Magre soddisfazioni per una giovane donna (Juliette), fresca di nozze, a scivolare in lungo e in largo su una Senna abbacinante di giorno, fumosa ed umida di notte.
Una vita assai sporca e molto poco confortevole.
Ma è la vita che fa un navigante (Jean), e sposandolo ti ci devi adattare. Cosa non facile se devi condividere gli spazi risicati col tuo sposo, più un burbero nocchiero ubriacone (père Jules) ed un giovane mozzo poco avvezzi alla vita cittadina e alle galanterie che ci aspetta da una luna di miele… e non aiuta lo stuolo di gatti che insidia i risicati ambienti, spodestandoti del letto e della mensa, che occupa gli armadi, colonizzando perfino vesti e corpi di tutti i naviganti.
Allora, oltre alla vita che scorre lenta e lineare sulle acque, devi far posto ai sogni e ai desideri, anche quelli che dovresti allontanare per non cadere in tentazione. Una sosta, anche non autorizzata (e invero un po’ forzata), ci può stare, se dà modo di capire e di decidere dove si vuol stare.
L’Atalante (1934) è una storia d’amore che si ricompone dopo il pericolo di infrangersi per orgoglio o per disperazione.
Il vecchio e saggio navigante, più del novello sposo, sa che è meglio “riportare” sulla chiatta (e alla vita) le pecorelle smarrite per ingenuità, ma che conservano intatto un reciproco amore, autentico e sincero.
Tutto nel film concorre a descrivere sapientemente un’atmosfera reale e surreale insieme, evocata da uno splendido montaggio in bianco e nero ed un sonoro che alterna dialoghi, musiche e canzoni di un mondo irripetibile e lontano.
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L’Atalante, Francia, 1934, regia di Jean Vigo
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