“Tutte a me capitano le stranezze, sembra quasi che me le tiri…”, non so quante volte me lo sono detto e ripetuto.
Però stavolta giuro “non è stata colpa mia”, come si sente gorgheggiare in un noto brano musicale.
Si vede che fra strani ci si intende, o se ne fiuta la presenza anche a distanza. Così si finisce per navigare nel mare magnum della Rete e voilà… salta fuori dalla retina (quella del pescatore, stavolta) la persona che fa al caso, una che forse vede le cose in maniera affine, quanto meno fuori dalla norma. Perché se uno si rivolge a Gamy Moore, potrebbe mai essere normale?
E invece:
– Piacere, sono Gino Pitaro. Ho scritto un libro di racconti, Babelfish. Vorrei che tu lo recensissi.
Fin qui niente di strano, se non fosse che non è andata letteralmente così, ma solo perché non ricordo a memoria la nostra conversazione su un noto network professionale.
“Questo non sa cosa l’aspetta”, ho pensato io, “se avesse letto qualcosa uscita dalla mia penna, saprebbe quanto sono scellerata. E se l’ha fatto, allora non gli manca una rotella, bensì due. Oppure è un mago, un profeta, uno dalla vista lunga e vede cose che noi umani… In ogni caso un folle, o insomma sì, uno strano”.
Fu così che rispose per lui Chris, un personaggio di Babelfish, e come l’ambasciatore, personaggio non porta pena:
“Be’, visto dall’esterno forse appena un po’ strano lo sono anch’io” disse. “Andare in giro il venerdì sera in un cimitero… Il fatto è che a me sembra tutto normale. È questa la differenza, non altro”.
Una folgorazione. Fu allora infatti che capii che con questo Gino varie dovevano essere le cose in comune. Anch’io sono una fan dei cimiteri monumentali, luoghi ameni quando pieni d’Arte e di natura viva (gatti, scoiattoli, ecc.).
Passai perciò a deformare un altro passo del suo libro (non me ne voglia Chris):
“In effetti Gino era conosciuto come una persona bizzarra, intimamente eccentrica, ma anche equilibrata, razionale, di buona presenza. Si rendeva conto di non avere un carattere facile ma non ci poteva fare nulla”.
– Eh, a me lo dite…
Okay. C’è sempre un po’ di se stessi nei personaggi che si crea, accade quasi in automatico. Decisi così all’istante che valeva la pena procurarmi il suo libro e incamminarmi in quei percorsi di possibile comune follia. Follia che per quanto mi riguarda è sempre ispiratrice.
La vita presenta degli “incartamenti” che nella realtà producono conseguenze diverse da quello che ci si aspetterebbe; per leggere davvero dentro la vita bisogna conoscerne il linguaggio segreto. È estremamente coerente a sé stessa, ma ben ricoperta da un velo dove si proiettano giochi di prestigio con lo scopo di nasconderne le reali trame e di addurre le azioni dei partecipanti al grande spettacolo dell’esistenza, azioni che poi finiranno per avere un’utilità diversa o sconosciuta rispetto a ciò che si potrebbe credere.
[Il dazio, p. 127]
Rino, Michelangelo, Chris, Claudio, Ivan, Francesco.
Prove di coraggio o di stupidità, il valore dell’amicizia, la sconfitta, la perdita dell’altro (reale e simbolica), il sesso, l’innamoramento, le conseguenze inaspettate/imprevedibili dei rapporti d’amore (v. lo stalking) e in generale interpersonali (i rivali, i potenziali nemici).
Tappe della vita di ogni uomo viste attraverso diversi uomini-personaggio e i loro piccoli e grandi mondi. Universi nei quali è facile identificarsi. Non eroi, ma i ragazzi della porta accanto, in un mondo che sembra apparentemente spalancarsi senza mai realmente scardinare limiti e confini, soprattutto interiori.
E così accade a volte di incartarsi, non riuscire a riprendere il bandolo della matassa, avvitandosi come un aereo in panne e peggiorando la situazione; e nonostante questo, uscirne miracolosamente illesi.
Declinazioni della Follia
Certe azioni rasentano la Follia pura, che a volte va di pari passo con la Stupidità: il protagonista del primo racconto, il calabrese Rino (Il toro di Pamplona), festeggia il suo compleanno – il 7 luglio – in Spagna. Non fra le sue mirabili bellezze sparse per ogni dove, bensì a un encierro coi tori di Pamplona, in un rituale di massa che nulla ha di goliardico, dal quale esce indenne – dove altri rischiano la pelle – portato finanche in trionfo, novello Forrest Gump… Merito di una Fortuna che lo assiste sfacciatamente, nonostante egli faccia il contrario di ciò che ci si aspetterebbe in un momento topico.
Parimenti, sembrerebbe da insani passare il proprio tempo libero in un posto del genere, eppure Chris (v. Holly) non vede l’ora di trascorrere i suoi venerdì al cimitero del Verano, luogo che ad altri tirerebbe gli scongiuri. Perché monumentale o di campagna, trattasi pur sempre di un camposanto… Ma anche un luogo all’apparenza così reietto può fare da scenario a un’insolita avventura.
Facile leggere d’altronde come follia caratteriale quelle piccole e grandi idiosincrasie individuali che a volte ci denotano agli sguardi altrui come perfetti eccentrici, specie laddove l’attribuzione si colleghi alla presunta superiorità fornita dal successo, quel vivere sopra le righe sull’onda della propria emotività e dell’immagine di sé che ne è derivata (Michelangelo, Ginevra e io; Il dazio).
C’è poi una follia meno eclatante, ovvero più sfumata, anche se non meno pregna di conseguenze potenzialmente pericolose: farsi trascinare dai sentimenti e dalle emozioni sfidando codici culturali e comportamentali secolari. Un’avventura che lascia il segno nella mente e nella carne di Ivan, nella lontana Singapore (Sakura) ed effetti più blandi ma ugualmente sentiti in Claudio (Miss France) e nello scrittore di successo Francesco del su citato “Il dazio”.
Personaggi, temi e luoghi che si somigliano, pur nella loro intrinseca diversità: perché ad ogni latitudine raccontano di una dimensione nella quale si cercano gli altri – più che per donarsi – per preservare se stessi, e dove la rinuncia finale all’altro è la sola forma, a volte, per uscirne indenni e sopravvivere. Una rinuncia necessaria di fronte all’improvviso irrompere di scenari difficili da fronteggiare.
Con la certezza però di aver tentato, e magari riprovarci ancora, puntando su se stessi e sulla sorte.
Perché la vita forse non si possiede, ma si può, e si deve, abitare.
Talora è Sogno, altre danno e beffa, ma pur sempre Meraviglia.
PS
Ecco, mi sono (in)cartata pure io, anche in senso non figurato.
Ora tocca a Voi.
Gino Pitaro, Babelfish, racconti dall’Era dell’Acquario, Edizioni Ensemble, 2013
www.edizioniensemble.com
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