Camminavo da un po’ in una zona che mi era ignota, un intrico di antiche scale in pietra, ripide salite e avvallamenti. Vero e proprio panorama obliquo.
Tutto emanava una strana solitudine, resa più aspra dal verde acuto di alberi che riversavano in basso rami e foglie creando piccoli recessi in cui trovare ricovero, ma non un senso di pace.
Restai sospesa ad osservare la luce grigia che scivolava fra i solchi di quelle sponde, incerta se avventurarmi fra quei sentieri.
A un tratto mi arrivò una voce, balsamo sottile
– Mi ami?
Mi voltai.
Di corsa, senza neanche pensarci
– Tantissimo!
Gli occhi si erano fatti increduli e mi osservavano emozionati.
Verdi, un intensissimo color smeraldo.
– Vieni a casa mia?
Stretti in un abbraccio laterale carico di aspettative, di una segreta apprensione, ci indirizzammo verso l’interno della città fin sotto le volte di un ampio porticato, illuminato da deboli sfere biancastre sotto la luce tenue che annunciava il giorno.
Essere insieme lì era l’unica cosa che contava, le braccia che incrociandosi poggiavano sui fianchi e sulla vita.
Finché, incuranti del mondo intorno, scambiandoci un sorriso, gli andai contro.
Il suo sguardo obliquo mi fulminò all’istante.
Chiesi immediatamente scusa a quel signore che involontariamente avevo urtato.
Non una parola seguì, ma solo fatti.
Solo più tardi capii che quello sgarro – aver ‘tagliato’ la strada a un noto criminale della zona – era di fatto il peggior torto che uomo d’onore potesse mai accettare. Benché fossi una donna, forestiera e ignara, la mia sorte era segnata. E quel che è peggio, anche di colui che mi era accanto.
Dietro quella porta però, c’eravamo solo NOI.
S’avvertiva nell’aria, sulle scale, mentre lui si affrettava a ripescare le chiavi occultate nei tasconi di quei kombat che gli davano l’aspetto di un moderno guerriero della notte.
Perché lui non è un comune mortale, e dunque, non dorme mai. Non di notte almeno.
La notte è per chi crede nelle favole o per chi cavalca la follia.
——-
Adoro chi mi fa impazzire. Imprevedibile e sfuggente, felina senza lacci.
– Dammi un bacio.
Capii dallo sguardo che non l’avrebbe fatto. Non come avrei voluto io. Lei mi voleva così, in balia delle sue mani, degli umori del momento. Mentre io avevo in mente un piano più preciso, a lungo elaborato.
“E ora eccomi di spalle, e lei…”
Mi cinge con le braccia, mi sfiora il collo con le labbra.
Delicato, morbido, sensuale. Voglio subito di più.
Resto inchiodato a lei, gli occhi socchiusi. Quello che fa deve bastarmi, e resto zitto.
Non sarà facile condurla dove voglio io.
Vorrei voltarmi, prendere l’iniziativa, costringerla ad assecondarmi. E invece è lei la mia padrona.
Sento la mano sotto la maglietta. Non mi dispiace, però tu…
Fermati!
E vai più giù…
Più giù…
Sorrido. Non ho parlato. Mi legge nel pensiero.
“Dici che sono sbrigativo?”
No, questo non lo leggere!
Forse è così. È trascorso un attimo, e già sento l’urgenza di venirle addosso, anzi no, piombare su di lei.
Mi darà uno schiaffo se lo faccio?
Oso.
– Vieni davanti, Paulette.
Tanto so che lei non lo farà.
Mi ritrovo a incalzarla con il braccio. E con lo sguardo, ardente.
Lei scivola davanti a me e inaspettatamente mi bacia sulle labbra. Blocco il suo volto fra le mani tenendola incollata alla mia bocca. Lei continua a lavorare in basso, le mani mi tormentano con uno choc di sensazioni forti, esasperanti. I miei sospiri e gemiti rimbombano fra le pareti bianche, gettano macchie di colore audace fra questi spazi ordinati e regolari.
– Vai Paulette, non ti fermare!!!
Fino a che lampi colorati e bianchi mi lasciano accecato, esausto, vittima felice di labbra morbide e indomabili.
– Ora vai via. Resta sul pianerottolo il tempo di una sigaretta. E suona.
Perché ti voglio ancora.
Questo era ciò che Mark pensava, in qualche modo pregustava.
Vederla scivolare sinuosamente alle sue spalle.
——–
Immagino cosa farà, cosa vorrà da me, ciò che i suoi occhi mi urlano quando di rado capita di essere soli in una stanza.
Mi bacerà e in pochi attimi saremo nudi; e stretti, sguardi arroventati, vorrà solcare la mia pelle in ogni modo e bermi concitato. Mi assalirà e avrà la meglio su di me, sa di poterlo fare. Potrei sottrarmi, ma io non lo farò. Lo guarderò fumare nudo in direzione del vento, quando staccandosi da me pronuncerà l’ennesima bugia. Dopo l’amore vuole stare solo, per riappropriarsi della sua infelicità. L’unica a cui tiene veramente.
Può far paura. Per me è rassicurante.
Mai mi dirà che mi ama. Non ci interessa. Mi chiederà di regalargli un attimo e di affidargli il mio ricordo. E che sia acido o elettrizzante, lama o spillo, poco importa.
Vive, un ricordo, solo se gli sfugge.
——-
Era ormai giorno, benché di luce livida.
Vennero verso di noi, due, forse di più. Senza saperlo però ero già sola. Non potevo sapere cosa accadeva alle mie spalle.
Sparavano ad altezza d’uomo, per spaventarci, per dimostrarci di essere in balia dei loro umori, e prima ancora dell’ordine che avevano appena ricevuto. Pochi secondi di manomissione avrebbero trasformato di lì a poco la mia auto in un tizzone ardente.
Inutile pregarlo, non serviva… Continuava a operare dentro l’auto, preciso.
Non vidi altro. In quell’auto ero seduta anch’io.
Seppi più tardi che a lui avevano spezzato un braccio.
Nulla c’è stato mai tra noi, o forse tutto.
Gamy Moore, Nulla.Tutto
(27 agosto 2013)
- Il bancario - 8 Luglio 2024
- La “cura” di Teo - 24 Giugno 2024
- Noemi - 17 Giugno 2024
Merci, cara. Troppo buona! 🙂
Paola, questo racconto è bellissimo e struggente. Evoca volti e atmosfere che meritano di essere tradotti in immagini, magari anche in note musicali. Meritano di scorrere su pellicola, per imprimersi nelle menti quanto e più delle parole. Brava!