai primi mesi di vita amava trascorrere molte ore in giardino.

Miss Gigia, come teneramente veniva soprannominata dalla servitù, se ne stava dall’arrivo di Joffry tutta quieta – lei così poco disponibile alle buone maniere – a osservare le circonvoluzioni aeree del pennuto alle prese coi suoi “allenamenti”.
Essa prese quindi a intrattenersi oltre il dovuto fuori di casa: appollaiata su pali e steccati sembrava voler imitare in tutto e per tutto il suo amico volatile.
Talvolta la si cercava invano per scovarla nascosta tra i rami degli alberi, quasi che fosse, come Joffry, un uccello.
Di fatto ne divenne l’ombra.

Joffry, al principio infastidito, o forse solo intimorito dalla creatura pelosa (così simile, anche se più voluminosa, alle sue prede) provò a sottrarsi a questo assedio mostrando nervosismo, agitando le penne, emettendo sottili gemiti; il tutto però senza troppa convinzione. In fondo era contento che qualcuno, a parte l’istruttore, gli tenesse compagnia, anche di notte.
Così, superata la sua – comprensibile – paura di trasformarsi in un succulento fuori pasto per la gatta, sciolse le sue riserve.

Il colmo si ebbe quando Joffry, ormai avvezzo alla presenza di Gigia, si abituò a deporre una seconda preda davanti a lei prima di atterrare sul braccio del suo istruttore.
Cosa questo facesse scattare nella testa della miciotta, nessuno seppe mai dire.
Quando però un bel giorno dei due compari non si trovò più traccia, a tutto si poté pensare, perfino ad una crisi d’identità, tranne realmente che i due fossero fuggiti via “per amore”.

La faccenda apparve sospetta poiché non un segno d’effrazione nel capanno, né una piuma, né un’impronta di alcun tipo si scorgevano nell’ampio circondario.
Sembrava, o si voleva far credere, che Gigia e Joffry si fossero letteralmente “volatilizzati”.

Poiché nessuno credeva nelle favole, men che meno la zia Esmeralda, si abbracciò subito la tesi del rapimento a scopo d’estorsione, magari a opera di qualche ladruncolo di città, o più ancora di un furto “su commissione”… Erano in molti a invidiarle l’acquisto del falco… Ovviamente tutti si dichiararono estranei a questo evento delittuoso.

Senza por tempo in mezzo, Esmeralda ordinò ai suoi più fedeli collaboratori, Messer Ciccio compreso, di battere a tappeto un’ampia metratura, onde riportare a casa, sani e salvi, i due presunti “fuggiaschi”.

Dopo un’intera giornata di perlustrazione andata a vuoto, stanchi e sfiduciati, i fedelissimi di zia Esmeralda fecero ritorno alla magione, promettendo di riprendere le ricerche l’indomani.
Non che a loro – eccezion fatta per l’istruttore – premesse più di tanto ammazzarsi di fatica per amore di un gatto e di un volatile, seppur di un certo pregio… Faceva gola soprattutto la taglia – pari a intere annate di stipendio – disposta dalla contessa per il ritrovamento dei suoi protetti.

Nei giorni che seguirono non mancarono, purtroppo, falsi allarmi e addirittura vere e proprie truffe. Qualcuno indicò per quelli della gatta i poveri resti di una lepre selvatica, ponendo artatamente accanto delle piume d’uccello.
Fu poi l’esame autoptico a svelare l’inganno.

Tra un’estenuante altalena di stati d’animo si andò avanti per una settimana… e manco a dirlo, dei due nemmeno l’ombra.

Al decimo giorno non si sapeva più che fare.
Fatti stampare e diffondere volantini con foto e taglia, Esmeralda decise di sospendere le ricerche… era come cercare un ago in un pagliaio e col passare dei giorni si affievoliva ogni speranza.

Informata del fatto, la principessa Lorena, dispiaciuta e turbata, mise a disposizione parte del suo personale per le perlustrazioni; ma anche i suoi uomini tornarono a casa a mani vuote.

Onde evitare il ripetersi di un simile incidente, la zia Esmeralda acconsentì a far sterilizzare, dopo Babouche, anche Miù-miù.

Passarono i mesi e sopraggiunse l’inverno.

Ogni sera, anche col freddo, Esmeralda sostava sotto il porticato, sperando di incrociare all’orizzonte un minimo baluginio che le restituisse gioia e speranza.
Amici e conoscenti evitavano ogni riferimento all’accaduto, ma neanche questo bastava.

Chi veramente però non aveva digerito la faccenda era Messer Ciccio De Nardi.
La perdita del falco aveva dato un duro colpo alla sua volontà di continuare a far l’addestratore: Joffry non era infatti il primo caso di animale che gli veniva “malamente sottratto”. Qualche anno prima uno dei suoi falchi più pregiati era stato impallinato da bracconieri proprio durante lo svolgersi di un campionato.
In quel caso si era pensato a una tragica fatalità, benché Ciccio temesse già allora d’esser sotto il tiro di qualche collega astioso.
La perdita di Joffry era l’ennesimo sberleffo ai sacrifici accumulati in tanti anni.

