Sfida agli eoni

 Lovecraft

 firma HPL

Oggi molti sanno che Lovecraft è stato uno degli scrittori più prolifici e immaginifici del nostro tempo. Il suo vero talento (pur tra molte altre abilità) è stato quello di dar forma e consistenza al suo immaginario – vero serbatoio infinito, arricchito quotidianamente e versatilmente di percezioni, sensazioni, sogni, elaborazioni di materiale onirico e vissuti quotidiani – attraverso la scrittura. Un artista che ha saputo trovare la sua dimensione ideale in una scrittura a tutto campo (narrazione letteraria, saggistica, scientifica) dedicando però in particolare alla narrativa fantastica le sue migliori energie e potenzialità creative.

All’inizio degli anni ’80, quando per caso si è avviata questa mia frequentazione letteraria, il materiale reperibile su HPL (un autore “di nicchia”, cui solo sparuti gruppi di fan, sparsi per il mondo, e pochi grandi cultori dell’horror, dedicavano la minima attenzione), era quanto mai scarso e non sempre attendibile. Era ancora lontana la traduzione del suo sterminato epistolario, di importanza non minore rispetto agli scritti letterari per qualità estetica e interesse (non solo informativo).

Non era facile in queste condizioni formulare un’idea precisa su un autore la cui biografia sembrava strettamente intrecciata alle trame narrative. La critica letteraria infatti si ancorava per lo più ad una rivisitazione puramente “biografica”, dolente e meditabonda, delle sue composizioni. Un’equazione troppo stretta, e spesso fuorviante, a mio avviso, per un autore della sua complessità, che anche al lato “gioioso” della vita ha rivolto uno sguardo non meno compiaciuto.

 

È innegabile che il nome di Lovecraft resta in gran parte legato ai moduli narrativi dell’orrore cosmico e del terrore classico con necrofilia. Ma è soprattutto la rêverie la chiave di volta per accedere al suo universo fantastico e fantasmagorico, un vero e proprio universo strutturato cui l’autore, col tempo, attribuisce dignità storica ed anche mitologica.

I lavori dei primissimi anni ’20, di solito considerati fra i più desueti, ci introducono agevolmente in un universo che non vuol essere il risvolto del reale, il suo doppio, bensì il mondo stesso che conosciamo – poco, essendo dotati di soli cinque sensi – rivelato però nelle sue zone d’ombra*; mondo al di là del quale viene meno la certezza della propria identità, della propria capacità di esporsi e rapportarsi: mondo del “possibile”, con tutto il suo carico di elementi perturbanti. Un mondo a tinte forti, di emozioni rapide e sconcertanti, in cui si alternano, a placidi approdi, impetuosità dilanianti.

Lovecraft chiede al lettore di abbandonare sulla soglia ogni forma di resistenza razionale. Ciò che egli offre in cambio è racchiuso in tre parole, desiderio-gioco-meraviglia, un cocktail che continuamente si autoalimenta e si rinnova rendendoci prigionieri dell’incommensurabile, stregati dallo stesso incantesimo che per oltre un ventennio (dal ’17 fino alla morte prematura) ha ispirato il solitario di Providence.

 

La scelta della scrittura quale strumento per descrivere il viaggio fantastico nelle regioni ai confini è qualcosa di più della semplice individuazione di un mezzo adeguato e flessibile (che però, pur consentendo di cogliere sfumature e tonalità, non impedisce talvolta che restino vuoti e lacune che la parola stessa non riesce a colmare). Scrivere è per Lovecraft scelta esistenziale, forte, o per dirla con Barthes, intransitiva, porsi cioè sul versante della non-aderenza, della infedeltà, al mondo dei bisogni e degli schemi precostituiti; una trasgressione nell’orbita del desiderio e dell’utopia, che viola il tempo produttivo con l’esercizio di una attività in perdita (gioco infinito, concentrazione su se stesso non per confermare la propria identità, semmai per perderla – attraverso numerosi eroi).

Per l’analisi dei suoi scenari della meraviglia era quindi necessario, ancor più che il supporto di elementi biografici, l’ausilio dell’angolo prospettico da cui Lovecraft stesso guardava alla vita, e alla scrittura come espressione più compiuta del suo essere.

Le riflessioni di autori come Roland Barthes, Maurice Blanchot, Emmanuel Lévinas, Michail Bachtin, per citare solo alcuni, garantiscono al semplice lettore, come all’esperto di cose letterarie, di inquadrare e valutare l’opera di Lovecraft sotto una luce nuova e diversa (rispetto alle deformazioni o ristrettezze di una critica letteraria orientata in senso puramente biografico o sociologico) senza però spiegare o rivelare quella magica alchimia che ci tiene inchiodati fino alla fine, e nonostante lo scorrere degli anni, alle righe fitte e convulse che danno forma e sostanza alle sue numerose e irripetibili creature.

 

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(*) Lovecraft si è lasciato catturare dagli abissi segreti della vita, dai limiti dell’esistenza: la morte e il destino dell’uomo oltre tale soglia, l’attività onirica e il reame impalpabile dei sogni, l’insondabile dei mondi al di là del nostro, che racchiudono realtà impensabili e/o allucinanti.

copertina libro Lovecraft

 

 

 

 

 

Paola Cimmino, Sfida agli eoni (sintesi), in AA.VV. H.P. Lovecraft. Sculptus in Tenebris, Saggi e iconografia lovecraftiana, a cura di Michele Tetro, Nuova Metropolis Edizioni, Novara, 2001

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