Reggersi sulle proprie gambe. Chi meglio di Forrest Gump?

« Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo… ».

Strano come talvolta, leggendo un libro, ti sovvengano di colpo le parole per descrivere un film in apparenza di tutt’altra natura. È quello che è successo rileggendo la famosa descrizione di don Mariano Arena al Capitano Bellodi ne Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia.

L’umanità divisa in 5 categorie, o meglio sarebbe dire quasi gradini di una scala evolutiva.

Si intravede allora come un personaggio alla Forrest Gump si collochi senza ombra di dubbio all’estremità più alta. Nonostante il, starei per dire per merito del, suo ridotto quoziente intellettivo. Perché l’intelligenza non è, come comunemente si pensa, una semplice funzione esplicitabile in numeri, bensì la complessa interazione di abilità, capacità, modi di percepire e di sentire. In parole povere, l’intelligenza non è mai disgiunta dalla sensibilità.

Nessuno avrebbe mai scommesso un penny sulla riuscita dello scemo del villaggio a Greenbow in Alabama, un animaletto da guardare con compassione, la cui vita non doveva valere più di quella di una gallina senza cervello, e che altro non poteva fare se non sguazzare, inconsapevole e felice, come un’anatra in una fresca pozzanghera. Invece Forrest, grazie alla caparbietà di sua madre, che sa come va il mondo, frequenta una scuola per normali, nonostante non si regga sulle gambe se non in virtù di un apparecchio correttore.

Impara che dai pericoli bisogna stare alla larga, sempre e comunque, e correre, a perdifiato, con o senza una ragione, quando si vuol allontanare un dolore o rimanere ancorati ad un ricordo, ma anche per il solo gusto di poterlo fare.

Qualche volta correre non basta e te la pigli comunque in quel posto, proprio come succede a Gump in Vietnam, ma un buco nel posteriore è sempre meglio di quello che succede al tenente Dan, che, oltre alle gambe, perde dapprima la fede in se stesso e la speranza.

Qui si intravede la stoffa di Forrest. Si circonda di amici che non sono ominicchi, che, pur nel fare animalesco, custodiscono un sogno, e mantengono fede a una promessa. Bubba non può, causa di forza maggiore, ma il tenente Dan e il suo salvatore onorano la sua memoria nel migliore dei modi, assicurando a se stessi e ad un’intera famiglia un sostentamento impagabile.

Chiamatelo scemo!

E da mezz’uomini, storpiati dalla guerra, si riparte per continuare nell’ascesa verso un’umanità migliore, quella che condivide, che intravede nel prossimo non un nemico, ma l’amico da sorreggere e sostenere. A Forrest serve poco per essere felice, a parte la sua Jenny: il denaro e il successo non lo cambiano, semmai lo rendono migliore.

L’ultima parte della sua storia esemplarmente mostra l’evoluzione al rango d’Uomo, che scopre nella responsabilità verso suo figlio, nel dovere e gioia dell’accudimento, il motore e la linfa dei suoi prossimi giorni, nonostante la mancanza dell’oggetto d’amore di una vita, dell’amica e compagna, intelligente e normale quanto poco saggia.

Ed è tutto quello che ho da dire su questa faccenda.

Ce ne fossero di Forrest Gump!

 

NB
Una cosa ci sarebbe.
Essere un vero genio non ha senso se non si ha anche c…
Altrimenti…


httpv://www.youtube.com/watch?v=6jSVfuPXd5c


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Forrest Gump, Usa, 1994, regia di Robert Zemeckis

Gamy Moore
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