Non si faceva persuaso che oltre all’invidia vi fosse una sola valida ragione per far sparire un volatile e insieme a lui quella che era diventata la sua ombra (un gatto).
Né certamente poteva dubitare della lealtà e onestà della contessa Esmeralda, sempre puntuale nei pagamenti a dipendenti e fornitori.

Per quasi un anno De Nardi si lambiccò il cervello, vagliando sugli atlanti ogni pur minima notizia di comportamenti considerati “anomali” dei suoi amici volatili.
Alla contessa non fece mai parola per non turbare oltremodo il suo stato di ormai serena rassegnazione.

Fu un vero choc perciò per Messer Ciccio ricevere un bel giorno la chiamata del fratello che dimorava a centinaia di miglia da Casal dei Principi chiedendo di ricevere per fax il volantino con l’immagine dei due dispersi di oltre un anno prima.

Alfredo De Nardi riferiva di essersi svegliato una mattina e aver scorto dalla sua finestra un gatto dal folto mantello di colore grigio chiaro appollaiato su un muretto in estatica contemplazione del merlo indiano di proprietà del portiere. Pareva infatti ad Alfredo che il gatto non fosse interessato a puntare l’uccello a scopo predatorio, bensì che ne fosse per così dire “attratto”, cosa che giudicò ovviamente alquanto strana.

Ciò accese immediatamente una luce di speranza nella mente di De Nardi, che in men che non si dica inviò per fax il volantino corredato di ampia descrizione e altre foto che era riuscito a procurarsi.

Il giorno stesso Messer Ciccio convenne col fratello che fosse più opportuno effettuare una ricognizione direttamente sul posto.
Ma il giorno seguente egli dovette ingoiare l’ennesimo boccone amaro perché, come ebbe a ripetere il portiere, una famiglia della zona si era offerta di adottare la gattina grigia, chiaramente un’orfanella, e se l’era subito portata via, non senza difficoltà – dato che la bestiola sembrava provata dalla vita di strada e perfino spaventata alla vista degli umani.

Non fu possibile perciò appurare se la “Grigiotta”, come la famiglia l’aveva soprannominata, fosse davvero Miss Gigia o una creatura in qualche modo a lei collegata.

Passarono gli anni.

Elettra e Dalton trascorsero una vita felice e priva di insidie in compagnia della loro mamma adottiva, la principessa Lorena.
Dalton raggiunse la venerabile età di 15 anni. Morì dopo una breve ma inesorabile malattia.
La principessa cadde, com’era prevedibile, in uno stato depressivo che nessun farmaco riusciva ad alleviare: non voleva in alcun modo separarsi da quello che considerava il suo gioiello più caro.

Padre Bernardo, il decano dei benedettini di Erbacitrata, riuscì alla fine a convincere Lorena a dare il suo assenso affinché Dalton fosse imbalsamato e posto all’interno di una teca di cristallo da esporre nella sala principale del monastero, poiché si stimava appartenesse a una razza felina fino allora non classificata.
Lorena acconsentì, al solo scopo di poter continuare ad ammirare, pur se separata da un vetro, la splendida creatura che tutta sola era riuscita ad allevare.

Una o due volte al mese la principessa faceva visita al suo beniamino; soffermandosi a lungo davanti alla teca restava muta a fissarlo, sotto lo sguardo, talora perplesso, del sagrestano che tuttavia non osava disturbarla.

A distanza di qualche mese anche Elettra la lasciò.
Stavolta però Lorena stessa depose l’urna con le ceneri della gattina direttamente nella cappella di famiglia.

Di lì a poco, seppur riluttante, Lorena accettò il consiglio di sua zia Esmeralda di cambiare aria per un po’, soprattutto per sfuggire a una terribile malinconia.
E così, in compagnia del dott. Menico Burlandi, capitano di lungo corso conosciuto al circolo del bridge, Lorena si imbarcò per qualche mese su una nave da crociera che faceva rotta nel Mediterraneo.
Fu poi la volta dei Mari del Sud.

La principessa recava sempre con sé la foto dei figlioletti.
Non ritrovò del tutto il suo sorriso, e anzi si sentiva in colpa. La rincuorava solo la promessa, strappata a Padre Bernardo, che alla sua morte anche la teca contenente i resti di Dalton sarebbe stata deposta – per sempre – ai piedi della sua bara nella cappella dei Principi Landolfi-Spada.

E così è stato.

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La dinastia dei gatti-mammut (2005-2006), pubblicato a puntate (2006-2007) in “Le Vibrisse” periodico (trimestrale) dell’Associazione “A.Tua – Amici dell’Angora Turco”

Gamy Moore
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